di Gian Filippo Della Croce

PERUGIA - Qualche tempo fa Karl Popper si domandava se fosse possibile organizzare le istituzioni politiche in modo da impedire che i governanti cattivi o incompetenti facessero troppi danni. E’ una domanda che a distanza di decenni è rimasta ancora senza risposta. Perché? Perché una questione così importante per la democrazia è rimasta tuttora inascoltata? Non dovrebbe essere la stessa classe dirigente politica (se ancora ne esiste una) a farsi carico di risolvere un problema così importante come il buon funzionamento dello Stato nell’interesse di tutti, dico tutti, i suoi cittadini? Invece è sotto gli occhi di tutti come sono andate le cose fino ad ora e come stanno continuando ad andare.

Nell’impossibilità o nella non volontà di risolvere il problema in Italia ci si è rifugiati nel “governo tecnico” ovvero in una formula che prendendo a pretesto la grave crisi economica globale rimanda di fatto “sine die” qualsiasi risposta all’interrogativo di Popper.Se uno ci pensa bene si potrebbe arrivare maliziosamente alla conclusione che possiamo essere di fronte a una scelta che pur in una nuova veste risponde al vecchio adagio “cambiamo tutto purchè nulla cambi”, dove il governo tecnico potrebbe essere lo strumento adatto in un momento nel quale la politica ha perso quel poco di autorità naturale ereditata dal passato che ancora le restava. C’è un gioco delle parti? E’ un dubbio legittimo dal momento che in nome della “urgenza”, questo governo neanche discuterà con le forze sociali il suo programma fatto di tagli, sacrifici,rinunce, eccetera che verrà frettolosamente illustrato soltanto poche ore prima della sua presentazione alle camere. Non è certo una bella pagina per la nostra democrazia parlamentare, anche perché di quel che si sa rispetto ai provvedimenti che il governo intende attuare, la segretaria generale della CGIL Susanna Camusso ha gia detto “ ci vedo ben poca equità”.

Già perché “equità” è diventata la parola guida di questa delicata fase della nostra democrazia, tutti ce l’hanno in bocca, tutti ne scrivono, ma poi come ha commentato amaramente Antonio Di Pietro “ per aumentare le tasse non serviva certo un governo di professori….” Ora si può stimare o meno l’ex magistrato, ma un fondo di verità nella sua valutazione esiste eccome. Perché alla luce del sole, diradate le nebbie che hanno velato sin qui l’insediamento del nuovo governo appare sempre più chiaro che la “salvezza” del Paese alla quale sarebbero votati gli eminenti professori ministri dovrebbe pesare a suon di tasse, tagli, aumenti tariffari e altri marchingegni simili ancora una volta su quella “area vasta” che oggi comprende quello che resta dell’antica classe operaia, i pensionati di livello basso e medio basso e soprattutto un articolatissimo ceto medio, tutti i soggetti sono ormai talmente impoveriti che non si capisce proprio come faranno i prof a spremerli ancora di più. Quindi nulla o poco è cambiato nelle ritualità dei governi nostrani sempre insediati con il marchio della novità salvo poi caratterizzarsi per la continuità, ovvero per cambiare poco o nulla. Infatti il presidente Monti ha già dichiarato che adesso si deve parlare solo di provvedimenti di urgenza, successivamente, soltanto successivamente si potrà parlare di riforme, che sono invece quello che servono disperatamente al Paese. E’ possibile allora una “equità”, senza riforme, dato che a giudizio di tutti, i problemi italiani sono di carattere strutturale? E in ultima analisi è da ritenersi “equo” il ventilato progetto della professoressa ministro Fornero di sospendere il misero assegno che una volta l’anno viene elargito ai pensionati per “bilanciare” il costo della vita?
Si attendono risposte, possibilmente da sinistra.
 

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