«Sovranismo» è la parola che nell’ultimo decennio è stata meglio in grado di dare espressione alla visione di forze politiche che interpretano lo scontento verso la globalizzazione e l’ostilità verso i processi di integrazione europea. Nuovo e accattivante, scevro da richiami ai cascami ideologici novecenteschi, il termine ha offerto a osservatori e studiosi una chiave semplice e unitaria per interpretare fenomeni diversi: dall’euroscetticismo nei paesi dell’est Europa alla Brexit, dalla vittoria di Donald Trump e Jair Bolsonaro alla crescita della destra radicale populista al di qua dell’Atlantico.

Proprio la sua ampiezza semantica rende difficile, tuttavia, valutarne la tenuta nel tempo, le sorti, l’aderenza a fenomeni concreti. Dopo la pandemia, la gestione coordinata dei vaccini e la risposta comune alla crisi con il Next generation Eu ha portato a parlare di «fine del sovranismo», almeno nel Vecchio continente. La sconfitta della destra radicale in paesi come gli Stati Uniti, il Brasile, e più recentemente la Polonia, ha rafforzato la percezione del suo tramonto.

ORA, ALL’APPROSSIMARSI delle elezioni europee del 2024, «sovranismo» è tornato a indicare il nemico da battere per le forze europeiste. Il referente sembra però limitato alla frangia più estrema delle destre che si raccolgono nel gruppo Identità e democrazia, tra cui la Lega di Matteo Salvini, il Rassemblement national di Marine Le Pen, Alternative für Deutschland, il Partito della libertà austriaco. Il gruppo guidato da Giorgia Meloni, Conservatori e Riformisti, di cui fanno parte anche l’estrema destra spagnola di Vox e il Pis polacco, è invece accreditato come forza europeista e non (più) sovranista.

Il sovranismo è dunque divenuto un’opzione residuale, di retroguardia, da contenere tramite un «cordone sanitario» sempre più striminzito? Oppure alcuni dei tratti caratteristici della visione politica a cui solo pochi anni fa è stato dato questo nome si sono oggi resi più irriconoscibili, essendo entrati, di fatto, nell’offerta mainstream dei partiti europeisti?
Per fare chiarezza, vale la pena di tornare a una definizione. Il «sovranismo» è il nome assunto da quella posizione politica che, da un lato, rivendica autonomia per gli Stati-nazione, contro le influenze politiche, economiche, sociali, culturali di soggetti esterni; dall’altro, difende la sovranità popolare in contrapposizione agli organi di garanzia non eletti.

PER IL PRIMO ASPETTO, il sovranismo si presenta come una riedizione contemporanea del nazionalismo, nel tempo in cui però la sovranità dello Stato-nazione appare in declino, sia a causa della cessione di parte delle sue prerogative a organismi sovranazionali, sia della subordinazione di fatto del potere politico ad altri poteri, come quello economico.

«Sovranismo» e «nazionalismo» sono spesso usati come sinonimi, ma la distanza tra i due termini è notevole. In entrambi i casi si ha una glorificazione del popolo-nazione; dove però il nazionalismo persegue un disegno di libertà della nazione da Stati oppressori, o di supremazia di uno Stato-nazione sugli altri attraverso la politica di potenza, il sovranismo è fondamentalmente un’istanza di difesa della way of life nazionale e tradizionale contro la minaccia dei flussi globali e della società aperta: contro – cioè – attori non statuali che difficilmente possono rappresentare una minaccia per il potere degli Stati.

A unire le parole d’ordine dei sovranismi di diversi paesi è infatti soprattutto il fronte comune dell’opposizione all’immigrazione incontrollata. Anche nei rapporti con le istituzioni sovranazionali, in particolare l’Unione europea, il terreno principale di conflitto sono le questioni relative al controllo dei confini esterni, alle politiche di accoglienza dei rifugiati, alla ripartizione degli oneri.

Il secondo aspetto dell’ordine sovranista, quello che riguarda il potere del popolo, è particolarmente saliente per il progetto della «democrazia illiberale», patrocinato per esempio da Orbán in Ungheria e Kaczyński in Polonia, in cui l’appello alla volontà della maggioranza delegittima i vincoli liberali della separazione dei poteri, dei diritti fondamentali, o del rispetto dei trattati internazionali. La volontà popolare deve affermarsi senza limiti. Chi vi si oppone è additato come nemico. Da qui, le frequenti controversie che oppongono partiti e leader di questa famiglia politica alle decisioni delle Corti costituzionali o di quelle internazionali, specialmente su temi identitari, cioè in materia di diritti delle minoranze etnico-razziali o sessuali, o di diritti riproduttivi.

NELLA RAPPRESENTAZIONE sovranista, insomma, le maggioranze native, o sessuali, etniche o religiose reclamano il loro diritto a decidere chi può entrare e a quali condizioni, chi può godere della piena cittadinanza, chi va difeso dalla violenza e chi invece non conta tra le vite degne di protezione. I limiti costituzionali e i vincoli stabiliti dal diritto internazionale in materia di diritti umani figurano come un’intromissione illegittima nelle prerogative sovrane del popolo.

Nei casi più estremi, la concezione maggioritarista della democrazia porta il «popolo» populista a occupare lo spazio del potere costituente e a modificare, per il tramite dei partiti di governo o attraverso referendum, le regole e i principi delle carte fondamentali. Ciò comporta la fusione del programma politico della maggioranza (cioè di una parte del tutto) con la volontà dello Stato, e il collasso della distinzione tra politica ordinaria e politica costituzionale.

Se questo è ciò che caratterizza la visione che chiamiamo «sovranismo», pare senz’altro fuorviante applicarla solo alle pulsioni euroscettiche dei partiti «identitari» e non, altrettanto, ai cosiddetti «conservatori». Innanzitutto, perché poco o nulla li distingue nella difesa nativista dei confini dalla minaccia dello straniero. E inoltre, perché alcuni dei partiti che in modo più eclatante hanno difeso le prerogative della maggioranza contro i check and balances dello Stato di diritto, come il Pis, siedono proprio accanto a Giorgia Meloni.

DI CONTRO, SI PUÒ OSSERVARE come alcune delle istanze sovraniste siano penetrare così a fondo nel senso comune della politica europea da rendersi quasi invisibili come elemento conflittuale. È il caso, in particolare, delle politiche sulle migrazioni da paesi terzi: il Patto siglato a Bruxelles a dicembre 2023 irrigidisce ulteriormente l’approccio di chiusura dei confini esterni che già da decenni fa parlare di una Europa «fortezza». Negli stessi giorni, il via libera dell’Ungheria ai negoziati di adesione dell’Ucraina nell’Ue è stato barattato con un sostanziale lasciapassare per le violazioni dello Stato di diritto perpetrate da Orbán.

Fonte: il Manifesto
È quindi forse l’Europa intera ad essere diventata – non sembri un paradosso – «sovranista». E allora «sovranismo» potrebbe smettere di significare alcunché. Oppure essere il termine più capace di interpretare un presente in cui ciò che si fa norma si rende invisibile, come lo spirito del tempo, o l’aria che si respira

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