La Germania di Tacito a cura di Dino Baldi.
di Maria Pellegrini.
Nonostante esistano numerose edizioni antiche e moderne della “Germania” di Tacito, Dino Baldi, filologo classico, ha pubblicato una nuova traduzione di questa opera considerata ingiustamente insieme all’“Agricola” e al “Dialogus de oratoribus” tra le minori del grande storico autore degli “Annales”. Nel suo volume “Germania” (edito da Quodlibet Compagnia Extra, pgg. 512, € 19,00) Baldi, oltre alla traduzione del testo tacitiano, ha offerto agli studiosi della letteratura latina e di Tacito un commento ricco e puntuale relativo a ogni capitolo: novantacinque pagine di testo e traduzione, accompagnate da ben duecentoquaranta pagine di commento nel quale si può ammirare grande competenza e chiarezza di scrittura. Segue un’antologia di scritti sui popoli del Nord lasciati da autori greci e latini: (Cesare, Diodoro Siculo, Strabone, Pomponio Mela, Plinio il Vecchio, Plutarco, Ippocrate, Vitruvio), e non si può ignorare la ricchezza dell’Introduzione con riflessioni sulla mentalità e i valori del mondo antico, un confronto fra Germani non ancora corrotti dalla ricchezza e i Romani che hanno perduto l’antica semplicità di vita dei tempi della prima repubblica. Nel volume si ripercorrono le sorti di questa monografia nel corso dei secoli: prima ignorata, menzionata soltanto dallo scrittore antico Cassiodoro nel 520, poi di nuovo, per l’interesse degli umanisti ci fu un tentativo di recuperarne il codice ma senza successo fino al 1460 quando ricomparve per poi di nuovo tornare alla scomparsa di ogni traccia. Singolare e forse meno conosciuto è il racconto dell’interesse di Hitler per il manoscritto tanto da ordinare che fosse requisito. Le SS saccheggiarono la villa del conte Balleani che lo possedeva, ma non fu trovato perché il codice si trovava in un’altra villa a Jesi nascosto in un ripostiglio delle cucine. Il conte alla fine degli anni ‘50 lo depositò in una cassetta di sicurezza del Banco di Sicilia ma sfortuna volle che le acque dell’Arno lo danneggiassero quasi irrimediabilmente nell’alluvione del 1966. Restaurato fu prima riportato a Firenze e poi dagli eredi nel 1994 donato allo stato. Ora è nella Biblioteca Nazionale di Roma.
Baldi, intervistato in occasione della presentazione del libro al Festival di Mantova, a chi gli chiedeva perché avesse rivolto il suo interesse per quell’opera già oggetto di molti studi, ha risposto che l’opera «non solo occupa un posto di rilievo nella letteratura latina ma è anche fondata su un popolo che ha avuto un ruolo preminente nella storia di Roma e dell’Europa».
Poiché la “Germania” non ha un proemio né un epilogo che ci mostrino quali siano state le intenzioni dell’Autore nel comporla, Baldi ci informa dell’ipotesi, avanzata da alcuni studiosi, che fosse un excursus preparatorio per il IV libro delle “Historiae” in cui è descritta la rivolta batava del 69-70 d. C. e che Tacito aveva già compiuto un esperimento in nuce nell’“Agricola” come una divagazione ben delimitata, appunto geo-etnologica, sui popoli della Britannia.
La “Germania”, ponte di passaggio verso la storiografia maggiore di Tacito e unico esempio di monografia etnografica arrivata a noi dall’antichità, per Baldi è un opuscolo scritto in un momento in cui l'interesse dei Romani per quella terra era politicamente ai vertici, e con l’intenzione di indurre Traiano, che allora si trovava nella Germania inferiore al comando dell’esercito del basso Reno, a chiudere definitivamente i conti con coloro che anni prima, nel 9 d. C., avevano inflitto ai Romani l’umiliante sconfitta nelle selve di Teutoburgo, con l’annientamento di tre legioni generando nella capitale dell’impero e tra le legioni un vero e proprio terrore per quei barbari. Di tale catastrofe Tacito non fa menzione nella “Germania”.
Per alcuni studiosi la monografia è l’espressione di una stupita ammirazione per indomite popolazioni in confronto polemico con la decadenza morale e politica dell’Impero romano; per altri una vera Bibbia del popolo tedesco, il certificato di nascita e l’attestato della remota nobiltà dei Germani. Poche sono le notizie frutto di una conoscenza personale dell’autore durante un qualche incarico in Germania di cui egli non fa parola. Si deve però notare che è la prima volta che uno storico dedica un’intera opera alla descrizione di popoli lontani e così diversi, esaminandone vizi e virtù. Tuttavia «Tacito - scrive Luca Canali nella premessa alla sua traduzione della “Germania” (ora ripubblicata dagli Editori Riuniti) - «affascinato e insieme spaurito da quell’intatto patrimonio di energie vitali, dovette pensare che un tale incombente pericolo per l’Impero doveva essere illustrato in una unitaria e breve, ma pregnante opera, che ne illustrasse i contenuti etici e culturali, religiosi, etnici, geografici, militari, ispirando nei romani ammirazione, timore e insieme volontà di serrare le file per scongiurarlo e possibilmente batterlo».
Baldi precisa che «l’etnografia di Tacito è “domestica”: in ogni sua riga è forte la volontà di descrivere i Germani per parlare ai Romani. Ma anche oggi la figura e la vita del “barbaro” ci toccano molto da vicino, per capire chi siamo noi e la nostra civiltà rispetto a colui che definiamo in questo modo».
Abituato a indagare sulle cause profonde degli avvenimenti Tacito vuol capire il perché della forza indomabile manifestata dai Germani, senza tuttavia idealizzarli o nascondere le loro debolezze. Quanto all’argomento la breve opera - la cui divisione in 46 brevi capitoli non è originale (fu introdotta a partire dal 1607 dal filologo fiammingo Jan Gruter) - può dividersi in due parti: nella prima sono trattati l’aspetto geografico della regione, gli usi e costumi degli abitanti, l’organizzazione politica, sociale e militare, le istituzioni familiari, la religione. Nella seconda, con rapidi tocchi si passano in rassegna le singole popolazioni, da quelle più conosciute e civili a quelle più primitive, e vi affiora una certa ispirazione romantica di simpatia per genti sane e forti, immuni dai guasti prodotti dal lusso e dalla ricchezza.
Un particolare accento è stato dato da Baldi al capitolo IV da lui intitolato “Purezza del sangue” (non presente nel testo latino) dove in apertura Tacito scrive:
«Sono d’accordo con chi afferma che i Germani non si sono guastati unendosi ad altri popoli, ma sono rimasti una razza a parte, pura e simile soltanto a se stessa. Questa è la ragione per cui si somigliano tutti, per quanto è possibile in una popolazione così ampia. Da ciò la conformazione fisica, uguale per tutti, anche se in così gran numero di uomini». Tacito riteneva, sul fondamento di Cesare, e in questo distanziandosi dalle fonti greche che li accomunavano ai Celti, che i Germani fossero un popolo autoctono, non contaminato dal contatto con altre genti.
Nel Novecento, la purezza razziale dei Germani affermata da Tacito è stata oggetto di fraintendimenti ideologici tanto che Momigliano, definì quest’opera uno dei cento libri più pericolosi mai scritti a causa di certi suoi contenuti che paiono anticipare l’idea di una «purezza del popolo tedesco durante il nazismo» e di conseguenza di una «superiorità» innata della razza germanica Il mito dell’autoctonia e quello ancor più nefasto della purezza etnica trovarono alimento e fondamento proprio nei primi capitoli dell’opera tacitiana, non solo nel quarto di cui si è citata la frase iniziale ma anche nel secondo dove si afferma che «i Germani sono portati a credere che siano originari di questi luoghi, e che non siano per nulla mescolati con altri popoli venuti spontaneamente fra loro o accolti in amicizia». Perciò il nazionalismo tedesco, sfociato nell’esaltazione hitleriana, ha scelto questo breve scritto come fondamento della propria dottrina.
Non a caso, Hitler cercò in tutti i modi di trovare il più antico manoscritto della “Germania”, che si trovava in Italia. I tedeschi, tentarono di imitare gli antichi e mantenere quella purezza di sangue con la quale Tacito li aveva descritti.
A conclusione di queste sintetiche riflessioni sull’importante testo di Baldi - di cui si consiglia vivamente la lettura - è importante riportare un ammonimento che è nella sua Introduzione:
«La Germania continua a parlarci perché racconta la nostra storia ed evoca la nostra parte di buio, è un modo per riconoscerci e per riappropriarci di ciò che siamo stati e che siamo ancora oggi: barbari e civili, familiari e odiosi a noi per primi. Il riconoscimento di questa complessità e delle contraddizioni che contiene è il primo passo, mi pare, verso l’unica forma possibile di civiltà europea».
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