Manovra economica contro la democrazia
PERUGIA - Forse non si aspettavano lo schiaffo referendario, forse confidavano nella disaffezione al voto che, ancora una volta, avrebbe impedito di disturbare il manovratore. Ma così non è andata e 27 milioni di donne e uomini hanno votato per la ripubblicizzazione dell’acqua e la difesa dei beni comuni. Affermando il diritto a decidere su ciò che a tutti appartiene.
“Che fare?” si devono essere chiesti i poteri forti finanziari e i manager delle multi utilities di fronte al fatto che, dopo oltre due decenni, la favola del “privato è bello” è stata respinta dal plebiscito referendario.
Quale miglior occasione se non l’alibi del precipitare della crisi finanziaria? Quale miglior mandante di astratti mercati che, come divinità dell’antica Grecia, si turbano e chiedono sacrifici agli umani?
Ed ecco allora, nella macelleria sociale vestita da manovra economica allestita dal governo, rientrare dalla finestra ciò che le donne e gli uomini di questo paese avevano cacciato fuori dalla porta.
Avanti tutta con le privatizzazioni e con la svendita dei servizi pubblici locali e per convincere i Comuni basta adottare il bastone e la carota : taglio generalizzato dei trasferimenti per tutti e premi –in finanziamenti e in allentamento del patto di stabilità- per quelli, tra loro, che si dimostreranno docili esecutori dei diktat governativi.
Il tutto –come sottolineato più volte dal Ministro Tremonti- escludendo l’acqua, perché c’è stato il referendum e non si può non tenerne conto.
Decisamente non ci siamo.
Sull’acqua i cittadini hanno votato con chiarezza : fuori il mercato e fuori i profitti.
Il che significa che a livello territoriale tutti gli enti locali devono mettere in campo le procedure per la ripubblicizzazione del servizio idrico, superando finalmente le SpA e coinvolgendo cittadini, lavoratori e comunità locali nella gestione del bene comune. E devono altresì modificare le tariffe che, da fine luglio scorso, non possono più contenere l’adeguata remunerazione del capitale investito, ovvero i profitti garantiti ai gestori.
Ma i referendum del giugno scorso hanno anche detto “no” alla consegna al mercato di tutti i servizi pubblici locali. Se ne facciano una ragione i poteri forti : la favola liberista ha fatto il suo tempo e le donne e gli uomini di questo paese hanno intrapreso la strada della riappropriazione sociale, il linguaggio dei beni comuni, una nuova idea della democrazia.
Riproporre nella manovra la fotocopia del decreto Ronchi –seppur con l’eccezione dell’acqua- sui servizi pubblici locali, è un attacco diretto al voto referendario, al diritto di decidere delle persone e non fa che precipitare in maniera irreversibile il degrado della democrazia rappresentativa.
Se qualcuno pensa di poter tranquillamente proseguire come se i referendum non fossero avvenuti, è bene che sappia che sta solo segando il ramo su cui –da troppo tempo- è seduto.
L’esperienza dei movimenti per l’acqua, come l’insieme di conflittualità sociali e di movimenti in lotta nel paese, ha cambiato la cultura delle persone, producendo un effetto straordinario di rifiuto della delega e di nuova partecipazione sociale.
Anche all’opposizione forse qualcuno dovrebbe cominciare a rendersene conto, invece di competere su chi rassicura meglio la Bce e mitiga con più efficacia la collera dei mercati.
Sarà l’autunno a dimostrare come indietro non si torna : nei territori e a livello nazionale, con la mobilitazione sociale e la disobbedienza diffusa.
Nel cuore l’insopportabilità del presente, negli occhi l’allegria del futuro
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