di Sandro Roazzi

La Consulta imita Salomone e sui tre quesiti posti dalla Cgil sui licenziamenti nel Job act, vaucher e responsabilità solidale sugli appalti si sforza di non deludere nessuno dicendo ‘no’ al più ...problematico ed insidioso, mentre ha dato disco verde sugli ...impopolari voucher e sugli appalti. Un tocco soft di...politica si avverte in questo verdetto magari ...sottile, come venne definito tempo fa il modo di operare di uno dei giudici costituzionali, vale a dire Giuliano Amato.
Il ‘no’ ad un nuovo allargamento delle tutele contro i licenziamenti senza giusta causa in realtà era da aspettarselo. E a dire il vero evita che la tensione sociale cresca in un contesto nel quale appare difficile che Governo e Parlamento siano in grado di offrire soluzioni degne di un problema tanto delicato. Una protesta che esploderebbe senza poter essere incanalare verso scelte diverse ma positive.

Inoltre allontana il rischio di nuove divisioni sindacali proprio quando Cgil, Cisl e Uil hanno ripreso a collaborare e soprattutto si interrogano sia pure in modo diverso sul loro futuro e sull’eventuale ricambio dei gruppi dirigenti. In tal senso la decisione della Consulta impedisce che il confronto interno al sindacato mischi ancora una volta il passato con le prospettive future. E non è poco se pensiamo al fatto che il 2017 sarà un anno difficile sul piano economico e sociale e se si presta attenzione all’esigenza che almeno le parti sociali proseguano nell’impegno teso a far valere le ragioni del lavoro nel confuso e superficiale scenario politico che parla di tutto, inciampa su scandali ed errori, ma non pare in grado di decidere.
Il destino del Job act torna dunque nelle mani del mercato e dell’economia reale. E siccome fra non molto scatterà a fine del triennio si potrà valutare se, dopo la spinta data (quasi esclusivamente con gli incentivi...) all’occupazione ed in via di esaurimento, subentrera’ una spinta contraria, vale a dire un aumento dei licenziamenti in presenza della continuazione della bassa crescita. Sarebbe saggio non arrivare impreparati a questo bivio, per tale motivo però occorrerà un sindacato unito. E convinto di una sua strategia propositiva.

Si andrà a votare invece per i voucher, fenomeno esplosivo, e per la questione degli appalti. Su quest’ultimo tema sarà difficile che l’opinione pubblica si appassioni, pur essendo un nodo serio che riguarda la sicurezza del lavoro nelle costruzioni, che continuano ad essere investite da gelide folate di crisi. Il tema dei voucher, invece, ha una ben altra attrattiva. Il "’duello’, come da facile pronostico, sarà fra chi ne chiede l’abolizione e chi invece una modifica. Ma anche in caso di modifiche non è pensabile che basti un giro di vite (spesso solo velleitario) ai controlli. Sarebbe un modo farisaico di aggirare il problema. Sarebbe invece auspicabile semplificare sul serio le modalità di assunzione e comunque almeno ridurre il ricorso dei voucher a quelle prestazioni davvero occasionali e stagionali per le quali era concepito. La questione dei voucher però ci ricorda anche che, malgrado quel che si sforza di dire il ministro Poletti fra una scusa e la recita di cifre che non incantano nessuno, una vera riforma del mercato del lavoro ancora non c’è; quello che è stato fatto ha il sapore di una incompiuta, con una mano tesa alle grandi imprese forse giustificabile all’inizio della avventura del Governo Renzi, ma oggi già finita su un binario morto anche perché l’attesa per nuovi investimenti appare tuttora inevasa. Senza dimenticare che gran parte del nostro tessuto produttivo vive sull’intraprendenza di tante piccole imprese, che si rallegreranno del fatto che le tutele attuali non muteranno, ma continueranno a scrutare il futuro per cogliere segnali diversi dall’incertezza che la fa da padrona.

Forse il referendum, che arriva al voto dietro la spinta di tre milioni di firme, potrebbe diventare l’occasione per misurarsi su quanto sta avvenendo nel mondo del lavoro sotto la spinta della rivoluzione tecnologica e mentre si affacciano nuove diseguaglianze come conseguenza di tali cambiamenti. Ma ci vorrebbe uno scatto della politica e (più probabile questo ) del sociale. Per ora quel che resta dei partiti si accontenta di fare i conti con un minore impatto del referendum sulla data delle elezioni. E i commenti sono, come avviene di questi tempi, per lo più di maniera. Eppure la questione lavoro resta quella veramente cruciale per questi tempi. Chi non la coglie oggi perde un’opportunità di ritrovare sintonie con la realtà vera del Paese e, forse, rischia di sottovalutare il clima di protesta silenziosa, ma non meno insidiosa (e soprattutto motivata), presente nella nostra società.

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