Non si poteva pensare che l’esito del voto per le elezioni parlamentari francesi, che hanno visto prevalere il Nuovo Fronte Popolare sul campo macroniano e sull’estrema destra del Rassemblement National, avesse un esito istituzionale lineare e stabile. Il dato di fondo che le elezioni europee hanno messo in evidenza e il successivo rinnovo del Parlamento è la riduzione del blocco sociale che ha sostenuto Macron ad una minoranza non più in grado di esprimere un governo aderente alla volontà del Presidente della Repubblica in carica.
Il progetto macroniano era quello di costituire una nuova formazione centrista in grado di dominare il campo politico emarginando i due partiti che avevano strutturato il conflitto politico-istituzionale negli ultimi decenni, socialisti e neogollisti, con una politica insieme liberista e tecnocratica. Una prospettiva del tutto simile a quella blairiana seguita e fatta propria da altri settori della socialdemocrazia europea. Nel contesto francese questa opzione ha però accentuato due elementi caratteristici: il radicale distacco dagli interessi e dai sentimenti delle classi popolari e una netta curvatura autoritaria.
Macron ha dato vita ad un liberalismo tendenzialmente illiberale confermando che in Europa e non solo i confini tra liberisti europeisti e liberisti euroscettici è assai più labile di quanto la propaganda corrente voglia ammettere (in questo quadro ci si può interrogare anche sulle finalità del recente arresto, proprio a Parigi, del proprietario e fondatore di Telegram).
Di fronte all’evidente e crescente crisi di consenso delle politiche di Macron, la reazione del Presidente della Repubblica è di forzare gli elementi autoritari, presenti nella costituzione della Quinta Repubblica fin dall’origine, per costruire un governo in grado di perseguire politiche sconfessate dall’elettorato.
Questo non è un elemento specificamente francese anche se in Francia assume forme specifiche, perché è risultato evidente in questi anni che mentre le classi dominanti possono tollerare governi influenzati dall’estrema destra, considerano le forze di sinistre antiliberiste o anche soltanto critiche verso gli aspetti più estremi del neoliberismo, fuori dai confini dell’accettabile. Il “fattore K” può tranquillamente sopravvivere anche alla riduzione del peso dei Partiti comunisti.

La logica elettorale espressa dal voto popolare e anche la stessa realtà storica della coabitazione fra un Presidente di un determinato orientamento politico e un Parlamento di diverso colore, avrebbe voluto che Macron, prendendo atto della sconfessione ricevuta dall’elettorato, desse l’incarico a Lucie Castets, indicata unanimemente dalla coalizione del Nuovo Fronte Popolare. Sarebbe poi spettato a lei verificare in Parlamento la possibilità di evitare il voto di sfiducia da parte degli altri gruppi parlamentari.
La scommessa dell’NFP era di poter presentare una serie di misure a favore delle classi popolari e quindi aprire delle contraddizioni in seno ai campi politici avversi. Una carta che sarebbe stato possibile giocare poi o in una nuova elezione legislativa, che non si potrà tenere prima dell’estate del 2025, oppure nelle prossime elezioni presidenziale previste, salvo scossoni, nel 2027. In particolare sarebbe stato il partito della Le Pen, che si presenta come socialmente vicino ai settori popolari ma il cui nocciolo di politica economica resta saldamente ancorato agli interessi della grande borghesia industriale e finanziaria, a dover forse pagare il prezzo, in termini di consenso, di un allineamento al macronismo.
Il Nuovo Fronte Popolare, coalizione nata più dall’emergenza e dalla spinta dal basso che non da un vero percorso di costruzione progettuale (e forse questo era l’unico modo nel quale poteva nascere), ha finora retto nonostante i mal di pancia evidenti della parte più moderata del Partito Socialista.
La France Insoumise, che rappresenta la principale forza parlamentare dell’NFP, si è mossa con molta flessibilità tattica, grazie anche al fatto che la struttura interna permette a Melenchon di assumere qualsiasi decisione ritenga utile senza doversi confrontare con organismi collettivi che, di fatto, non esistono. Ha accettato una candidata al ruolo di Primo ministro non appartenente al gruppo ristretto del partito ma considerata comunque affine alla sua strategia del partito soprattutto nel rifiuto di annacquare il programma del Fronte per allargare la base parlamentare. Ha anche dato la disponibilità a non inserire ministri della France Insoumise per smontare l’argomento pregiudiziale di Macron, rivelando quanto era comunque prevedibile; che la pregiudiziale non è solo verso Melenchon ma verso le proposte di politica economica e sociale che il Fronte sostiene: soppressione della controriforma delle pensioni, aumento del salario minimo, ecc. Una posizione che la Confindustria francese, il Medef, ha condannato senza appello, per bocca del suo Presidente senza nemmeno dover ricorrere alle fumisterie del “politichese”.

Per la sinistra francese due sono le scommesse da vincere. La prima è di riuscire a mantenere l’unità interna che presuppone la capacità di tenuta del Partito socialista sulla linea del segretario Olivier Faure. Il dissenso nel partito esiste ed è dichiarato. L’anima più moderata e governativista salterebbe volentieri sul carro macroniano, ma il prezzo politico da pagare per un’operazione trasformistica al momento è ancora troppo elevato.
La seconda sfida è quella di allargare il consenso popolare che le elezioni, pur vinte in termini parlamentari, hanno confinato ad un terzo dell’elettorato. La strategia di Melenchon, come abbiamo argomentato in un precedente articolo, unisce mosse radicali, spesso non troppo gradite dagli alleati, con rapidi mutamenti tattici che permettono di non portare i dissensi all’interno dell’NFP fino all’esplosione. Nelle prossime settimane si vedrà se la mobilitazione popolare invocata per il 7 settembre sarà tale da pesare nei rapporti di forza politici, mentre la prospettiva dell’impeachment del Presidente per abuso di potere, che al momento sembra tramutarsi difficilmente in un successo, potrebbe però costituire una spada di Damocle dagli esiti imprevedibili.
Non vi è dubbio che Melenchon si muova avendo come orizzonte ultimo le elezioni presidenziali del 2027 viste come un possibile scontro finale fra la sinistra guidata dalla France Insoumise e la destra della Le Pen. Alla fine, come ha sempre predicato il leader di LFI, resteremo “noi e loro”.

Macron intanto con le sue consultazioni, alle quali il NFP rifiuta di partecipare, spera di costruire una palude parlamentare tale da poter sostenere bene o male un governo che continui, malgrado la volontà degli elettori, a condurre le politiche dei governi precedenti. Tenere insieme la sua coalizione “Ensemble”, attraversata da divisioni più o meno sotterranee, inglobare i Repubblicani a destra e sperare che prima o poi una parte dei socialisti ceda al richiamo della governabilità, sembra per ora la prospettiva del Presidente. Ma i Repubblicani, che hanno già perso l’ala filo-Le Pen guidata da Eric Ciotti che se ne è andata col Rassemblement National, sono divisi al loro interno e sembrano al massimo disponibili ad un appoggio esterno su alcune misure di politica economica.
Se questa operazione di manipolazione parlamentare dovesse fallire, a Macron resterebbe solo un’altra possibilità, quella di contrattare, non troppo sottobanco, la “non sfiducia” da parte dell’estrema destra. Un’ulteriore conferma che tra liberalismo liberista e destra etno-nazionalista di ispirazione fascista, una qualche intesa si può sempre trovare, pur di bloccare qualsiasi politica che provi a mettere in discussione, anche solo su singole misure di politica economica, gli interessi delle classi dominanti.

Il Nuovo Fronte Popolare ha il merito, come altre esperienze di governo in Europa che sono risultate in generale finora sconfitte, di tentare di modificare questi rapporti di forza e di tenere aperta un’altra prospettiva. Avendo la consapevolezza che per farlo occorre costruire alleanze e spostare a sinistra anche settori significativi dell’ambientalismo politico e della socialdemocrazia. Nel caso francese questo è stato fatto scegliendo una linea di sostegno alla prosecuzione della guerra in Ucraina, sulla quale per altro si è determinata una sostanziale convergenza della sinistra radicale, come ha dimostrato il recente voto compatto della France Insoumise a favore della mozione bellicista approvata dal parlamento europeo.

La partita francese è naturalmente complicata e il suo esito non è facilmente prevedibile, ma è comunque una “finestra di opportunità” che può aprire una fase nuova in Europa per una sinistra di trasformazione che, al momento, attraversa una fase difficile.

Franco Ferrari

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