L'antipolitica, la crisi e la razionalizzazione della spesa
Questo è un contributo il cui oggetto ultimo è la Democrazia. E soprattutto queste parole non hanno pretesa di esaustività, vogliono anzi essere l'inizio di una proficua discussione sulle regole democratiche nel nostro Paese e sul giusto compenso di coloro che si mettono a servizio delle istituzioni.
L'antipolitica è ormai sulla bocca di tutti. Quante volte, nei bar, per la strada, nelle conversazioni informali e sempre di più in quelle ufficiali, mi capita di sentire frasi del tipo: “Voi politici siete tutti uguali”, “Tutta la politica fa schifo”, “E' un magna magna generale”. Tutte queste sono espressioni di un sentimento diffuso, disincantato e profondamente deluso del cittadino rispetto alle istituzioni e agli uomini e alle donne che ne incarnano i ruoli. Il corollario di questo scostamento tra le istituzioni ed il popolo è il refrain, anch'esso onnipresente, dei costi della politica, di quanto ci costano le auto blu, di quanto ci costa la mensa dei parlamentari, della loro pensione e dei loro benefit.
In un clima come quello che oggi aleggia nella nostra nazione, parlare della riduzione dei costi della politica vuol dire discuterne su un piano inclinato che fa scivolare il discorso immediatamente nel calderone dell'antipolitica. Il primo elemento ad esserne coinvolto è a mio avviso il principio della rappresentanza democratica; dentro la giusta recriminazione per chi abusa della propria posizione apicale si annida infatti un concetto insidioso, nemico diretto dei principi democratici che governano la nostra nazione. Mi riferisco alle disposizioni governative che riducono il numero dei consiglieri nei Consigli Comunali e che puntano alla drastica diminuzione dei rappresentanti in Parlamento. Mascherati dalla popolare e ruffiana equazione meno rappresentanti = meno costi questi provvedimenti nascondono in realtà una vera e propria stretta democratica: ciò che si deprime è la rappresentabilità del voto del cittadino. La vera equazione è quindi a mio avviso la seguente stessi voti = meno rappresentanti. Chi ci rimette è a Democrazia.
Prima di proseguire è bene sgomberare il campo da ogni dubbio: i privilegi accordati ad alcuni rappresentanti istituzionali, i viaggi gratis, le mense e le cure sanitarie a costo zero, gli stipendi esorbitanti, le pensioni d'oro e tutto quello che è concesso oltre il dovuto e che mai sarà concesso ad un lavoratore “normale”, sono un fenomeno indegno di malcostume, tipico italiano, che in questi tempi di crisi è giusto e doveroso affrontare con piglio. Ma questa condizione a mio avviso parla alle nostre coscienze ed alla nostra moralità prima ancora che ai nostri portafogli ed ai conti della nazione.
Chiariamo un altro punto: la crisi non si risolve con i tagli alla politica. Vorrei ripeterlo: la necessità di questa operazione è, prima che economica, di ordine etico e morale. Magari potessimo risolvere la crisi del debito dell'Italia azzerando gli stipendi di parlamentari, senatori, consiglieri, sindaci e assessori! Per capire quanto il tema attenga più alle coscienze che ai portafogli vorrei fare un esempio che più di tutti mi ha colpito: il costo delle istituzioni dello Stato (Presidenza della Repubblica, Camera dei Deputati, Senato della Repubblica, Corte Costituzionale, Presidenza del Consiglio, Ministeri) è di 3,2 miliardi di €, quello di Regioni, Province e Comuni di 3,3, per un totale di 6,5 miliardi di €.
Il costo per le spese militari che l'Italia ha sostenuto nel 2011 è di 20,5 miliardi di €. Una stima dell'evasione fiscale delle imposte dirette si aggira sui 115 miliardi di € all'anno. Capito dove sta la ciccia dei soldi?
Facciamoci allora una domanda: quanto della sacrosanta razionalizzazione dei costi della politica è utile per contribuire alla soluzione della crisi e quanto è utile per soffiare sul fuoco dell'antipolitica e della demagogia, fino ad arrivare ad attaccare la stessa rappresentanza democratica?
Il dibattito sulla riduzione dei costi della politica si è tradotto immediatamente nella proposta, accolta da un coro di si, di ridurre il numero di consiglieri, assessori, parlamentari . Questo è a mio avviso di una gravità inaudita, è un pericolo serio e reale per il corretto funzionamento della democrazia e quindi del principio su cui si fonda la libertà di ognuno di noi.
Al Comune di Foligno, a partire dalle prossime elezioni, verrà ridotto il numero di Consiglieri Comunali da 30 a 24, con un risparmio, fatta una rapida stima, di circa 18 mila € di gettoni di presenza. Cosa guadagniamo e cosa perdiamo quindi? 18 mila €, una cifra ridicola nel bilancio comunale, valgono la riduzione della rappresentatività degli elettori folignati? A chi giova questo? Alle nostre tasche? O ai poteri forti?
La Democrazia ha un costo, mettiamoci in testa questo principio inviolabile. E adesso mettiamoci in testa quest'altro di principio: il lavoro va pagato. Ritengo giusto riconoscere un minimo salariale a chi svolge attività istituzionale, sacrificando tempo libero, produttività sul lavoro, famiglia ed amici.
Facciamo un'ipotesi: se passasse l'idea di azzerare i gettoni di presenza e gli stipendi dei consiglieri e degli assessori, rifiutando quindi di riconoscere l'impegno, lo studio, il tempo dedicato al servizio di una città, chi potrebbe fare politica? Un operaio avrebbe più o meno difficoltà a dedicarvisi? E uno studente? Invece chi fa il medico, l'avvocato, il bancario, chi guadagna diciamo oltre 30, 35 mila € al mese, quanto verrebbe penalizzato da questa scelta?
Qui è bene ricordare che moltissimi partiti si autofinanziano con parte dei gettoni di presenza dei loro rappresentanti. Il mio partito per esempio, Rifondazione Comunista, chiede ai suoi eletti il 55% dell'emolumento che poi reinveste in attività politiche, sociali e culturali nel territorio (la quattro giorni di Avanti Pop ne è un esempio). Chi resterà a fare politica se il lavoro politico non verrà più riconosciuto dalle istituzioni?E se a questo aggiungiamo la riduzione di consiglieri e assessori nei comuni e dei parlamentari chi credete che manterrà quelle poche poltrone che restano? Secondo me le manterranno, come già detto, i poteri forti, cioè chi ha i soldi da investire, chi ha interesse a candidarsi in politica per difendere i suoi interessi e quelli della sua classe.
La Democrazia ha un costo proprio per questo: permette una parità di accesso alla vita istituzionale ad ogni compagine politica indipendentemente dal ceto sociale e dal reddito. Livella le differenze socio economiche.
Dunque la minaccia è doppia: taglio dei rimborsi e riduzione della rappresentanza. Equivale a consegnare consigli comunali e giunte a persone che potrebbero usare la politica come mezzo per incrementare gli affari delle lobby e delle corporazioni.
Tagliamo quindi i costi della politica ma non azzeriamoli, riconosciamo il lavoro di chi si impegna nelle istituzioni. Aboliamo gli assurdi privilegi dei politici, ma non reprimiamo la rappresentanza democratica. Facciamo una proposta: tagliare il 75% degli stipendi dei parlamentari e raddoppiarne il numero. Si ottiene il dimezzamento dei costi della politica e i raddoppio della rappresentanza parlamentare. Chi è d'accordo? Capiamo questo principio con lucidità e serenità, indignarsi contro gli sprechi della politica è sacrosanto, affossare la nostra democrazia rappresentativa è un errore che non possiamo permetterci di commettere. E visto che ci indignamo, facciamo come gli indignados in Spagna: chiediamo una legge proporzionale che sia realmente rappresentanza del voto degli elettori, rifiutiamo il sistema maggioritario ed il corollario dei premi di maggioranza assurdi che vogliono forzare la politica al bipartitismo.
Oggi pomeriggio in Consiglio Comunale presenterò un ordine del giorno che propone di tagliare il vitalizio (la pensione) ai consiglieri regionali che non hanno ancora maturato l'età pensionabile ed il 10% a chi già la percepisce. Questi soldi verranno rediretti verso politiche a sostegno delle famiglie vulnerabili della nostra Regione. E', credo, un proposta di buon senso, che “normalizza” il lavoro di un consigliere regionale rispetto a tutti gli altri lavori e che manifesta un senso di solidarietà concreto nei confronti di chi la crisi la subisce in maniera diretta e più pesante. Sono queste le misure che mi aspetto vengano proposte. Chi urla in piazza di voler azzerare i costi della politica o è ingenuamente populista o è un pericolo serio per la Democrazia.
Parliamone.
Alessandro Pacini
Capogruppo
Rifondazione Comunista
Foligno
Domenica
27/11/11
11:15
Concordo. Personalmente ritengo che, per il lavoro dei rappresentanti dei cittadini nelle assemblee elettive debba valere, come per tutti i lavoratori, il principio costituzionale della retribuzione proporzionata e sufficiente.
Stesso discorso per assessori e sindaci. A mio avviso, occorre restituire dignità e garanzie alle istituzioni democratiche più vicine alle esigenze dei cittadini. E' impensabile che un sindaco di un piccolo comune percepisca solo 500 euro di indennità
Certamente il disegno è quello di ridurre gli spazi della democrazia rappresentativa e limitare l'accesso ad essi, per escludere le classi più deboli e meno garantite e le loro istanze.
In generale sono assolutamente contraria alla cancellazione di diritti acquisiti. Tuttavia credo che, in questa situazione di pesantissima crisi, debba essere previsto per legge un trattamento nazionale uniforme (salvo adattamenti in ragione dell'estensione territoriale e della popolazione residente) degli stipendi dei consiglieri regionali e degli assessori di tutte le regioni, incluse quelle ad autonomia speciale (quindi anche del parlamento siciliano).
Ad ogni modo i veri privilegi risiedono altrove, in settori dello stato apparato (
ad esempio nelle forze armate) , o ai vertici di certe istituzioni (banca d'italia, ministeri etc).
Domenica
27/11/11
13:06
Caro Pacini, concordo pienamente con te sul principio che la democrazia ha un costo e il politico che lavora per la colletività rappresentandola e organizzandola deve essere pagato, bene, non eccessivamente, ma sicuramente in modo da dedicarsi in modo totale al suo lavoro. Ma a questo punto credo sia necessario far chiarezza su quello che è il concetto di "costo della politica". Personalmente credo che per costo della politica non debba intendersi il costo del politico e del suo apparato. Il bilancio della camera dei deputati è pur sempre irrisorio rispetto al bilancio complessivo dello stato italiano. E' invece proprio nel gigantesco costo dell'apparato statale che si nasconde il vero costo della politica che è, si, un fardello insopportabile per una società moderna. E', a mio parere, il costo del sistema ridistributivo dei vantaggi e dei favori che i politici fanno ai loro clientes con il denaro pubblico in cambio dei voti. Il costo pagato per mantenere in piedi un sistema non basato sull'efficienza e sull'interesse pubblico ma sull'interesse delle singole tribù politiche. Il costo dei raccomandati inseriti nei posti pubblici in esubero, di manager inetti ed inefficienti che ricevono incarichi per ragioni politiche, le false pensioni ottenute per interventi dall'alto, il costo doppio di beni e servizi che le gli amministratori accettano in cambio della conservazione del loro network di favori e di scambi. E c'è anche la corruzione poi, ma non parliamone. Il costo della politica non è in relazione al numero delle cariche pubbliche ma è dovuto al degrado etico e morale della maggioranza della classe politica, che Gianantonio Stella, definisce spesso, a conclusione dei suoi ficcanti articoli, la peggiore di tutti i tempi. In sintesi, caro compagno Pacini, non sono i gettoni di presenza a depauperare il bilancio di un comune, ma magari i prezzi gonfiati delle mense, le consulenze inutili, le cooperative create ad hoc, le cooptazioni di dirigenti e funzionari incompetenti, tutti fatti legati alla politica dello scambio, che dissanguano il nostro stato. Certo è un sistema di benefici ridistribuiti in modo forse "democratico": un pò di favori a persone di questo partito, un pò a quelli di quell'altro. E l'effetto è lo spreco, l'inefficienza, la malagestione della cosa pubblica, perchè la tessera non qualifica la persona e le sue abilità, e una cosa è l'ideologia una cosa sono le soluzioni pratiche. E questo è un fatto trasversale alla politica. Quando poi alla fine non c'è più nulla da ridistribuire perchè siamo arrivati al fondo, allora la gente si incazza e grida dalli al politico che prima era il suo mentore. Ci vuole una nuova era della politica se vogliamo salvare la democrazia, in cui io prendo i voti dei miei elettori ma faccio le cose per tutti quanti. Ogni istanza del paese deve essere rappresentata ma, non lo dico io, si lavora per il paese e non per un "certo" elettorato. Mi illudo che sia proprio la sinistra che assuma questa difficile missione di rinnovamento. Ma, a partire da questa regione che sicuramente è una delle culle, non si vede nulla di nuovo.
Domenica
27/11/11
21:48
Costi della politica. Le questioni solevate sono molte e vanno dal rapporto tra il numero dei rappresentanti per garantire una democrazia effettiva, ai valori etici della politica (benefit scandalosi) alla stessa rappresentatività alla questione seria di chi non potrebbe impegnarsi in politica senza rimborsi minimi per sopravvivere.
Le questioni sono complesse e andrebbero affrontate separatamente.
Vorrei solamente riproporre una soluzione da me avanzata in altre occasioni, riguardante gli emolumenti dei politici che occupano posti a cui si accede per elezione.
Questi politici vengono chiamati a dare il loro contributo culturale alla società in cui vivono (quartieri, comuni città o Province o Stato che sia) e quindi non è giusto che per questo servizio vengano addirittura penalizzati economicamente.
Il loro impegno deve essere remunerato o meglio i redditi da loro prodotti dalla loro usale attività lavorativa non devono subire riduzioni.
Se il principio è giusto, allora fissiamo dei paletti che tengano conto del concetto di "non rimetterci" abbandonando quello di "guadagnarci".
1) si fissi un rimborso minimo per chi non ha redditi (diciamo un tetto minimo connesso alla dignità della funzione ricoperta)e uno massimo per i ricconi.
2) chi svolge percepisce un reddito da lavoro dipendente sia rimborsato dalla collettività in ragione del danno economico prodottogli dalla attività sociale che è chiamato a svolgere (rimborsi pasti, rimborsi viaggi ecc) e gli si riconosca la integrazione al suo normale stipendio affinché appunto non ci rimetta, qualora questo dovesse essergli decurtato per le assenze o in ragione della attività sociale che svolge (una integrazione maggiore all’ex dirigente industriale prestato alla politica perché ci perde molto, di meno all’insegnante se ci perde meno e così via). Solo il minimo a che non ci perde nulla.
3) Lo stesso concetto per i commercianti, artigiani, artisti e liberi professionisti chiamati ad occupare cariche pubbliche, per i quali non c'é uno stipendio da prendere come unità di misura. In questi casi si riconosca loro un rimborso ad integrazione della media dei loro redditi degli ultimi 5 anni affinché appunto non ci rimettano.
A fine anno se, nonostante l’impegno politico e il tempo perso, uno percepisce dal suo lavoro la stessa remunerazione evidentemente la attività svolta non gli ha creato alcun danno economico e quindi non avrà diritto ad lacuna integrazione. Avrà fatto politica percependo il minimo previsto per tutti, o addirittura nulla.
Se si adottasse questo metodo la politica tornerebbe ad essere un servizio reso alla società. Chi si impegna potrà farlo avendo la garanzia di non perderci ma non potrebbe farlo mai per “guadagnarci”.
Qualcuno gentilmente mi dica dove mi sbaglio.
G.C.