di Leonardo Caponi.

Il Pd e i partiti di sinistra hanno qualcosa di incredibile. Travolti tutti da una sconfitta che potrebbe avere risvolti drammatici, (tipo Pasok e il Ps spanolo per il Pd, l’estinzione per gli altri) non stanno facendo, né la faranno, una analisi criticamente rigorosa sulle politiche e il modo di essere che li ha condotti a quell’esito, né li cambieranno ma, sostanzialmente, ne riconfermano la bontà per il futuro. La autocritica prevalente nel Pd, che pare diventata un mantra più che una riflessione reale, è quella di “aver abbandonato il popolo” e “essersi distaccati dalla gente”, intendendo per gente le classi meno abbienti. Non ci vuol molto a capire che è vero. Da tempo il Pd prende più voti tra i medio borghesi dei quartieri alti che tra gli operai o i disperati delle periferie. Però bisogna intendersi. Questo “distacco” non è un dato “fisico”, cioè la diserzione o la assenza dai luoghi di incontro pubblici, anche questo forse, ma è il prodotto di politiche e del cedimento a culture che non da oggi, ma dai primi centro sinistra di prodiana memoria hanno avuto una tendenza sostanzialmente liberista, fondata sulla illusione che si potesse avere successo e consenso inseguendo la destra sul suo terreno e facendo nella sostanza la sua stessa politica. Queste tendenze, dopo il rigorismo socialmente devastante di Monti, sono state portate a conseguenze estreme dal renzismo di questi ultimi anni che ha praticato azioni di governo votate al mercato e all’impresa e calibrate sul definitivo smantellamento dei diritti e delle conquiste dei lavoratori, che ha prodotto una redistribuzione della ricchezza alla rovescia, cioè dai poveri ai ricchi e non viceversa. Ora, se il Pd non rivede a fondo queste politiche, c’è da dubitare che possa riallacciare un legame con quel popolo che ha sfogato delusione e protesta votando M5S o, addirittura (da questo punto di vista il risultato umbro è sconvolgente), Lega. Se volete un pronostico non lo farà (perché è incapace di farlo) e continuerà a galleggiare o precipitare in un destino peggiore di quello attuale.

La autocritica di Liberi e Uguali è sintetizzata nell’espressione “poco e tardi”, alludendo a una scissione consumata troppo a ridosso delle elezioni e ad un programma mancante di una distinzione più marcata rispetto a quello della casa madre. E va bene, fin qui ci siamo. Il punto adesso è come andare avanti, riguarda e riguarderà, principalmente i rapporti con Pd. Se non si scioglie l’ambiguità politica che ha caratterizzato questi mesi preelettorali e se non ci si pone nell’ottica della costruzione di una forza che raggruppi tutta la sinistra, unitaria si, ma chiaramente autonoma e alternativa al Pd, è difficile prevedere sviluppi significativi. Al proposito di ricostruire un idealizzato centro sinistra prima maniera, l’elettorato ha risposto con un inequivocabile no. C’è da prevedere anche una difficoltà di LeU a rimanere unita (come per lo stesso Pd), perché una parte di essa, piuttosto che cimentarsi a costruire una nuova sinistra potrà essere risucchiata dalle sirene di un rientro nei ranghi dello stesso Pd.

Ma l’apoteosi dell’autolesionismo e dell’irrealismo politico è rappresentato da Potere al Popolo. Ora esprimere soddisfazione, addirittura entusiasmo, come hanno fatto la portavoce e la assemblea nazionale, per il risultato elettorale di una coalizione che ha preso l’uno per cento dei voti, è sconosciuta al grande pubblico, non è rappresentata in Parlamento e non ha alcuna incidenza nella situazione politica, ha qualcosa di scioccante perché certifica una distacco dalla realtà, che non può essere colmato da una pur apprezzabile generosità e passione.

Quale sarà il futuro della sinistra? Difficile da stabilire. La cosa certa, al momento, è che, come si dice, le cose non son messe bene.

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