di Fosco Taccini

 

Le scelte e le azioni messe in pratica in questo complicato periodo potrebbero avere ripercussioni per un lungo periodo. Anche per questo non dobbiamo chiuderci in noi stessi, ma cercare di interpretare il presente e immaginare il futuro con equilibrio e conoscenza. Appare sempre più utile, quindi, mantenere aperto il dibattito a più livelli e il confronto delle idee. Oggi, lo facciamo insieme a Valerio Marinelli – ricercatore Isuc – grazie al suo nuovo libro: ‘Il neofascismo in Umbria 1969-1975’.

Ciao Valerio, grazie per la tua disponibilità, ‘Il neofascismo in Umbria 1969-1975’ qual è la genesi di questo libro?

La genesi è banale. Consultando l’Archivio storico dell’Isuc per un altro lavoro, mi sono imbattuto in 12 buste intitolate “Inchiesta sull’attività fascista e parafascista in Umbria (1969-1975)”. Mi sono incuriosito. Ho cominciato a leggere, e leggendo mi son reso conto che i documenti meritavano un approfondimento. All’inizio non sapevo se poteva venire fuori una monografia o un articolo per qualche rivista specializzata. Poi, continuando a studiare, ho capito che c’era, sia in quantità che in qualità, un materiale adatto per stendere un libro. Il punto l’ho comunque messo solo dopo tre anni di lavoro.

Di tutto il materiale che hai visionato per la stesura del libro cosa ti ha colpito maggiormente?

Ogni documento mi ha regalato il piacere della scoperta. Ma quale storico, del resto, non prova un certo grado di godimento davanti a carte d’archivio inedite? Detto questo, la documentazione diventa interessante soprattutto se vagliata e valutata nel suo complesso. Come una rondine non fa primavera, così non fa da sé “storia” un unico volantino di un’associazione politica o un unico articolo di giornale. Ciò vale almeno per lo studio di cui stiamo parlando. A volte - ma dico una cosa scontata -, può invece bastare un solo documento a rivoluzionare consolidate interpretazioni storiografiche.

Quale tipologia di neofascismo emerge dalle carte dell’inchiesta? Si può fare un paragone con quanto riemerge, a più riprese, anche attualmente?

Fare un paragone tra il neofascismo degli anni Settanta e il neofascismo dei nostri giorni è possibile e utile, ma è tutt’altro che semplice. Senza scomodare Umberto Eco, che a suo tempo parlò di “Fascismo eterno” (Ur-fascismo), alcune analogie tra i gruppi neofascisti di ieri e quelli odierni sono ben visibili. Allo stesso modo, sono ben visibili pure certi legami tra il fascismo storico e il neofascismo del dopoguerra. Tuttavia, come le differenze che passano tra il fascismo-regime degli anni Venti-Trenta e il fascismo-movimento maturatosi nella seconda metà degli anni Sessanta sono profonde e molteplici, così sono profonde e molteplici le differenze che passano tra il neofascismo su cui si concentra il mio volume e il neofascismo delle cronache attuali. A cavallo degli anni Sessanta e Settanta, il neofascismo si presenta in forme diversificate e composite. Le sigle della destra estremista sono tante, e ognuna ha il proprio approccio. C’è un neofascismo in “doppio petto”, legalitario e fautore dell’ordine; c’è un neofascismo golpista e stragista; c’è un neofascismo “di strada”, che nei quartieri delle metropoli, nelle periferie o in città di medie dimensioni compie più o meno frequentemente scorribande squadristiche di vario genere; c’è poi un neofascismo che si limita all’elaborazione politico-culturale e alla propaganda delle idee. In questi anni Duemila, il neofascismo non è morto, anzi, in parte si è rianimato. La vera difficoltà di oggi, però, credo sia riconoscerne fino in fondo le forme di espressione meno esplicite. Cosa effettivamente comprende oggi la categoria concettuale di “neofascismo”? Ecco, questo è di sicuro un tema su cui val la pena riflettere.

A tuo parere l’inchiesta sull’attività fascista e parafascista quale risvolto ha avuto in modo più efficace: pedagogico, politico, culturale, di coinvolgimento della cittadinanza e degli altri attori organizzati?

Non vi è dubbio che l’Inchiesta sia pensata e condotta con uno scopo fondamentalmente politico. Come però diceva Gramsci, ogni azione politica è anche culturale, e ogni azione culturale è anche politica. L’Inchiesta acquisisce concretezza e si sviluppa in tutte le regioni italiane all’indomani della strage di Brescia. Di fronte a una popolazione scioccata e impaurita, le istituzioni repubblicane devono dare prova di saper difendere la democrazia dalle spinte autoritarie e dai rigurgiti fascisti. Le Regioni, alla loro prima esperienza, si inseriscono in questa cornice, sia per spronare, accompagnare e supportare lo Stato nella lotta contro quelle “trame nere” che mettono a repentaglio l’ordine democratico, sia per accreditarsi nella cornice istituzionale nazionale come enti capaci di rivestire un ruolo importante. Sotto certi aspetti, esercitare il potere d’inchiesta serve alle Regioni anche per rafforzare il loro processo di definizione e assestamento all’interno delle articolazioni istituzionali dello Stato. Uno Stato che - va ricordato - tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta non mostra in tutti i suoi rami sempre un eccezionale impegno nella salvaguardia della democrazia. Alcuni settori dei servizi segreti e dell’esercito tengono rapporti quantomeno ambigui con il neofascismo eversivo, mentre la cosiddetta “teoria degli opposti estremismi”, principalmente propugnata dalle forze di governo, tende a derubricare i fenomeni locali di violenza politica a mero problema di ordine pubblico.

Dalla lettura del testo si comprende che il neofascismo, in quel torno di tempo, non si è manifestato alla medesima maniera in ogni parte dell’Umbria. Ci puoi delineare le differenze e le peculiarità del neofascismo perugino e di quello ternano?

Dallo studio un elemento emerge con chiarezza: il neofascismo è soprattutto un fenomeno urbano. In Umbria, il suo epicentro è indiscutibilmente Perugia. Nel capoluogo, tra il 1969 e il 1975, sono vive e attive diverse aggregazioni neofasciste. Inoltre, talune figure del neofascismo perugino mantengono nel tempo contatti stretti con gli ambienti dell’eversione nera nazionale e internazionale. L’oltranzismo di destra nella principale città umbra è forte per una serie di motivi: Perugia è la città che nel quadro regionale degli anni Settanta sperimenta con maggior intensità le problematiche conseguenze delle trasformazioni economico-sociali intervenute con il boom; è una città dove risiedono i più importanti poteri pubblici, dove la politica e la società sono attraversate da tendenze, convinzioni ed esigenze plurali e contrastanti; è una città universitaria, e l’università è ovviamente un terreno di scontro privilegiato per giovani altamente ideologizzati. Da non dimenticare, infine, che Perugia ospita anche l’Università per stranieri, quindi, è una città in cui si condensano tensioni e conflitti in buona sostanza sconosciuti nelle cittadine e nei borghi della provincia. A Terni il neofascismo ha in quegli anni una sua rilevanza, ma è molto più debole e frammentato rispetto a quello perugino. A differenza di Perugia, Terni ha un tessuto socio-politico per certi versi meno articolato e più omogeneo. E’ una realtà a vocazione operaia nella quale, sin dall’immediato dopoguerra, le sinistre conquistano un’egemonia tanto culturale quanto politica. Alle insorgenze nere manca insomma l’humus favorevole per attecchire e crescere. Ciononostante, specie tra il 1972 e il 1974, le fila del neofascismo ternano sono sovente ingrossate da “camerati” provenienti dall’Alto Lazio. Giovani reatini e viterbesi giungono a Terni per agire provocazioni dimostrative, ovvero per scontrarsi con gli avversari politici, ovvero ancora per fare semplicemente numero nelle iniziative pubbliche.

Conclusa l’inchiesta, i suoi risultati non sono diventata materia di riflessione o di dibattito nei partiti di sinistra. Quali pensi siano state le motivazioni?

Sì, vero. Una volta conclusa, sull’Inchiesta cala il silenzio. A mio giudizio le cause del suo rapido oblio sono in particolare tre. In primis, l’Inchiesta raggiunge il suo scopo politico già nel momento in cui le Regioni decidono di realizzarla e ne danno coerentemente pubblicità. In secondo luogo, occorre tenere presente che l’Inchiesta si sovrappone alle celebrazioni del XXX anno della Resistenza e della Liberazione; celebrazioni che, godendo di un’attenzione mediatica piuttosto ampia, tendono a oscurare il lavoro della Commissione d’indagine sul neofascismo. In ultimo, tra il 1974 e il 1975 il contesto generale (nazionale e internazionale) va radicalmente mutando. In Portogallo cade la dittatura di Salazar, in Grecia naufraga il regime dei colonnelli, negli Stati Uniti il presidente Nixon, campione dell’anticomunismo internazionale, è sostituito da Ford. L’ipotesi di un colpo di Stato autoritario appare sempre più lontana. In Italia, poi, l’azione convergente della magistratura e dello Stato, abbandonati i torpori e i colpevoli indugi precedenti, comincia a dare i suoi frutti: tra il 1973 e il 1975 diverse organizzazioni neofasciste sono messe al bando, molti militanti della destra estremista vengono processati e condannati, mentre le sinistre, dopo la vittoria al referendum sul divorzio, registrano una fase di ascesa sul versante dei consensi sociali, espandendo le proprie quote di rappresentanza nel comparto amministrativo e istituzionale del paese. Con l’indebolirsi dei gruppi neofascisti, si fa dunque meno rilevante e meno urgente la divulgazione e la pubblica riflessione sui dati dell’Inchiesta.

Considerando anche la situazione attuale e gli episodi che a livello nazionale e internazionale emergono, c’è una parte del libro che meriterebbe un approfondimento maggiore?

Ci sono molte parti del libro che meriterebbero un approfondimento. Soprattutto, però, sarebbe interessante allargare lo sguardo, ossia consultare la documentazione di tutte le Inchieste sul neofascismo al fine di comporre uno studio di carattere nazionale. Gli ostacoli non sono pochi, a partire dal fatto che non sempre le Regioni hanno conservato i materiali. L’idea mi è venuta quando ancora non avevo terminato il libro. E’ un’idea che continuerò sicuramente a coltivare; diciamo pure un sogno nel cassetto a cui, magari tra qualche tempo, proverò a dare uno sbocco concreto.

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