Gentile Ministro Giulia Grillo,

tra pochi giorni si potrà celebrare formalmente il quarantesimo anniversario dell’istituzione del Servizio sanitario nazionale (Ssn). Era infatti il 23 dicembre 1978 quando il parlamento approvò a larghissima maggioranza la legge N. 833 che trasformava radicalmente – in senso universalistico – il sistema sanitario italiano. Oggi si parla molto di «cambiamento», ma quell’anno, il 1978, fu un tempo di autentico «cambiamento» per la sanità e la salute della popolazione italiana. Oltre alla Legge 833 nello stesso anno furono approvate la Legge 180 («legge Basaglia») e la Legge 194 (sull’interruzione volontaria di gravidanza). Tutte e tre le leggi portarono la firma di Tina Anselmi, prima donna ministro nella storia della Repubblica italiana, una figura politica straordinaria, rievocata così dal presidente Mattarella: “ Tina Anselmi: partigiana, parlamentare, ministro di grande prestigio, ne ricordo il limpido impegno per la legalità e il bene comune”.

Tina Anselmi (1927-2016)

L’anno 1978, così denso di date significative per la salute a livello nazionale, e anche internazionale(Dichiarazione di Alma Ata, settembre 1978), rappresenta una sorta di spartiacque della storia (anche nel campo della sanità), con un «prima» e un «dopo».
Il «prima» è il periodo successivo alla fine della Seconda guerra mondiale, in cui si registra l’espansione del welfare universalistico – tratto comune dei governi liberaldemocratici e socialdemocratici europei – e si afferma il principio secondo cui alcuni servizi fondamentali, come l’istruzione e la sanità, debbano essere sottratti ai meccanismi di mercato e quindi essere garantiti dallo Stato, per offrire pari opportunità a tutti e per ridurre il rischio della dilatazione delle disuguaglianze all’interno della società (provocate per l’appunto dal mercato).
Il «dopo» prende le mosse agli inizi degli anni ottanta, con l’elezione di alcuni leader ultra-conservatori – Margaret Thatcher in Gran Bretagna (1979) e Ronald Reagan negli Stati Uniti (1980) – e con l’affermarsi del neoliberismo. Le politiche neoliberiste si applicano anche alla sanità, che diventa terreno di conquista del mercato a livello globale, come si legge in un articolo di The Lancet del 2001: “Negli ultimi due decenni la spinta verso riforme dei sistemi sanitari basate sul mercato si è diffusa in tutto il mondo, da Nord verso Sud, dall’Occidente all’Oriente. Il «modello globale» di sistema sanitario è stato sostenuto dalla Banca mondiale per promuovere la privatizzazione dei servizi e aumentare il finanziamento privato attraverso il pagamento diretto delle prestazioni. […] Questi tentativi di minare alla base i servizi pubblici, da una parte, rappresentano una chiara minaccia all’equità nei paesi con solidi sistemi di welfare in Europa e in Canada, dall’altra costituiscono un pericolo imminente per i fragili sistemi dei paesi con medio e basso reddito”[1].

Gentile Ministro, quest’articolo si è rivelato profetico. Con la crisi finanziaria del 2008 quel «modello globale» basato su meno Stato e più Mercato, anche in sanità, è sbarcato in Europa, con la forma di un vero e proprio assalto all’universalismo[2]. L’assalto ha riguardato in particolare la Grecia (il cui sistema sanitario pubblico è stato raso al suolo), ma anche la Spagna e l’Inghilterra, dove nel 2012 sono state legiferate radicali riforme di diversa matrice, ma con in comune l’obiettivo di una estesa privatizzazione dei servizi sanitari[3].  Anche in Italia è in atto l’assalto all’universalismo. Ma a differenza di quello che è avvenuto in Inghilterra e in Spagna, nel nostro paese l’assalto non ha trovato un percorso politico e legislativo trasparente. In Italia l’assalto all’universalismo – e ai principi fondanti della Legge 833 – si manifesta con un disegno basato sul definanziamento del settore sanitario pubblico (con il blocco delle assunzioni e degli investimenti) e sulla promozione del «secondo pilastro» assicurativo privato.  La formula ideata per mettere in crisi il Ssn è semplice e a suo modo geniale. Si tratta del mix di interminabili tempi di attesa (conseguenza della scarsità dell’offerta pubblica) e di ticket particolarmente esosi (introdotti dal governo Monti e rafforzati dalle Regioni), spesso più costosi delle prestazioni private. L’obiettivo è quello di far migrare crescenti volumi di utenti dai servizi pubblici al settore privato a pagamento, l’effetto collaterale quello di costringere le fasce più deboli a rinunciare alle prestazioni, o a indebitarsi.

Questo (odioso) meccanismo riguarda quasi esclusivamente le prestazioni specialistiche e diagnostiche. Una scelta tutt’altro che casuale, per i seguenti motivi:

Infondere l’idea che il Ssn altro non è che una macchina per la produzione di singole, episodiche prestazioni; se il Ssn non le produce a sufficienza ci penserà qualche altra macchina. L’importante è averle, e presto, quelle prestazioni.
La domanda di prestazioni è facilmente manipolabile. È agevolmente misurabile in termini quantitativi e contabili, molto meno in termini di qualità e appropriatezza. “Noi ordiniamo sempre più test per cercare, spesso invano, di essere sicuri di ciò che vediamo”, scrive Iona Heath, medico di famiglia inglese. “È siccome temiamo che coloro che si trovano nel regno dei sani si trovino forse nel regno dei malati, noi continuamente deviamo le risorse dai malati ai sani, cosicché la sovradiagnosi è inevitabilmente legata al sottotrattamento di quelli già malati. La sovradiagnosi dei sani e il sottotrattamento dei malati sono le due facce della moderna medicina. La paura dei pazienti alimenta la paura dei medici e viceversa; specialmente nei sistemi sanitari frammentati che non presidiano la continuità delle cure. È solo all’interno di relazioni di fiducia che queste paure possono essere contenute”[4].
Il mercato sanitario privato ha rapidamente intercettato questa tendenza gettandosi sulla produzione di prestazioni, da vendere anche al supermercato, in competizione con il Ssn sia sul prezzo, che sui tempi di attesa. Il mercato assicurativo non è stato da meno, promuovendo «secondi pilastri» interamente basati sull’erogazione delle prestazioni di cui sopra, alimentando la sovradiagnosi anche con l’offerta di irrazionali «pacchetti prevenzione” (vedi post Psicopatologia della politica).

Gentile Ministro, il Ssn non può essere ridotto a una fabbrica di prestazioni. Il Ssn deve tutelare e promuovere la salute delle persone e attrezzarsi per affrontare adeguatamente l’epidemia delle malattie croniche (e della sub-epidemia della multimorbosità). “Nonostante si viva in un mondo dominato dalle patologie croniche, nei luoghi di cura si pratica una medicina quasi esclusivamente per acuti: all’alba del XXI secolo persistono i modelli del XIX secolo”, scrivono R. Rozzini e M. Trabucchi[5]. È necessario per questo un profondo «cambiamento». Un cambio di paradigma basato sulla sanità d’iniziativa: prevenzione e lotta alle diseguaglianze socio-economiche (di malattie croniche si ammalano e ne muoiono molto di più le fasce più disagiate della popolazione), supporto all’auto-cura, presa in carico a lungo termine dei pazienti da parte di team multiprofessionali e multidisciplinari composti da medici di famiglia, infermieri e specialisti, continuità delle cure e più tempo dedicato alla relazione tra professionisti e pazienti, integrazione socio-sanitaria. Il cambio di paradigma richiede un forte rilancio delle cure primarie e dei servizi territoriali. La buona notizia è che tanti giovani medici si sono mobilitati in nome di principi di Alma-Ata, lanciando la campagna: 2018 Primary Health Care, Now or Never.

Gentile Ministro, ho avuto occasione di conoscerla nella precedente legislatura, in quanto membro della Commissione Sanità della Camera, e di apprezzarne la competenza, la passione e l’impegno in difesa del Ssn. Così quando è uscito il suo nome come Ministro della salute mi sono rallegrato, pensando che lei era la persona giusta per quel ruolo, anche per fronteggiare l’assalto all’universalismo di cui abbiamo finora parlato.  Ma c’è un «assalto all’universalismo» di cui non abbiamo parlato finora e che cova all’interno dell’attuale Governo. Alcuni ministri – uno in particolare – hanno giurato sulla Costituzione forse senza averla letta compiutamente. Mi riferisco al ben noto art.32: “La Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività”.  I nostri Padri Costituenti erano dotati di una vista lunga: usarono il termine “individuo” (invece di «cittadino»), attribuendo pertanto la titolarità del diritto alla salute a ogni persona, indipendentemente dallo status di cittadino italiano.  L’universalismo della sanità italiana si fonda sulla Costituzione, prima ancora che sulla Legge 833/78.  Questo universalismo viene violato ogni qualvolta si attuano politiche discriminatorie e vessatorie nei confronti dei migranti, sempre più frequenti, purtroppo, nel nostro paese: dal caso della nave Diciotti nel porto della sua Catania, lo scorso agosto, al recente Decreto Sicurezza che – secondo le principali organizzazioni medico-umanitarie – comporta serie implicazioni per il diritto alla salute delle persone migranti .

Per questo mi permetto di riportare un brano di un articolo di Furio Colombo – “Come si fabbrica la cattiveria” – pubblicato il 16 dicembre sul Fatto Quotidiano e che condivido interamente:

Che rapporto può esserci tra un’Italia che vuol dare subito un reddito ai più poveri e un’Italia, la stessa, che caccia con ruspe e truppe armate quelli ancora più poveri dai rifugi «di fortuna» che si erano trovati? Che legame si può trovare tra un’Italia che vuol essere creduta e rispettata e la frase umiliante «Prima gli italiani» che racconta di gente rozza e prepotente, che vuole comunque passare avanti non per merito ma per «razza»? Come si può volere il reddito di cittadinanza per evitare che qualcuno patisca la fame e poi decretare la fame quotidiana per i bambini non italiani delle scuole di Lodi?

Gentile Ministro, mi rendo conto di quanto duro e impegnativo sia il suo compito e sono convinto che non deluderà chi ha riposto fiducia in lei. Auguri sinceri, Ministro, per il suo lavoro e il suo impegno.

Gavino Maciocco
Saluteinternazionale.info

Firenze, 19 dicembre 2018

Bibliografia

[i] Whitehead M., Dahlgren G. ed Evans T., 2001, Equity and Health Sector Re- forms: Can Low-Income Countries Escape the Medical Poverty Trap?, «The Lancet», n. 358, pp. 833-836.

[ii] McKee M, Stuckler D. The assault on universalism. BMJ 2011; 343:1314-17

 

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