di Gian Filippo Della Croce

PERUGIA - Suonano strane fanfare il giorno dopo l’annuncio da parte del governo della “storica riforma che darà crescita e occupazione”, così come il premier Monti ha definito la “revisione” dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, definito nei giorni scorsi dalla ministra Fornero come un ostacolo allo sviluppo del Paese. A tali solenni dichiarazioni si aggiungono quelle dei leader della maggioranza ABC (Alfano,Bersani,Casini) ognuno dei quali sostiene di aver vinto qualcosa.

Cosa esattamente non si sa, ma loro continuano a suonare le loro fanfare per dichiarare ai quattro venti che hanno vinto. Se non si capisce bene chi ha vinto si capisce benissimo chi ha perso, cioè i lavoratori e i loro rappresentanti, cioè il sindacato, costretto quest’ultimo a un tormentato percorso di stop and go per non cadere nelle trappole tese dalla ministra e costretto anche a una battaglia solitaria, non confortata se non addirittura avversata dall’attuale maggioranza. Una maggioranza che alla fine della giostra, specialmente se guardiamo a sinistra ha costretto la CGIL ad un atteggiamento più remissivo per non complicare ulteriormente la situazione interna di un PD che fin dall’inizio dello scontro sull’articolo 18 ha rischiato seriamente l’implosione.

Il governo Monti fa dunque un ulteriore passo avanti sulla strada del ridimensionamento del ruolo della politica, mentre la Confindustria si dichiara assolutamente insoddisfatta e quindi non certo ben disposta ad accogliere la “storica riforma”. Cosa ha di storico questa riforma, ce lo dirà la storia stessa una volta che le varie fanfare smetteranno di suonare e tutti potremo capire e soprattutto vedere meglio. Una cosa è certa , la flessibilità nel mercato del lavoro ne esce potenziata, con tutti i suoi effetti collaterali che un rapporto Censis di qualche anno fa definiva così “ chi entra nel mercato del lavoro con formule flessibili, ha ottime possibilità di restare in questa condizione a vita” , nello stesso rapporto Richard Sennet, economista americano, aggiungeva che “la flessibilità non crea libertà ma nuove schiavitù, impedisce di costruire un programma di carriera e di vita e incide oltre che sulla vita pratica sull’animo della gente”. Queste considerazioni di stringente attualità non sono state certo presenti nell’ambito della trattativa, che ad un certo punto si è completamente indirizzata verso il puntellamento dei precari equilibri che sia a destra che a sinistra potevano collassare, cancellando forse per sempre, l’attuale panorama politico nazionale.

La CGIL, che all’inizio della partita aveva assunto l’unico atteggiamento responsabile possibile, si è alla fine fatta carico di tutto questo consentendo ad un affaticato PD di poter arrivare agli appuntamenti elettorali con qualche preoccupazione in meno. Un vecchio leader sindacale come Pierre Carniti ha definito l’accordo sulla riforma del lavoro come “ uno strano caso di un Paese in cui la trattativa sul mercato del lavoro la fanno i partiti che poi comunicano l’esito ai sindacati”. E’ vero comunque che le riforme non si fanno senza la politica, il dramma di questi giorni è che se la politica non c’è, allora qualcuno deve resuscitarla, la CGIL si è assunta il non facile compito, ma è il suo?

 

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