MILANO - All'alba del 10 agosto 1944 a Piazzale Loreto, sull'angolo con via Andrea Doria dove ora c'è la Banca Popolare di Milano, un plotone di militi fascisti, agli ordini del criminale nazista Theodor Saewecke, fucila quindici partigiani, lascia i corpi sul selciato per l'intera giornata, facendoli oggetto di atti vergognosi e sprezzanti, e costringe i passanti a ammirare la loro opera, reprimendo ogni moto di compassione o di pietà. Agli occhi dei nazifascisti, essi avevano due gravissime colpe: non pensavano fascista e progettavano una società più giusta, di liberi e di uguali.

Da allora, questo luogo ha un elevato valore simbolico. Non casualmente, nell'aprile dell'anno successivo, sempre qui, ma all'angolo con Corso Buenos Aires, finiva il fascismo. Non morte della patria, come dice Ernesto Galli Della Loggia: fine del fascismo. E fine della monarchia, complice dei delitti del fascismo, della guerra, dei lutti e delle distruzioni che allora facevano di Piazzale Loreto uno slargo desolato.

Noi famigliari dovemmo aspettare cinquantacinque anni perché Saewecke fosse condannato all'ergastolo dal tribunale militare di Torino. Ma, secondo Massimo Fini, giornalista del Fatto quotidiano, chiedendo e ottenendo giustizia, non saremmo migliori dei nazisti che esercitavano le rappresaglie per seminare il terrore. Anzi. Saremmo dei crudeli persecutori di poveri vecchietti nazisti e, chiedendo giustizia, eserciteremmo una sorta di rappresaglia nei loro confronti. In un articolo del 9 luglio Fini scriveva infatti, a proposito della condanna a Verona di sette ex militari della divisione Hermann Goering, che quel processo, come gli altri per le stragi nazifascistem, «più che il sapore della giustizia ha quello amaro della rappresaglia. Proprio quella rappresaglia in nome della quale, tante volte, abbiamo condannato i nazisti».

A seguito delle nostre proteste, Antonio Padellaro, direttore del Fatto, ha affermato che Massimo Fini va «contro corrente». Direi, piuttosto, che naviga beato nel conformismo più assoluto della corrente di defascistizzazione del fascismo, sempre più affollata. Ciò che si dipinge oggi è un fascismo bonaccione che ha la sola colpa delle leggi razziali del '38; si ignora l'uso sistematico della violenza, o dell'assassinio per eliminare gli oppositori; si trascura la responsabilità di aver contribuito a scatenare la guerra più sanguinosa mai conosciuta dall'umanità (60 milioni di morti).

La giustizia è lenta e tardiva, e, nella maggior parte dei casi, è giustizia negata: dei 695 fascicoli sulle stragi ritrovati nell' «armadio della vergogna» solo il 2 per cento ha già portato alla condanna definitiva di criminali di guerra per reati dichiarati imprescrittibili dal nostro ordinamento giudiziario, come ogni omicidio aggravato. I casi ancora aperti sono una trentina e, anche ammesso che tutti giungano a sentenza, si farebbe giustizia per il 6% dei fascicoli. La vera notizia dunque è che oltre il 94 per cento delle stragi rimarrà impunita.
Il Fatto si è risolto solo il 6 agosto a pubblicare, massacrata dai tagli, la lettera di rettifica del procuratore militare di Roma Marco De Paolis, che tra l'altro spiegava a Massimo Fini che nei processi italiani non si applicano fantomatiche «leggi retroattive», ma il codice penale militare del 1941.

De Paolis, nelle parti tagliate dal Fatto, ricordava la vicenda di Lorenzo Buzzini, che nella strage di San Polo di Arezzo a 5 anni perse padre, madre, nonni, quattro fratelli, rimase senza casa (che gli fu bruciata) e senza neppure un gioco o un vestito, e visse in orfanatrofio fino ai 18 anni, restando solo per tutta la sua vita. In aula a La Spezia, con gli occhi umili e profondi di chi ha vissuto per 67 anni con un dolore incancellabile, disse semplicemente: Io dalla vita non ho avuto nulla. Ma i miei carnefici hanno vissuto e prosperato nelle loro famiglie, in Germania o in Austria, insieme alle loro mogli, ai propri figli e, oggi, con i propri nipoti.

Il mondo descritto da Massimo Fini, dove le vittime delle stragi fasciste sono dei terribili persecutori, coincide con quel «mondo alla rovescia» berlusconiano in cui i magistrati sono «brigatisti rossi», i mafiosi «eroi», dove si esortano i cittadini a non pagare le tasse e si premiano gli evasori con condoni fiscali. E dove, ogni giorno, si attenta alla costituzione. Francamente, non c'è da stare allegri.

Sergio Fogagnolo

Presidente dell' Associazione «Le Radici della Pace - I Quindici

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