L’attenzione è tutta concentrata sullo scontro che attraversa le forze politiche sulla questione della prescrizione. Si rischia così di non cogliere i più gravi problemi che affliggono il nostro sistema giudiziario.

Non credo infatti che ci si possa limitare a dichiarare la propria contrarietà o il proprio favore per l’istituto della prescrizione “in astratto”, si tratta invece di attuare il principio costituzionale del giusto processo e della sua ragionevole durata (art. 111 Cost.).

In questa chiave dovrebbe anzitutto essere evidente che la media di tre anni e otto mesi anni per il compimento di un processo penale o, addirittura, di sette anni e tre mesi per svolgere un processo civile appaiono insopportabili.

Il nostro Paese – com’è noto – ha il record delle condanne dei giudici europei per la lentezza dei processi. Pertanto, l’impegno a ridurre nei prossimi cinque anni del 40% i tempi del processo civile e del 25% quelli del processo penale non può che essere condiviso. Ma è proprio qui che si apre la riflessione: come ottenere questo risultato sperato?

Per ora si ragiona solo di “termini” e ci si divide tra coloro che in nome della certezza della pena sono disposti a sacrificare ogni ragionevole durata e coloro che in nome della rapidità dei giudizi sono disposti a sacrificare i principi del giusto processo.

Infatti, eliminare la prescrizione tout court permetterebbe ai giudici di tenere aperto per l’eternità un procedimento, mentre la fissazione di termini perentori (a pena di successiva improcedibilità) rischierebbe di compromettere sia i diritti di difesa, sia quelli della pienezza del contraddittorio, che si pongono a fondamento di un processo equo.

Per ora l’attenzione s’è concentrata su questo derby e si è raggiunto un compromesso solo apparente: s’è mantenuto il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, ma vengono fissati termini certi per il compimento dei restanti gradi di giudizio.

È evidente che si tratta di un gioco delle parti e la sostanza è rappresentata dalla preventiva fissazione di tempi per concludere comunque un processo. È questo in fondo la sola cosa che ci chiede l’Europa.

Ma, lo ripetiamo, non sarebbe necessario prestare maggiore attenzione anche a come si raggiunge questo risultato visto che oltre alla durata ragionevole è necessario assicurare anche che il processo sia “giusto”?

Per questo dovremmo occuparci anche – soprattutto – delle norme che devono essere applicate durante il processo, nonché quelle relative all’organizzazione della magistratura che pure sono state definite dalle diverse Commissioni incaricate dalla Ministra Cartabia. È in queste proposte che batte il cuore e si rileva il senso delle riforme in materia di giustizia che ci accingiamo a varare. Di queste dovremmo maggiormente discutere.

Mi limito a due esempi che credo significativi.

Se si vogliono ridurre i tempi dei processi una via potrebbe essere quella di ostacolare l’accesso alla giustizia. Ma sino a dove può spingersi questa prospettiva senza finire per violare il diritto ad agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi assicurata dall’articolo 24 della nostra Costituzione? Ecco allora che le norme sulle inappellabilità delle sentenze di primo grado ovvero anche quelle in sede civile relative agli incentivi per la soluzione conciliativa appaiono decisivi per garantire un processo rapido, ma anche giusto. Distratti dalla prescrizione di questo nessuno parla.

Il secondo esempio riguarda proprio la prescrizione. Se riuscissimo ad uscire dalla contrapposizione manichea e tutta politica che ha assunto la contesa tra fautori e denigratori dovremmo cercare di cogliere le ragioni di fondo che spiegano e che limitano quest’istituto. Non si vuole certo dare la possibilità all’indagato di sottrarsi al giudizio, si ritiene invece che la pretesa punitiva dello Stato si affievolisca con il decorso del tempo. Se questa è la ratio della prescrizione ciò che appare veramente inaccettabile è l’uso strumentale di tale istituto.

Ciò che bisognerebbe combattere sono le strategie processuali di molti indagati eccellenti (quelli in grado di farsi patrocinare da avvocati maestri del rinvio processuale) che anziché difendersi nel processo puntano ad allungare i tempi per evitare di essere giudicati. Ma allora per combattere questa piaga della giustizia sarebbe opportuno riflettere sulle misure idonee ad impedire i rinvii strumentali senza violare i diritti di difesa.

Bisognerebbe guardare cioè non ai tempi dei processi, ma alla farraginosità delle regole processuali. Anche di questo nessuno si parla.

 

il manifesto 10.07.2021

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