di Maria Pellegrini.

«La statua di Germanico presente nel museo civico di Amelia è un raro esempio di scultura imperiale in bronzo, la cui lega offre la possibilità di poter essere successivamente dorata. I risultati dell’importante studio sulla natura della statua, saranno presto oggetto di una specifica pubblicazione internazionale». Così è stato detto alla presenza dei membri del comitato scientifico per il bimillenario della morte di Germanico (2019) in una conferenza del 5 maggio scorso, tenuta nella sala della pinacoteca del museo civico dalla prof.ssa Alessandra Giumlia-Mair, autrice di un approfondito studio sul bronzo della statua di Germanico.

La notizia mi dà l’occasione di ricordare questo personaggio della storia romana imperiale citato solo con il titolo onorifico “Germanico” trasmessogli dal padre per le vittorie sui Germani, e amato dal popolo romano tanto che l’annuncio della sua morte suscitò sgomento, come racconta Tacito negli Annali:

«Ogni attività venne sospesa, i fori si vuotarono, le case furono serrate. Ovunque erano silenzi e lamenti non ostentati: anzi, benché non ci si astenesse dai segni esteriori del dolore, ancora più profondo era negli animi».

Non vorrei però soffermarmi più dello stretto necessario sulle sue spedizioni vittoriose, la vita privata, il rapporto con la famiglia dell’imperatore Augusto, e sulla sua morte coperta dal sospetto di avvelenamento, ma della sua attività di letterato, studioso dell’astrologia e poeta.

Nel 4 d.C. morti Lucio e Gaio, Augusto fu costretto a pensare ad altri eredi. Adottò Tiberio, costringendolo ad adottare a sua volta il nipote Nerone Claudio Druso che divenne allora un membro della gens Iulia con mutato nome: Germanico Giulio Cesare, candidato alla successione imperiale. In quello stesso 4 d.C. Germanico sposò l’adolescente Agrippina maggiore, nipote di Augusto che aveva favorito tale unione per cementare ulteriormente l’appartenenza del giovane alla nuova famiglia. Intraprese anche lui, come il padre, guerre vittoriose contro i Germani dal 14 al 16 d. C. e conquistò l’affetto delle sue truppe. Nel 17 d. C. gli fu assegnato il comando sulle province orientali ma venne a contrasto con Gneo Pisone nominato da Tiberio governatore della Siria, probabilmente per controllare Germanico il cui successo lo metteva in ombra. Nel 19 d. C. morì in circostanze misteriose e Pisone fu sospettato di averlo avvelenato. La verità sulle reali cause che portarono alla prematura scomparsa di Germanico non si conobbero mai, ma il sospetto su Tiberio mandante dell’avvelenamento, tanto più perché Pisone morì suicida, fu sempre adombrato, e ciò costituì uno dei principali motivi che resero il successore di Augusto inviso alla popolazione.

Germanico, oltre che generale vittorioso, come già si è detto fu un uomo colto, amante delle lettere, della poesia e dell’astrologia, scienza di grande attualità già nell’età di Cesare.

Nei tempi più antichi, in cui non si avevano calendari attendibili, l’osservazione degli astri era motivata in primo luogo dall’utilità che rivestiva per l’agricoltura, poiché il sorgere e il tramontare delle stelle indicavano senza possibilità di errore il succedersi delle stagioni, scandendo le varie fasi del lavoro dei campi, dalla semina alla mietitura, alla vendemmia, ma anche per la navigazione, sia per conoscere la stagione più adatta ad affrontare il mare, sia per dirigere la rotta nella notte.

La prima descrizione completa di cui abbiamo notizia si deve all’astronomo Eudosso di Cnido (IV secolo a.C.), che vi dedicò due opere in prosa e realizzò, come testimonia Cicerone, un modello della sfera celeste, consistente in un globo che riproduceva la volta del cielo vista dall’esterno, con le stelle indicate su di essa secondo la concezione comune nell’antichità per cui le stelle sono appunto fisse sulla sfera del cielo, che le trascina nel suo movimento diurno attorno alla Terra, immobile al centro dell’universo. Se la prima descrizione scientifica completa del cielo risale a Eudosso, fu però un poeta ellenistico, Arato di Soli (III secolo a.C.), con la sua opera “Fenomeni” a descrivere con esattezza l’immagine del cielo.

L’opera di Arato destò grande interesse, il suo influsso è rilevante nel poema didascalico filosofico di Marco Manilio, dal titolo “Astronomica” in cinque libri dove temi filosofici si alternano a quelli astrologici: un’ampia descrizione della volta celeste, le costellazioni dello Zodiaco, l’arte di trarre gli oroscopi osservando la posizione degli astri, gli influssi delle costellazioni sull’indole degli uomini.

L’argomento scelto da Manilio, vissuto sotto Augusto, rispecchiava l’interesse per gli astri e i pronostici di quei tempi. L’astrologia a Roma era stata oggetto di studi nell’età di Cesare da parte di Varrone e Nigidio Figulo. Avevano fatto ricorso ad astrologi per avere responsi o previsioni personaggi di primo piano come Cesare e Augusto. Interessato all’astrologia era anche l’imperatore Tiberio, che nel filosofo Trasillo condotto da Rodi a Roma aveva il suo astrologo di fiducia, nonché consigliere, che viveva a corte.

La fortuna di Arato nel mondo latino è però sicuramente quello delle traduzioni del poema, compito in cui sappiamo si cimentarono diversi autori, tra i quali Ovidio, del quale ci restano però solo pochi versi. Tre traduzioni ci sono pervenute: quelle di Cicerone e di Germanico Giulio Cesare, e quella tardoantica di Rufo Festo Avieno, risalente al IV secolo.

In questo contesto di interesse per le stelle del firmamento è doveroso ricordare l’opera di Germanico che riveste un interesse del tutto particolare anche per la persona del suo autore, figura chiave all’interno della famiglia imperiale: molteplici vincoli di parentela lo legavano ad Augusto e destinato a succedere a Tiberio se non fosse precocemente morto a 33 anni in Oriente in circostanze mai chiarite.

L’aspetto più interessante e l’assoluta originalità della versione aratea di Germanico consiste nella componente astrologica, significativa non solo perché costituisce un capitolo della storia dell’astrologia nel mondo antico, ma soprattutto perché contribuisce ad illuminare il clima culturale della Roma augustea, e le convinzioni stesse della famiglia imperiale, di cui è la testimonianza più diretta, anche se la fede astrologica di Augusto, e soprattutto di Tiberio, sono ben note da numerose fonti. L’opera di Germanico citata con due titoli “Fenomi” come quella di Arato, o “Aratea”, segue abbastanza da vicino l’opera del poeta ellenistico, correggendola però in vari punti sulla base delle recenti acquisizioni della scienza astronomica. Inoltre è da notare rispetto al prologo di Arato, che conteneva l’inno a Zeus (Giove per i romani), la sostituzione con una dedica a Tiberio, definito «padre» (genitor). Ne riportiamo l’inizio dove preannuncia il soggetto della sua opera nata con il consenso del padre degli dei e di Tiberio:

Arato ha tratto inizio dall’onnipotente Giove per lo svolgimento
del suo poema: per quanto mi riguarda, o padre mio, ho in te il massimo
garante, è a te che m'inchino, a te come in un sacrificio offro le primizie
della mia dotta opera. Lo consente lo stesso reggitore e padre degli dei.
Quale sarebbe, infatti, il potere dei segni precisi dell’anno,
- sia che il sole nella sua orbita vorticosa aggiri il bruciante Cancro,
sia che all’opposto intersechi le mete del gelido Capricorno,
sia che l’Ariete e la Bilancia dividano in parti uguali il giorno e la notte -,
se sotto la tua protezione una pace così profonda non assegnasse il mare
alle navi e la terra agli agricoltori, e non tacessero remote le armi?
Ora possiamo liberamente levare con audacia gli occhi al firmamento,
cercare di conoscere gli astri e i diversi movimenti del cielo,
cosa deve temere il navigante e cosa l’esperto contadino: quando l'uno
deve affidare il battello ai venti, o l’altro le sue sementi alla terra.
Mentre io cerco di rivelare tutto ciò alle Muse latine, la tua pace
e la tua persona possano assistere tuo figlio e favorirlo con il tuo nume.

(Aratea, 1-16)

L’innovazione più evidente rispetto all’opera di Arato è la sostituzione completa dei pronostici con previsioni del tempo basate sull’astrologia, ove il tempo che farà è determinato dagli influssi dei segni zodiacali, dei pianeti, e infine delle loro combinazioni, che si sviluppano durante il percorso dei pianeti (i cinque conosciuti nell’antichità: Saturno, Giove, Marte, Mercurio e Venere)

Germanico ha voluto dunque offrire ai suoi lettori romani un Arato corretto, rivisto e aggiornato secondo le nuove conoscenze, che includessero anche la scienza astrologica, secondo una concezione al suo tempo ormai assai diffusa, e condivisa anche all’interno della famiglia imperiale, in più egli aveva la motivazione di essere un cultore dell’astrologia, per lui le costellazioni erano realmente dotate di vita e agivano con influssi determinanti sulla terra. Inoltre rispetto al modello greco, Germanico ha ampliato molto lo spazio dedicato ai racconti dei miti che stanno all’origine delle varie figure, e dedicato in particolare un largo spazio alle dodici costellazioni dello Zodiaco: Arato si era limitato ad elencarne i nomi, Cicerone ne aveva già sottolineato l’importanza riservando un intero verso a ciascuna (con osservazioni di carattere descrittivo, della luminosità o della posizione in cui i singoli esseri sono raffigurati); Germanico ha inserito un ampliamento molto maggiore per i miti. Qualche esempio:

Gemelli: sono i Dioscuri, Castore e Polluce.

Cancro: sarebbe stato posto in cielo da Giunone in ricompensa per aver morso il piede di Ercole durante la sua lotta con l’Idra di Lerna.

Ariete: è identificato con l’Ariete dal vello d’oro, che portò attraverso il mare Frisso ed Elle (la quale cadde in acqua, dando il nome all’Ellesponto), e per la cui conquista fu costruita la prima nave, Argo, ed ebbe luogo la spedizione degli Argonauti. Secondo una versione del mito l’Ariete fu trasportato in cielo senza il vello, il che spiegherebbe la scarsa luminosità delle sue stelle.

Sulla traduzione di Germanico del poema di Arato si deve precisare che per i romani il “vertere”, il tradurre le opere della letteratura greca significava emulare il modello, rimanere fedeli all’originale ma non in modo letterale, piuttosto con maggiore libertà nella rielaborazione del testo per creare un’opera artistica con toni nuovi, semplificazioni, rimaneggiamenti.

Negli “Aratea” il nostro Autore non appare il comandante vittorioso ma l’uomo colto e appassionato al tema che sta trattando. Nonostante la difficoltà della materia la lingua è ancora il latino della poesia augustea, quella di uno scrittore attento e raffinato anche se non sempre grande poeta, il suo cielo però è distaccato dal mondo degli uomini nonostante accenni all’influenza degli astri sulla loro vita.

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