di Francesca Coin* e Kimberlé Crenshaw - Jacobin Italia.

Pubblichiamo un piccolo estratto dell’approfondita intervista di Francesca Coin a Kimberlé Crenshaw che abbiamo pubblicato nel n. 2 di Jacobin Italia “Scioperi!”. In questa intervista Kimberlé Crenshaw discute il concetto di intersezionalità, divenuto centrale nello sciopero femminista globale negli ultimi anni. Per chi volesse leggere la versione integrale dell’intervista, e tutto il numero dedicato al tema dello sciopero, naturalmente può abbonarsi qui o cercare la nostra rivista in libreria.

Oggi celebriamo il trentesimo anniversario dell’intersezionalità e vorrei tornare a trent’anni fa, quando hai usato questo concetto per la prima volta. Puoi dirci come hai sviluppato il concetto e qual era il suo scopo?

L’intersezionalità è una metafora che ho sviluppato per chiarire i modi in cui forme di discriminazione distinte a volte si intrecciano e creano ostacoli che spesso non vengono compresi se confinati nella discriminazione razziale o di genere. Ho deciso di scrivere un articolo per evidenziare in che modo le leggi anti-discriminazione fossero inadeguate ad affrontare la discriminazione delle donne nere. La ragione per cui in tribunale i giudici non erano in grado di capirlo è che la discriminazione razziale e quella di genere venivano considerate come categorie separate e mutualmente esclusive: si poteva essere oggetto di discriminazione razziale o di genere, ma l’idea che si potesse essere vittima di entrambe era in gran parte difficile da immaginare. Era come se questi due tipi di discriminazione fossero binari paralleli che viaggiavano su linee rette senza incontrarsi mai. Volevo trovare una metafora per cambiare il modo in cui le persone pensano la discriminazione e dire che in verità queste due linee non sono parallele ma curvano [ride]. Per questo ho portato quel pensiero sino al punto in cui quelle categorie non erano più lineari ma potevano intersecarsi. Da allora mi sono resa conto che si possono sempre elencare i fatti, ma se non si può dare a chi ascolta una cornice in cui inserirli, i fatti non contano. L’intersezionalità era una cornice capace di contenere al suo interno gli innumerevoli modi in cui le donne nere sono oggetto di discriminazione. Uno dei motivi per cui le ragioni della loro discriminazione sono state a lungo ignorate, è che le cornici concettuali suggerivano che il razzismo fosse qualcosa che accade a tutte le persone della stessa razza come la misoginia è qualcosa che accade a tutte le persone dello stesso genere, ma non è detto sia così. In alcuni dei casi di discriminazione lavorativa che stavo esaminando c’erano tipi di impiego per persone nere e tipi di impiego per le donne, ma i lavori per le persone nere erano per uomini neri e i lavori femminili erano per donne bianche. Era il classico tipo di situazione in cui hai due strutture di potere che si intersecano facendo subire alle donne nere un trattamento distinto rispetto agli uomini neri e alle donne bianche. Vedevamo questi fatti ma non avevamo una cornice teorica in base alla quale mostrare e far capire ai giudici la discriminazione delle donne nere come sottogruppo. Per riuscirci dovevamo più o meno ricreare la scena del delitto e mostrare come queste strutture di oppressione si intersecano con modalità uniche per persone che si trovavano in una posizione tale da sperimentare entrambi i tipi di discriminazione. 

Quando Trump è stato eletto, hai scritto che la sua vittoria era il sintomo di un fallimento intersezionale. In quei giorni, i media mainstream sostenevano che l’elezione di Trump fosse una conseguenza delle perdite subite dalla classe lavoratrice. La classe lavoratrice era stata lasciata indietro e questa era la causa scatenante del risultato elettorale. Il risentimento di classe da solo, tuttavia, non spiega cosa è successo. In White Rage (Bloomsbury, 2016), Carol Anderson guarda ai modi in cui ogni passo avanti dei movimenti afroamericani nella storia degli Stati uniti è stato osteggiato dal risentimento bianco. In questo senso, non si tratta semplicemente delle perdite della classe lavoratrice. È il modo in cui queste perdite hanno risvegliato la percezione di un diritto acquisito bianco in base al quale la giustizia di classe poteva essere perseguita solo a scapito dei migranti e delle popolazioni di colore. Che cosa intendi per fallimento intersezionale e qual è il ruolo del risentimento bianco in tale fallimento?

Be’, questa è un’ottima domanda. Direi che il fallimento intersezionale è la conseguenza di una visione politica che vuole essere trasformativa ma non riesce a interrogare pienamente i fondamenti della propria azione e diviene vulnerabile a contraddizioni politiche che rubano al movimento la sua stessa capacità di fare ciò che dichiara di voler fare. In questo senso, abbiamo parlato di fallimento intersezionale all’interno dei movimenti antirazzisti fondati sul patriarcato o all’interno del femminismo fondato sulla supremazia razziale. Si potrebbe dire allo stesso modo che i fallimenti intersezionali riguardano una politica di classe che si fonda su confini nazionali, su nozioni xenofobe di cosa sia la comunità o su stereotipi patriarcali rispetto a come dovrebbe essere la famiglia. Come si presenta un movimento di classe che non include i lavoratori migranti? Cosa succede quando la tua coscienza di classe si fonda su stereotipi nazionalisti e xenofobi? Significa che si vedono nemici e minacce dove vi sono opportunità e che ci sono cose che non si vedono, per esempio che ciò che realmente minaccia i lavoratori non sono altri lavoratori ma una massiccia iniquità nella distribuzione della ricchezza e del potere. Una coscienza di classe che non guarda in alto ma in basso è una ricetta per il fallimento degli interessi della classe lavoratrice in tutto il mondo. E’ un problema enorme negli Stati uniti e infatti uno degli argomenti usati per giustificare lo spostamento all’estrema destra è che la classe lavoratrice sta rispondendo al fallimento della politica tradizionale e cercando un riconoscimento politico capace di evitare il continuo arretramento sociale ed economico. Ma se questo spiegasse davvero la vittoria di Trump, le donne nere sarebbero le sue principali sostenitrici perché socialmente ed economicamente hanno sempre subito le perdite più significative! Se questa fosse davvero l’analisi, le persone che sostengono Trump sarebbero completamente diverse. E ciò basta per dire che questa articolazione della classe lavoratrice è di per sé un fallimento intersezionale.

Pensi che questo sia il motivo per cui stanno cercando di ridefinire l’intersezionalità in termini di vittimismo? Voglio dire, sembra che l’estrema destra stia offrendo una definizione di intersezionalità purificata dalle strutture di oppressione che producono vulnerabilità – l’etero-patriarcato, il razzismo o la storia coloniale, per esempio. Poiché non vedono alcuna struttura di oppressione, tali analisi riducono la nozione di intersezionalità a una politica identitaria – c’è persino un calcolatore on line che ha lo scopo di calcolare il tuo punteggio intersezionale per premiare i più oppressi. Immagino che sia questo che intendi quando parli di definizioni di intersezionalità non-intersezionali, come quella di Ben Shapiro. In Italia, un paese che non ha mai fatto i conti con la sua storia patriarcale, coloniale o fascista, mi sembra che l’intersezionalità sia spesso percepita come un termine radical-chic, fastidioso, per molte persone, sino a configurarsi talvolta come una specie di vero e proprio tradimento dei “veri” valori di classe, come se la classe lavoratrice vera richiedesse la fedeltà a un immaginario identitario virile e bianco.

Ciò che mi affascina è il modo in cui l’accusa di vittimismo che muovono all’intersezionalità non gli impedisca di usare il proprio vittimismo in modo legittimo. Di fatto quella della destra non è davvero una critica al vittimismo, è una critica contro chi lo rivendica, e quindi fondamentalmente è una vera e propria presa del potere. Il mio collega Luke Harris dice che ciò fa parte di un’azione più ampia contro i diritti civili, che include i programmi di discriminazione positiva [affirmative action] e le politiche di eguaglianza perché per loro tutto si riduce a un problema di “diminuita sovra-rappresentazione” [diminished over-representation]. Fondamentalmente gli uomini bianchi sono sovra-rappresentati in tutta la società. La sovra-rappresentazione è spesso il prodotto di un potere illegittimo e l’intersezionalità offre strumenti retorici, analitici e teorici per interrogare quella distribuzione asimmetrica del potere. Il contraccolpo è che l’intersezionalità viene percepita come ingiusta nei loro confronti. Quindi per loro è ingiusta anche una lieve e modesta diminuzione della loro sovra-rappresentazione – non parliamo di togliere loro il potere o di camminargli sulla testa, diciamo solo che la tremenda sovra-rappresentazione che hanno nei luoghi di potere non coincide con la democrazia, non è equa. In questo caso, il potere stesso di rivendicare lo status di vittima in modo così facile è un’illustrazione plastica di che cosa significa essere nel gruppo dominante, del potere di essere maschio e di essere bianco. Kate Manne, l’autrice di Down Girl: The Logic of Misogyny (Oxford University Press, 2017), di cui sono una grande fan, ha una parola per tutto questo ed è himpathy – l’empatia sproporzionata per gli autori maschili di molestie sessuali. Ne ha parlato all’udienza di Kavanaugh [il giudice nominato da Trump alla corte suprema che ha avuto un’accusa per stupro], e anche se molti hanno visto Christine Blasey Ford come una legittima testimone di qualcosa che a molte persone sembra essere avvenuto, e nonostante Kavanaugh abbia mostrato una fondamentale mancanza di qualificazione per essere un giudice e di non avere il temperamento che avrebbe dovuto avere, c’è stata una reazione di himpathy nei confronti di un uomo bianco dell’élite che stava perdendo ciò che aveva diritto di avere. L’empatia nei confronti dell’élite maschile e bianca, a mio avviso, sta giocando un ruolo importante anche nel modo in cui queste argomentazioni semplicistiche contro l’intersezionalità vengono assunte come verità evangeliche. Gli uomini bianchi dell’élite fanno sempre ragionamenti intersezionali che non sono visti come tali, perché lo status quo inizia con loro – con la loro biografia e la loro identità sociale. La neutralità inizia sempre dagli uomini bianchi. Così, quando affermano di aver perso qualcosa perché il loro diritto ad averla è il fondamento dello status quo, la gente la vede come una perdita illegittima. Quando invece altre persone affermano di aver perso qualcosa, la domanda diventa: “ma eri veramente sicura di meritarlo”? Le persone di colore, le donne e i migranti non hanno lo stesso capitale retorico e sociale degli uomini bianchi. Quando gli uomini bianchi dicono che qualcosa li danneggia, diviene subito un problema sociale. Quando invece persone di colore sostengono di essere state danneggiate da secoli di colonialismo, schiavitù e patriarcato nessuno ci crede: questo è il potere!

*Francesca Coin, sociologa all’Università Ca’ Foscari di Venezia, si occupa di lavoro, moneta e diseguaglianze. Kimberlé Crenshaw insegna alla Ucla di Los Angeles e alla Columbia. Tra le pioniere della teoria critica della razza, ha introdotto il concetto di intersezionalità.

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