di Ida Gentile

PERUGIA - Per anni ho creduto che essere umiliate tutti i giorni non fosse un buon motivo per ‘sfasciare’ la mia famiglia e che la mia situazione fosse migliore rispetto a tante altre perché mio marito non alzava ‘abitualmente’ le mani”. Inizia così il racconto  che Luce ci riporta dei lunghi anni passati vicino ad un uomo profondamente egoista e, a tratti anche violento, che l’ha condotta nel “buio” profondo della depressione.

“Ora che sono riuscita a liberarmi da questa schiavitù psicologica – racconta Luce, che ha scelto questo nome di fantasia a testimonianza della ritrovata brillantezza di animo che oggi sente dentro – voglio dire a tutte le donne di non ‘subire’ passivamente, ma di guardarsi attorno e cercare aiuto, perché c’è sempre una strada per uscire da una situazione difficile. Inoltre, ci tengo a sottolineare che un uomo può essere violento in molti modi e che, in alcuni casi - ed è stato il mio - il sentirsi ignorati, essere trattati con rabbia, prepotenza, arroganza e aggressività verbale, può procurare un dolore altrettanto grande quanto quello procurato dalla violenza fisica”

Luce si è trasferita da poco a Perugia, ha cinquant’anni, un figlio ed una professione che ama. Per lavoro e per interesse personale studia molto, legge, viaggia. E’ stata sposata con un professionista per circa 20 anni, nel corso dei quali si era - sono sue parole - “mitridatizzata” di fronte all’indifferenza e alla violenza morale dell’uomo che “pensava” di continuare ad amare a prescindere…

A prescindere dal fatto che lui non la degnasse di attenzione alcuna, che continuasse a farla sentire inutile come donna e come mamma, che continuasse a non contribuire sotto nessuna forma, soprattutto economica, a mandare avanti la casa e ai bisogni del figlio, rifiutando con indifferenza anche di pagare una sola bolletta. “Era tutto un “no” – racconta – Puoi? No. Andiamo? No. Mi servirebbe..No”.

Ma il percorso per arrivare alla decisione di “darci un taglio” per Luce è stato particolarmente difficile perché nella sua famiglia di origine la donna ha avuto sempre un ruolo di secondo piano:  “Io ci pensavo tutte le notti. Mi dicevo domani lo lascio, ma il giorno dopo mi sembrava impossibile. Era tutto troppo complicato. Nostro figlio, la comunione dei beni, i suoi problemi di lavoro, la mia paura di lasciare un mondo che, malgrado tutto, continuava a darmi la certezza che poi, ho scoperto, essere solo quella dell’abitudine. Per dirla in breve, mi vedevo ai piedi di una montagna e senza le forze per affrontare quella grande salita rappresentata da un divorzio”. 

Ma il peggio è arrivato dopo, quando lei ottiene sempre più successi professionali mentre la carriera di lui si intoppa. Nel tempo le cose sono peggiorate, il marito di Luce ha fatto degli investimenti sbagliati e dal punto di vista professionale si è rivelato un fallimento continuando a rifiutare sempre di condividere con la moglie  i suoi problemi. “Intanto – racconta Luce - a casa l’atmosfera era diventata insopportabile e mi ritrovavo ad avere ‘paura’ al momento del rientro e così  allungavo sempre più spesso il percorso del ritorno a casa e  tiravo il fiato prima di aprire la porta per farmi coraggio.

Ma il peggio non si fece attendere: ”Continuavo a barcamenarmi pur sentendomi dentro come morta. Una sera però è successo quello che temevo. È bastata una banalità, in pratica una mia ‘intrusione’ in una discussione tra mio marito e nostro figlio. Ed è volato un ceffone”. Solo il primo, purtroppo. Da quel momento di botte Luce ne ha prese tante: schiaffi soprattutto, tanti schiaffi che lei ha subito in silenzio. Fino a sentirsi dentro una “camera oscura” che l’ha allontanata dagli amici e dai familiari, per poi  incominciare a mangiare in modo compulsivo e ad assumere psicofarmaci. Mai però, aveva preso in considerazione di andare via di casa o di aprirsi con qualcuno.

Fino alla sera in cui, dopo un litigio violento avvenuto in macchina, la sua situazione di salute è precipitata: “Mentre guidavo per andare a riprendere nostro figlio a casa di un suo amico abbiamo discusso per telefono, lui ha incominciato ad insultarmi con cattiveria, mentre guidavo non vedevo più la strada per quanto piangevo. All’improvviso non ho più visto niente. Sono scesa dall’auto e mi sono seduta per terra e pensavo di voler morire. Dopo, il pensiero di mio figlio che stava aspettando mi ha riportata alla realtà. Siamo rientrati a casa e “lui” stava già cenando. Era tranquillo e mangiava da solo, come se non avesse una famiglia. Non ci aspettava mai! La notte è stata orribile e la mattina al risveglio accusavo delle vertigini fortissime – racconta – Non ho chiamato nessuno, volevo morire, lo avevo deciso, non volevo più vivere così e non trovavo il coraggio di cambiare strada perché non ne vedevo altre.  Dopo c’è stato il buio e non ricordo più niente”. Luce è stata ricoverata per due giorni in ospedale e la diagnosi al momento delle dimissioni è stata debilitazione psico-fisica e depressione. Cura: psicofarmaci e vitamine di vario tipo che Luce non ha voluto neanche comprare. Aveva incominciato a dire basta, ed era partita proprio dal ‘Basta’ agli psicofarmaci. Al rientro a casa, per circa un mese non è mai uscita e la mattina da sola passeggiava su è giù per il corridoio. Poi ha fatto un passo in avanti, lei e il figlio  si sono trasferiti dalla mamma con la scusa di aver bisogno di un luogo accogliente per riprendersi. E lì, nella casa della sua famiglia di origine ha capito che non poteva farcela da sola, che aveva il bisogno di aprirsi, ma non sapeva con chi parlare. A chi poteva affidare il suo segreto? Così ha preso la decisione che in quel momento le appariva più neutra,  e si è rivolta ad uno psichiatra.

“Ho capito che stavo morendo, che non potevo continuare così – dice – Non mi ritrovavo più.  Dove sono finita? – mi chiedevo io - Dov’era finito il mio amor proprio e che esempio davo a mio figlio?”.

“Mio figlio, tutto quello che ho fatto dopo è stato anche per lui”: Luce si è rivolta ad uno psichiatra specializzato in psicoterapia e da lì ha ricominciato:”È stato dolorosissimo l’inizio e, con mia  sorpresa, mi sono resa conto che il medico non mi chiedeva niente di mio marito, ma ero io la protagonista delle sedute e che tornavo, dopo anni, ad essere al centro dei miei pensieri”.

Lo psichiatra in pratica aveva ribaltato la mia visione del problema: “Per tutti questi anni ho sempre pensato, perché lui non mi lascia? perchè sta con me? Al contrario, il dottore mi chiese, ma quando lui ti picchia  tu cosa pensi e perché lo accetti?”

Tornando a casa in treno pensavo, “ma perché io ho permesso tutto questo? ma di che cosa ho paura?”. La notte era tutto un rimuginare su me stessa, sui miei errori, su come mi sarei dovuta comportare. Così ho capito che mio marito in realtà era una persona fragile e piena di problematiche irrisolte, con una grande paura di affrontare la vita, ma anche troppo ‘incolto e poco profondo’ per saper accettare i suoi limiti e lavorare il suo ‘io’  per migliorarlo. Scegliere la strada del forte con i deboli e debole con i forti per lui è stato più semplice ed io ero diventata il suo “punching ball”. Ma in contemporanea, ho scoperto cose di me che non conoscevo, prima tra tutte una grande paura di infrangere le convenzioni sociali, che tradotto significava, prendo le botte ma all’esterno siamo una famiglia. Poi la paura della solitudine”.

Anche in questo caso però, la coperta si fa corta: “Ma io sono già sola mi sono detta una sera ed anche economicamente sono perfettamente autosufficiente visto che in questi anni non ho mai visto una lira proveniente da altre tasche”. Questo pensiero è stato illuminante per svoltare. Non è stato facile, ha impiegato un anno e mezzo per prendere la decisione, ma poi Luce ha lasciato il marito ed ora sta ripartendo piano piano.    

“La mia, rispetto alle storie di cronaca che leggiamo sui giornali negli ultimi tempi, è un’esperienza quasi banale, ma voglio raccontarla perché credo sia importante dare un messaggio ad altre donne che vivono la mia situazione e che, in apparenza, sono privilegiate per ceto sociale e culturale. In realtà molte di queste donne hanno più ritrosia a raccontarsi e credono di potercela fare da sole. Ma non sempre è così, perché i fattori in gioco sono tanti. Ad esempio, io mi sono accorta di giustificare mio marito perché non mi picchiava tanto e non abitualmente, quindi troppo poco per giustificare la rottura. Che orrore, penso ora! Mentre i maltrattamenti fisici hanno un peso per decidere un divorzio, l’indifferenza e violenza morale in apparenza non sono buone ragioni per ‘lasciarsi’. Non è vero, è un inganno della mente per illuderci che la nostra vita non è poi così male. Mentre alla fine, quando si tirano le somme, ci si accorge che il maltrattamento ha mille facce e che in tutte le sue forme fa molto male”.       

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