LA GUERRA IN UCRAINA MANDA IN MACERIE IL CAMPO PROGRESSISTA (di Stefano Fassina)
L'autoesclusione del Parlamento per un anno dove in Ucraina e dintorni può accadere di tutto, votata anche da quel centrosinistra sempre pronto a ricordare la “fiamma” ancora ardente tra i Fratelli d’Italia oggi a Palazzo Chigi, è un macigno politico.
Con la guerra non si scherza. Non si possono minimizzare visioni ed atti politici divergenti. La guerra è la questione più rilevante che la politica affronta. In particolare, quando la guerra ridisegna il campo geo-politico globale e determina il tramonto di qualsivoglia possibilità di soggettività politica dell’Unione europea. Tanto più quando le conseguenze economiche, oltre che sul martoriato popolo ucraino, piagano anche i nostri lavoratori e le nostre piccole imprese. Ancor di più quando l’economia di guerra è assurdamente aggravata dalla normalizzazione della politica monetaria disposta dalla BCE.
Pertanto, è seria e profonda la spaccatura nell’area progressista determinata dal voto sulla conversione del Decreto Legge per l’invio delle armi a Kiev, fino al 31 dicembre 2023, attraverso Decreto del presidente del Consiglio dei Ministri, quindi senza il coinvolgimento delle Camere e del presidente della Repubblica. Da una parte il M5S e Sinistra Italiana, dall’altra il Pd, con Azione e Italia Viva. In mezzo, la sorprendente, preoccupante, nascosta, astensione di Europa Verde, nonostante gli impegni in campagna elettorale presi insieme a SI.
È vero che decreto analogo era già stato votato a Marzo 2022 dalla maggioranza a sostegno del governo Draghi (non dal sottoscritto). Ma allora eravamo alla fase iniziale dell’invasione. Si riteneva necessario e urgente garantire il diritto alla difesa dell’invaso. Ora, il contesto è drammaticamente più grave. Nelle stesse ore in cui i nostri parlamentari votavano l’auto marginalizzazione della loro funzione sul nodo di maggiore portata politica possibile, il governo Sholz capitolava sull’invio dei carri armati “Leopard 2”, dopo aver ottenuto la “copertura” dall’invio di mezzi analoghi dalla Casa Bianca. In sintesi, siamo a un salto di qualità nel coinvolgimento bellico della Nato. Un’ulteriore tappa dell’ininterrotta escalation militare, in completa assenza di iniziative per il cessate il fuoco da parte degli USA e dell’UE. Anzi, scrive il Financial Times oggi, siamo nel quadro della discussione nei principali governi europei, oltre che a Washington, sull’invio di Jet a Kiev: via Varsavia, F-16 oppure jet sovietici rimpiazzati da F-16 per la Polonia. Un’altra delle linee rosse, tracciate a inizio del conflitto per scongiurare lo scenario nucleare, rischia di essere oltrepassata.
In sintesi, l’autoesclusione del Parlamento per un anno dove in Ucraina e dintorni può accadere di tutto, votata anche da quel centrosinistra sempre pronto a ricordare la “fiamma” ancora ardente tra i Fratelli d’Italia oggi a Palazzo Chigi, è un macigno politico. È tale anche lungo la strada della ricomposizione dell’alleanza progressista. Non può essere messo sotto al tappeto in nome del pericolo della destra. Va affrontato. Altrimenti, dalle macerie non si ricostruisce.
Ps: il senso politico del voto di martedì scorso non è sfuggito a un acuto osservatore come Paolo Mieli. Dall’editoriale de Il Corriere della Sera, esplicita anche la vera ragione della fine del Governo Draghi: “Allo stesso modo, ha dello straordinario il fatto che il Parlamento italiano si sia impegnato a comportarsi nel 2023 negli identici modi degli undici mesi trascorsi. Certo, si è perso per strada il M5S. Ma Giuseppe Conte già a luglio provocò la crisi del governo Draghi per rimettere in discussione le modalità del sostegno italiano all’Ucraina”.
Fonte: Huffpost
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