Oggi lo fanno altri tre paesi europei, Spagna, Irlanda e Norvegia
L’Italia riconosca lo Stato di Palestina
… e sostenga la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale
“Bisogna assicurare il dominio incontrastato del
diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato, ai buoni
uffici e all’arbitrato, come proposto dalla Carta delle
Nazioni Unite, vera norma giuridica fondamentale”
(Papa Francesco, Fratelli tutti).
“Bruciati vivi”. Negli ultimi giorni, decine di bambini e donne palestinesi sono
stati uccisi così, dal fuoco delle tende in cui si erano rifugiati nel disperato
tentativo di sfuggire ai bombardamenti più indiscriminati della storia. Mentre le
immagini dell’orrore scorrono e si incollano in tempo reale negli occhi del
mondo, oggi tre paesi europei, Spagna, Irlanda e Norvegia, riconoscono
formalmente lo Stato di Palestina. Perché lo fanno? Perché non lo fa anche l’Italia?
La decisione di Spagna, Irlanda e Norvegia è un segno concreto della volontà di
riconoscere il diritto all’esistenza del popolo palestinese contro il folle ma
evidente tentativo di disumanizzarlo e di espellerlo dalla propria terra.
Riconoscendo formalmente lo Stato di Palestina si riconosce il diritto dei bambini,
delle donne e degli uomini palestinesi di poter godere la stessa dignità, gli stessi
diritti, la stessa libertà e la stessa sicurezza che sono riconosciuti agli israeliani.
139 Stati nel mondo lo hanno già fatto e presto saranno seguiti da altri paesi come
la Slovenia, Malta e il Belgio. Perché non lo fa anche l’Italia?
Il 10 maggio, 143 Stati dell’Onu si sono detti favorevoli all'istituzione immediata
della Palestina come 194° Stato membro dell'Onu, con i confini del 4 giugno 1967
e capitale Gerusalemme Est. L’Italia si è astenuta.
La continuazione del massacro di Gaza ci mette tutti davanti alle nostre
responsabilità. Sappiamo, vediamo, ascoltiamo ma cosa facciamo?
La Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale, le due
massime giurisdizioni mondiali indipendenti e imparziali, hanno messo lo Stato
di Israele di fronte alle sue gravissime responsabilità nella guerra contro Hamas
nella Striscia di Gaza, nonostante le forti e inammissibili pressioni degli Stati
Uniti.
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La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) è un organo delle Nazioni Unite
istituito all’indomani della seconda guerra mondiale con il compito di stabilire le
responsabilità degli Stati che violano il diritto internazionale. Le sentenze emesse
dalla Corte sono, ai sensi dell'articolo 59 del suo Statuto, definitive, inappellabili
e vincolanti. Spetta al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dare seguito ai
suoi pronunciamenti. Stati Uniti, Russia, Cina e Israele non hanno riconosciuto
la giurisdizione obbligatoria della Corte.
La Corte Penale Internazionale, istituita con lo Statuto di Roma del 1998, ha lo
scopo di investigare e processare gli individui che abbiano commesso gravi
crimini internazionali che violano i diritti umani, come nel caso di crimini di
guerra, crimini contro l’umanità, genocidio. Essa rappresenta una fondamentale
evoluzione dell’ordinamento giuridico internazionale e una pietra miliare nella
lotta globale contro l’impunità e nel dare giustizia alle vittime dei crimini più
atroci. Gli stati parte sono 124. Stati Uniti, Russia, Cina e Israele non hanno
ratificato lo Statuto di Roma. Lo Stato di Palestina lo ha ratificato nel 2015.
Il 26 gennaio 2024, la CIG si è pronunciata con un’ordinanza sulla richiesta di
misure urgenti presentata dal Sud Africa nella controversia iniziata dallo stesso
stato contro Israele e relativa all’applicazione della Convenzione per la
prevenzione e la punizione del crimine di genocidio (1948) ratificata da entrambi
i paesi (Israele nel 1950, il Sud Africa nel 1998) senza riserve.
Nell’ordinanza la Corte Internazionale di Giustizia ha stabilito che i palestinesi
di Gaza hanno il diritto di essere protetti dagli atti di genocidio. In particolare, la
Corte ha ritenuto che “Israele debba, in conformità con i suoi obblighi ai sensi
della Convenzione sul genocidio, nei confronti dei palestinesi di Gaza, adottare
tutte le misure in suo potere per impedire la commissione di tutti gli atti che
rientrano nell'ambito dell'Articolo II di questa Convenzione, in particolare: (a)
uccidere membri del gruppo; (b) causare gravi danni fisici o mentali a membri
del gruppo; (c) infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate
per portarlo alla distruzione fisica in tutto o in parte; e (d) imporre misure volte
a prevenire le nascite all'interno del gruppo. La Corte ricorda che questi atti
rientrano nell'ambito di applicazione dell'articolo II della Convenzione quando
sono commessi con l'intento di distruggere in tutto o in parte un gruppo in
quanto tale. La Corte ritiene inoltre che Israele debba garantire con effetto
immediato che le sue forze militari non commettano nessuno degli atti sopra
descritti”.
Con la stessa ordinanza, la CIG ha intimato lo Stato di Israele ad “adottare tutte
le misure in suo potere per prevenire e punire l'incitamento diretto e pubblico a
commettere genocidio nei confronti dei membri del gruppo palestinese nella
Striscia di Gaza” e ad “adottare misure immediate ed efficaci per consentire la
fornitura di servizi di base e di assistenza umanitaria urgentemente necessari per
affrontare le condizioni di vita avverse dei palestinesi nella Striscia di Gaza”.
Di fronte al fatto che Israele non stava adottando nessuna delle misure stabilite
dalla CIG, il 16 febbraio 2024 con un nuovo pronunciamento la Corte osservava
che i più recenti sviluppi nella Striscia di Gaza, e a Rafah in particolare,
aumentavano esponenzialmente quello che è già un incubo umanitario con
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incalcolabili conseguenze regionali e chiedeva ad Israele l’attuazione immediata
ed efficace delle misure provvisorie indicate nell'ordinanza del 26 gennaio 2024.
Tale richiesta veniva nuovamente ribadita nell’ordinanza del 28 marzo.
La CIG si è pronunciata nuovamente con l’ordinanza del 24 maggio 2024 nella
quale ha ribadito che “le misure provvisorie indicate nelle sue ordinanze del 26
gennaio 2024 e del 28 marzo 2024, devono essere immediatamente ed
efficacemente attuate”. La CIG ha altresì stabilito che “lo Stato di Israele, in
conformità con gli obblighi assunti con la Convenzione sulla prevenzione e la
punizione del crimine di genocidio e in considerazione del peggioramento delle
condizioni di vita dei civili nel Governatorato di Rafah”, deve rispettare le
seguenti misure provvisorie:
“a) interrompere immediatamente l'offensiva militare e qualsiasi altra azione nel
governatorato di Rafah che possa infliggere al gruppo palestinese di Gaza
condizioni di vita che potrebbero portare alla sua distruzione fisica, totale o
parziale;
b) mantenere aperto il valico di Rafah per la fornitura senza ostacoli di servizi di
base e assistenza umanitaria urgentemente necessari;
c) adottare misure efficaci per garantire l'accesso senza ostacoli alla Striscia di
Gaza di qualsiasi commissione d'inchiesta, missione d'indagine o altro organo
investigativo incaricato dagli organi competenti delle Nazioni Unite di indagare
sulle accuse di genocidio.”
Allo stesso tempo, il Procuratore capo della Corte Penale Internazionale avviava
le indagini per accertare eventuali crimini di guerra e crimini contro l’umanità da
parte di Israele e di Hamas nella Striscia di Gaza. Sulla base delle prove raccolte
ed esaminate, il 20 maggio 2024 il Procuratore ha presentato alla Camera
preliminare I della Corte le richieste di mandato d'arresto per la situazione nello
Stato di Palestina nei confronti di Benjamin Netanyahu, Primo Ministro di Israele,
di Yoav Gallant, Ministro della Difesa di Israele, e dei principali leaders politici e
militari di Hamas.
Il Capo della Procura ha dichiarato che esistono “ragionevoli motivi per ritenere
che Netanyahu e Gallant siano responsabili penalmente, ai sensi delle norme del
Diritto internazionale umanitario e del Diritto penale internazionale, di crimini
di guerra e crimini contro l'umanità commessi sul territorio dello Stato di
Palestina (nella Striscia di Gaza) almeno dall'8 ottobre 2023”. Le accuse sono
pesantissime.
Il Procuratore accusa lo Stato di Israele dei seguenti crimini di guerra:
• inedia di civili come metodo di guerra;
• inflizione intenzionale di grandi sofferenze, o gravi lesioni al corpo o alla
salute, o trattamenti crudeli;
• uccisione intenzionale o omicidio;
• attacchi intenzionalmente diretti contro una popolazione civile.
Il Procuratore accusa lo Stato di Israele anche dei seguenti crimini contro l’umanità:
sterminio e/o omicidio, anche nel contesto di morti per fame; persecuzione; altri
atti inumani.
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Secondo il Procuratore “gli effetti dell'uso della fame come metodo di guerra,
insieme ad altri attacchi e punizioni collettive contro la popolazione civile di
Gaza, sono acuti, visibili e ampiamente noti, e sono stati confermati da numerosi
testimoni intervistati dal mio Ufficio, tra cui medici locali e internazionali. Tra
questi, la malnutrizione, la disidratazione, le profonde sofferenze e il crescente
numero di morti tra la popolazione palestinese, tra cui neonati, altri bambini e
donne”.
Il Procuratore nell’affermare che “Israele, come tutti gli Stati, ha il diritto di agire
per difendere la propria popolazione” ha ribadito che “tale diritto, tuttavia, non
esime Israele o qualsiasi Stato dall'obbligo di rispettare il diritto internazionale
umanitario. A prescindere dagli obiettivi militari che possono avere, i mezzi scelti
da Israele per raggiungerli a Gaza - ovvero causare intenzionalmente morte,
fame, grandi sofferenze e gravi lesioni al corpo o alla salute della popolazione
civile - sono criminali”.
Il Procuratore ha inoltre dichiarato che:
- “i crimini contro l'umanità imputati sono stati commessi nell'ambito di un
attacco diffuso e sistematico contro la popolazione civile palestinese in
applicazione della politica dello Stato. Questi crimini, secondo la nostra
valutazione, continuano ancora oggi”;
- “le prove raccolte, comprese le interviste con i sopravvissuti e i testimoni
oculari, il materiale video, fotografico e audio autenticato, le immagini
satellitari e le dichiarazioni del presunto gruppo di autori, dimostrano che
Israele ha intenzionalmente e sistematicamente privato la popolazione
civile in tutte le zone di Gaza di oggetti indispensabili alla sopravvivenza
umana”;
- “il diritto internazionale e le leggi sui conflitti armati si applicano a tutti.
Nessun soldato, nessun comandante, nessun leader civile - nessuno - può
agire impunemente. Nulla può giustificare la privazione intenzionale di
esseri umani, tra cui tante donne e bambini, dei beni di prima necessità
necessari alla vita. Nulla può giustificare la presa di ostaggi o l'uccisione
di civili”;
- “tutti i tentativi di ostacolare, intimidire o influenzare impropriamente i
funzionari di questa Corte devono cessare immediatamente. Gli Stati parte
dello Statuto di Roma devono accogliere queste richieste e la successiva
decisione giudiziaria con la stessa serietà che hanno dimostrato in altre
situazioni, rispettando gli obblighi previsti dallo Statuto”.
Il Procuratore intende incriminare due dei maggiori responsabili, Netanyahu e
Gallant, sia come co-perpetratori che come superiori, ai sensi degli articoli 25 e
28 dello Statuto di Roma.
Le ordinanze della CIG e le richieste di mandato d’arresto della Corte Penale
Internazionale ci dicono che il Diritto internazionale è vivo, che gli stati hanno
l’obbligo di rispettarlo e che il Consiglio di Sicurezza ha l’obbligo di agire per
ristabilire la legalità internazionale.
A Gaza deve subito operare, sul terreno, la Comunità Internazionale. Nessun
governo, tanto meno quelli che violano la legalità, può invocare la sovranità
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nazionale e il principio di non-ingerenza negli affari interni per impedire che
l’ONU intervenga per proteggere la popolazione palestinese e creare terreno
fertile per l’attività della diplomazia e della politica del dialogo e della
cooperazione. La stessa Carta delle Nazioni Unite, all’articolo 2 par.7, stabilisce
che per quanto attiene al mantenimento della pace e della sicurezza l’autorità
delle Nazioni Unite prevale sulla sovranità degli stati.
I nostri governanti devono una volta per tutte decidere da che parte stare. Dalla
parte dell’ONU, del multilateralismo e del diritto internazionale, oppure dalla
parte di coloro che, in una logica ancora tutta hobbesiana, westfaliana,
statocentrica e dunque belligena, rifiutano autorità sopraordinate agli stati,
agiscono unilateralmente o per coalizioni e rifiutano di rispettare le norme
internazionali stabilite con la Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione
Universale. Non c’è una via di mezzo.
Quei governanti che rifiutano la centralità del diritto e delle istituzioni
(democratiche) anche per il sistema della politica mondiale si pongono al di fuori
dell’ordinamento giuridico internazionale e alla testa di un progetto di ordine
internazionale gerarchico dove a prevalere è la legge della forza sulla forza della
legge. Dunque un progetto criminale.
L’Italia e l’Unione Europea che hanno nel loro DNA i valori del ripudio della
guerra, del rispetto della dignità umana e dei diritti umani, della libertà, della
democrazia, dell'uguaglianza e dello stato di diritto non possono più tacere. Non
hanno più alibi. Devono dire ai cittadini e alle istituzioni che invocano pace e
giustizia, da che parte stanno.
Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace
Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca”, Università di Padova
Perugia, 28 maggio 2024
Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace
Via della Viola, 1 - 06122 Perugia – 335.1401733
perugiassisi@perlapace.it - www.perlapace.it
Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca”
Università di Padova
via Beato Pellegrino 28 (35137) Padova - T 049/827 1813
centro.dirittiumani@unipd.it - unipd-centrodirittiumani.it/

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