di Elio Clero Bertoldi.

Il prossimo anno cadranno i venti secoli dalla morte di Nerone Claudio Druso Germanico, noto come Germanico Giulio Cesare (15 aC-19 dC), figlio di Druso Maggiore, a sua volta nato da Livia Drusilla e da Antonia Minore, nipote di Augusto. Ed Amelia, dove venne ritrovata, ridotta in pezzi, una magnifica statua bronzea del pronipote del primo imperatore, si prepara a varare tutta una serie di importanti iniziative per celebrare la ricorrenza.

Dietro la morte di Germanico si cela un giallo ancora oggi irrisolto. L’imperatore Tiberio aveva inviato Germanico - che si era distinto come stratega tra i barbari prima in Pannonia e poi nel nord Europa, dove si era guadagnato sul campo il soprannome avuto eredità dal padre, avendo riscattato in qualche modo la terribile e bruciante sconfitta di Varo a Teutoburgo - in Siria. A Roma mormorarono che i successi in guerra e la simpatia raccolta dal principe tra i militari ed il popolo, lo avessero reso inviso all’imperatore suo zio, da cui era stato affiliato per ordine di Augusto, per cui Tiberio lo avrebbe allontanato, col nuovo incarico, dalla città eterna.

In Oriente Germanico, giunto con poteri straordinari, era entrato in collisione con il proconsole della Siria, Calpurnio Pisone, inviato dall’imperatore per tenere a freno il nipote, sempre pronto ad azioni di guerra. Il governatore, forse per i “secreta mandata” ricevuti da Tiberio, arrivò ad annullare tutti i provvedimenti assunti da Germanico - che si era nel frattempo spostato in Egitto con la moglie, violando le disposizioni dell’imperatore e ancor peggio vestendosi all’orientale, tanto da essere rimproverato pubblicamente dallo zio - e poi ripartì, per ordine del principe stesso, per Roma. Narrano che tra i due, diversi per carattere e formazione, gli scontri fossero frequentissimi, tra l’altro fomentati pure dalle rispettive consorti (Agrippina Maggiore e Munazia Plancina, amica e protetta da Livia, madre di Tiberio). Pochi giorni dopo la partenza del governatore e della moglie, il principe si ammalò. Prima di spirare, al termine di una lunga agonia, affidò alla moglie Agrippina l’ordine di vendicarlo, dicendosi sicuro che a propinargli il veleno, fosse stato il proconsole (“Vendica la mia morte”, avrebbe mormorato alla moglie). La vedova ordinò di celebrare solenni funerali in Antiochia, dove venne eretto un cenotafio e di innalzare un tumulo ad Epidafne, dove il marito era spirato. Quindi, con le ceneri del consorte, rientrò in Italia, decisa a far pagare a caro prezzo la morte dell’amato. Si mise in nave addirittura durante la brutta stagione, con brevi soste sull’isola di Corcira prima ed a Brindisi poi, dove fu accolta da popolo e veterani con grande onore e manifestazioni di affetto.

Agrippina Maggiore (14 aC-33 dC) era figlia di Marco Vipsanio Agrippa e di Giulia, a sua volta figlia di Augusto e Scribonia, seconda moglie dell’imperatore. Amava profondamente Germanico al quale aveva dato ben nove figli (molti partoriti tra le popolazioni barbare, perché aveva voluto seguire il marito in guerra), tra i quali uno, Caligola, sarebbe diventato imperatore ed una Agrippina Minore, moglie dell’imperatore Claudio e madre dell’imperatore Nerone. Anche lei era amata e rispettata: tra l’altro era stata salutata come una eroina, quando, al seguito del marito sul Reno in Germania, aveva impedito ai soldati di abbattere un ponte e aveva fatto preparare vettovaglie ed indumenti per soccorrere le legioni al rientro da una dura campagna invernale. Pisone, nel viaggio di ritorno lungo la Flaminia in Umbria, si fermò a Narni e poi scese in barca sul Nera e sul Tevere sino a Roma.

Il governatore, accusato con veemenza dalla vedova per l’avvelenamento di Germanico, si difese in senato con vigore negando ogni responsabilità e venne assolto dall’accusa di veneficio. Accusato, però, di irregolarità amministrative commesse in Siria, l’ex proconsole, prima che il verdetto venisse pronunciato, si tolse la vita. Pure Plancina, protetta di Livia, fu assolta. Svetonio e Tacito alludono al giallo, sebbene non offrano indizi sulle responsabilità. Prove di avvelenamento non emersero. Un cold case dell’antichità, insomma. Molto seguito perché Germanico, nonostante la giovane età (34 anni) aveva ottenuto gli “ornamenti trionfali” per le campagne in Pannonia e il trionfo per le guerre in Germania (dove aveva recuperato due delle tre aquile delle legioni massacrate da Arminio a Teutoburgo). Non manca chi ritiene che Pisone avesse agito su mandato di Tiberio in merito all’uccisione di Germanico, che godeva di un appeal particolare tra i soldati e la plebe, anche per i suoi modi semplici, alla mano, di relazionarsi con gli altri rispetto al carattere chiuso, riservato e freddo dello zio imperatore, sempre sospettoso e geloso dell’ombra di tutti. Il caso giudiziario, nonostante la tenacia e il coraggio di Agrippina Maggiore nel portare avanti le accuse, restò senza soluzioni giuridiche. La Tavola Ebana attesta, comunque, le fastose celebrazioni organizzate in tutto l’impero per il principe deceduto, le cui ceneri furono tumulate nel Mausoleo di Augusto.

La statua del Germanico, ad Amelia, forse frutto di queste iniziative di commemorazione pubblica, fu scoperta nel 1963 a seguito di lavori, poco fuori l’antica cinta muraria della città umbra.

Con la statua tornò alla luce anche un capitello decorato con trofei e navi, che probabilmente ricordava una vittoria navale di Augusto (o quella contro Sesto Pompeo a Nauloco o quella di Azio contro Marco Antonio e Cleopatra) e un’ara. La statua di altissima qualità, restaurata dalla Soprintendenza umbra, alta più di due metri, rappresenta il giovane Germanico in veste trionfale come generale vittorioso, con corazza e col braccio - nella posizione della “adlocutio” - appoggiato ad una lancia.

Di grande suggestione e pregio artistico la decorazione del pettorale sul quale è rappresentata la scena mitica dell’agguato di Achille a Troilo. Germanico non si distinse solo nelle armi, ma persino quale oratore e scrittore. Ha lasciato, infatti gli “Aratea” in esametri e frammenti di un'opera denominata “Prognostica”.

E Agrippina Maggiore? Entrata in rotta di collisione con Tiberio e col prefetto del pretorio Lucio Elio Seiano, le fu impedito di risposarsi con Gaio Asinio Pollione (senatore, ex console ed ex proconsole, fatto morire di fame) e finì per venire esiliata, come la madre Giulia, nell’isola di Pandataria (Ventotene) dove morì di inedia, fra terribili tormenti (sarebbe stata persino fustigata). Fu Caligola, una volta imperatore, a riportare le ceneri della sfortunata madre a Roma ed a farle tumulare nel Mausoleo di Augusto. Poco dopo la morte di Agrippina Maggiore anche Plancina fu costretta, scrive Tacito negli Annales, al suicidio.

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