di Ritanna Armeni.

I giovani, quindi,non vogliono più lavorare. Fra gli articoli inutili, quando non decisamente falsi dei nostri giornali nazionali, gli unici che leggo fino in fondo sono quelli sui giovani e il lavoro o meglio sui giovani che rifiutano il lavoro, addirittura quello fisso, per non parlare del precario. Quest’ultimo poi che gli costerebbe? Avrebbero un po' di soldi in tasca e tornerebber a fare quello che vogliono. Invece no, non ne vogliono sapere e, quindi, commentatori e albergatori, economisti e giornalisti, industriali e politici lanciano l’allarme. Con dolore e preoccupazione questa volta, con vera preoccupazione, mi pare, lasciando da parte gli epiteti e gli insulti con cui in passato hanno attaccato chi non voleva lavorare. Ma con la stessa dolorosa sorpresa: come mai? Come è potuto avvenire?
Ve la do io una spiegazione e, credo ,più veritiera di quella di tanti sociologi e economisti.
Il rifiuto del lavoro è il frutto di almeno quarant’anni in cui questo è stato denigrato, disprezzato. E’ il risultato di un cambiamento culturale. Soprattutto il lavoro fisso. Ricordate i temi non lontanissimi in cui chi voleva uno stipendio regolare era “antico”, non sapeva adeguarsi alle nuove tecnologie e al nuovo mercato? Flessibile è bello, si diceva Precario? Che sarà mai! finito un lavoro ne comincia un altro, e poi non è più il centro della vita, questa è roba antica. Adeguatevi ragazzi al nuovo rutilante mondo che offre e toglie e poi offre di nuovo. Negli intervalli ci si arrangia. La famiglia, qualche corso, qualche viaggio, ai margini qualche soldo si trova sempre. Poi ci sono le chiamate, le occasioni e allora si approfitta per un guadagno maggiore. Questo avete detto e ripetuto fino allo sfinimento. Questo occorreva al mercato globale. Questo era predicato e sostenuto . Ed ora ne raccogliete i frutti .
Un modello , una cultura sono stati scardinati . Sono cambiate priorità, desideri , prospettive, Voi imprenditori, giornalisti, commentatori, albergatori in questi quarant’anni avete creato una nuova concezione del lavoro, che adesso, però, vi è sfuggita di mano. Avevate pensato che il lavoro flessibile e precario, che c’è e che non c’è, avrebbe creato obbedienza a qualsiasi legge e a qualsiasi condizione, a qualunque imposizione e, invece, no. I giovani vanno all’estero per cercare di meglio o rimangono in Italia ma si preservano. Fanno i loro conti . Qualche volta accettano il lavoro, qualche volta preferiscono andare al mare. Qualche euro in tasca in più non vale la gioia del sole, della compagnia a degli amici. Domani si vedrà. Il mercato è mobile, cambia, c’è e non c’è . E’ libertà avete detto per tanti anni. E i giovani pensano giustamente che possa esserlo anche per loro. La politica dell’usa e getta ha provocato il disincanto, e non poteva essere altrimenti. L’inno alla libertà del mercato ha funzionato anche per chi ne doveva essere vittima. Il problema è serio, avete ragione. Pensateci bene, dunque. Oppure arrangiatevi.
 

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