di Maria Pellegrini

L’imperatore Giuliano - nipote di Costantino il Grande, colui che con l’Editto di Milano del 313 aveva concesso ai Cristiani piena libertà di culto e imposto che ad essi fossero restituiti tutti i beni fino allora confiscati - è passato alla storia con l’epiteto di «apostata» per aver tentato di restaurare la religione romana dopo che era caduta in decadenza di fronte alla diffusione del Cristianesimo. La sua vita fu burrascosa e triste fin dalla prima infanzia essendo rimase orfano della madre e presto anche del padre («aveva nell’animo il peso di una fanciullezza senza sorrisi», scrive Santo Mazzarino). Era un bambino di sei anni quando alla morte improvvisa di Costantino seguì l’eccidio di tutti i membri maschili della sua discendenza, fra i quali anche suo padre; furono risparmiati soltanto i tre figli del defunto imperatore: Costantino II, Costanzo II e Costante. I giovanissimi nipoti Giuliano e Gallo, essendo in tenera età, furono risparmiati perché non considerati un pericolo per la successione. La concordia fra i tre fratelli, destinati dal padre a diventare imperatori e acclamati anche dall’esercito, al quale si attribuì quell’eccidio, durò poco. Infine rimase solo Costanzo II dopo l’uccisione dei due fratelli in un’imboscata la cui responsabilità fu attribuita all’unico fratello superstite, che mantenne il potere per 24 anni. Giuliano in seguito lo accusò anche della strage di tutti i familiari. Nella “Lettera agli ateniesi” racconta i tragici eventi di cui da bambino fu spettatore impotente: «Pur essendo parenti suoi stretti ecco quali atti, questo umanissimo imperatore compì contro di noi: i sei cugini miei e anche suoi, mio padre, che era suo zio, inoltre un altro zio comune a entrambi per parte di padre e infine mio fratello maggiore, li uccise senza alcun processo».

Costanzo II (in seguito lo chiameremo semplicemente Costanzo), definito da Giuliano con ironia “umanissimo”, allontanò dalla corte i cugini superstiti: Gallo fu mandato a Efeso, Giuliano a Nicomedia, dove avvenne un incontro che avrà grande importanza per la sua formazione, quello con Mardonio, uno scita già precettore nella casa del nonno, incaricato di provvedere alla sua istruzione. Da lui Giuliano apprese la letteratura classica e l’amore per la cultura greca. Poi entrambi i cugini furono esiliati in Cappadocia, in un fondo imperiale chiamato “Macellum”, sottoposti a una rigorosa educazione cristiana e a un opprimente isolamento come Giuliano ricorda nella “Lettera agli Ateniesi”: «Come potrei descrivere i sei anni che trascorremmo in una proprietà straniera, come quelli che, presso i Persiani, sono internati nelle prigioni, senza che nessun estraneo si avvicinasse a noi e che a qualcuno dei nostri antichi conoscenti fosse concesso di frequentarci? Vivevamo esclusi da ogni serio insegnamento, da ogni libera conversazione, allevati tra una splendida servitù ed esercitandoci con i nostri servi come con dei colleghi perché nessuno dei nostri coetanei si avvicinava: non gli era consentito».

Più tardi Costanzo, che non aveva figli, cambiò atteggiamento nei confronti dei due cugini, unici parenti a lui rimasti, e a turno li scelse per il ruolo di “Cesare” - che secondo la gerarchia stabilita da Diocleziano voleva dire la prima figura nell’impero dopo quella dell'Augusto -, per poi tormentarli con trattamenti persecutori. Gallo, ritenuto indegno del mantello di porpora, fu nel 354 giustiziato senza processo e Giuliano corse il pericolo di subire la stessa sorte. Richiamato a Milano, privato di ogni libertà e accusato di aver tramato con Gallo ai danni dell’imperatore, visse a corte quasi in schiavitù, spiato a ogni passo. Ma l’intervento in suo favore da parte di Eusebia, consorte dell’imperatore, gli salvò la vita. Dopo sei mesi a Giuliano fu imposto di risiedere ad Atene, dove giunse nell’estate del 355. Nessuna altra città scelta per il suo soggiorno poteva renderlo più felice. Ad Atene frequentò soprattutto il filosofo neoplatonico Prisco e fu influenzato dal suo pensiero. Già nell’autunno di quel 355 gli giunse inaspettato l’ordine di presentarsi ancora a Milano. Su consiglio di Eusebia, a Giuliano fu concesso il titolo di “Cesare”. Inviato in Gallia dove i Franchi e gli Alemanni minacciavano i confini, nei cinque anni che egli rimase in quella provincia si rivelò inaspettatamente un grande generale, ottenne rapidi successi mettendo in allarme il sospettoso imperatore che deliberò di privarlo di gran parte delle truppe adducendo il pretesto che dovevano essere impiegate per la sua campagna in Oriente, ma i soldati si ammutinarono e acclamarono Augusto il loro comandante. Sembrava che una nuova guerra civile stesse per scoppiare quando Costanzo improvvisamente morì (361) permettendo a Giuliano di restare unico imperatore riconosciuto da tutto l’impero.

Giuliano dichiarandosi apertamente pagano cercò di ridare prestigio alla vecchia religione dello stato romano. Appena salito al trono dichiarò ufficialmente la sua intenzione di restaurare il paganesimo. Non perseguitò i cristiani ma si limitò a ridimensionare la posizione di preminenza che era stata loro riconosciuta a partire da Costantino riducendo i privilegi del clero cristiano che allontanò dagli uffici di maggior importanza.

Deciso a sconfiggere definitivamente i Persiani che rappresentavano una continua minaccia per le province orientali, riprese la guerra cominciata da Costanzo, ma mentre già avanzava verso Ctesifonte, fu colpito a morte (363).

 

Costantino e Giuliano con le loro opposte politiche saranno ricordati come due grandi personalità del IV secolo, l’uno per il trionfo del Cristianesimo, dopo anni di persecuzioni, e la nascita dell’impero cristiano - entro il quale tuttavia continuarono a vivere in lenta agonia le numerose religioni del pantheon pagano -, l’altro per il grandioso progetto di riforma economico sociale e di restaurazione religiosa, morale e culturale dello Stato, e per uno dei suoi primi atti di governo, l’Editto di tolleranza, emanato a Calcedonia nel 4 febbraio 362. Applicare tolleranza per tutti i culti cristiani senza distinzione fu un atteggiamento nuovo, di superiorità etica rispetto alla violenza praticata sempre dai vincitori, volto anche a mostrare la sua idea di uno stato estraneo a ogni sorta di confessionalismo.

Scrive Gaetano Negri, uno tra i primi biografi del ‘900 di Giuliano: «Se nelle campagne era ancora presente il culto antico degli dei pagani, nelle grandi città la maggioranza degli abitanti era convertita al Cristianesimo e sembrava impossibile un ritorno al passato. Eppure quando diventa imperatore, Giuliano, unico erede di quella famiglia imperiale a cui il Cristianesimo doveva il suo riconoscimento ufficiale, progetta il ritorno del Politeismo ellenico». Ma l’idea della divinità che egli professa non è semplicemente un ritorno all’antico, è un paganesimo nutrito di misticismo neoplatonico, di panteismo, di misterosofia, esoterismo, magia e divinazione, culti orientali, culto del sole. In questa sua personale religione egli trovava la spiegazione di tutti i misteri dell’universo visibile e invisibile. Lo spinge il ritorno all’antico l’aver individuato nell’ormai affermato Cristianesimo una delle cause principali della decadenza dell’Impero sotto molti punti di vista, inclusi quello economico e sociale. Sul piano pratico la tolleranza verso il pluralismo religioso aveva un significato politico: suscitare intorno al potere imperiale la simpatia degli altri culti e ridimensionare il predominio cristiano.

Alcuni storici ci hanno lasciato un’immagine positiva di Giuliano: Ammiano Marcellino, suo contemporaneo - le cui “Storie” descrivono gli anni che vanno dal 96 al 378 - fa di lui il suo eroe: «Fu certo un uomo da annoverare fra le personalità eroiche, da segnalare per la fama delle sue azioni e per innata maestà». Un secolo dopo un altro filo-giuliano, Zosimo, storico bizantino pagano della seconda metà del V secolo, nella sua opera in greco “Storia nuova” gli riserva parole di lode e ammirazione, ma sono gli ultimi bagliori di una storiografia non cristiana, presto si svilupperà la storia ecclesiastica con la demonizzazione della sua figura, anticipata, subito dopo la sua morte, dalla distruzione a martellate delle epigrafi che lo elogiavano. Il neo paganesimo non poteva durare, troppo colto e lontano dai bisogni spirituali delle masse per le quali il misticismo e il neoplatonismo non scaldavano il cuore come il messaggio del profeta di Galilea che si serviva di semplici discorsi, di parabole, parla di amore, di giustizia e riscatto morale.

Dopo la sua morte, con alcune isolate eccezioni, comincia la leggenda negativa di Giuliano con il racconto di azioni crudeli e malvage da lui compiute, e di aneddoti manipolati per oscurarne la precedente immagine edificante. Nessun personaggio della decadenza dell’impero fu più interessante e colto di lui, ma la tradizione ecclesiastica lo ha avversato terribilmente; gli ha impresso il marchio dell’apostata e lo ha condannato a lungo al disprezzo e all’oscurità. Ed è strano che la Chiesa si sia mostrata con Giuliano più intollerante che contro tutti gli imperatori che l’avevano avversata con feroci persecuzioni.

Per una sua rivalutazione si deve arrivare a Voltaire che alla voce “Giuliano” del suo “Dictionnaire” dedica ampio spazio per rendere giustizia alla sua memoria. Prende a modello questo protagonista della storia antica e lo presenta con un lungo elenco di qualità: «sobrio, casto, disinteressato, valoroso, clemente, uomo di cultura». Di fronte a tutte le calunnie subìte egli afferma: «Giuliano non era ipocrita, né avaro, né astuto, né bugiardo, né codardo”, né ubriacone, né dissoluto, né ozioso, né vendicativo». A proposito dei detrattori aggiunge: «non dobbiamo odiarli, ma compiangerli».

Sulle notizie della sua vita esistono tre fonti di singolare importanza: le Storie di Ammiano Marcellino, testimonio prezioso per l’imparzialità del suo giudizio, i Discorsi di Libanio, il retore che vide in lui il difensore dell’ellenismo, e ne pianse la morte immatura, e di Gregorio di Nazianzo, vescovo di Costantinopoli: avverso al paganesimo e a chi volesse ridargli prestigio scagliò contro di lui parole ingiuriose. Tuttavia le più interessanti testimonianze biografiche di Giuliano e delle sue scelte ideologiche si trovano nelle sue numerose opere, preziose per la ricostruzione della cultura tardoantica.

Nota: nell’immagine una statua di Giuliano, museo di Cluny

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