Francia, Hamon e l'orario di lavoro di 32 ore
di Sandro Roazzi
In Francia il 49enne Hamon la spunta sulla oligarchia del partito socialista francese e si propone come il candidato socialista che sfiderà centristi e la Le Pen. Parte battuto in partenza anche per le inevitabili divisioni a sinistra, maledizione storica di questa area politica. Noi ne sappiamo qualcosa, decretando perfino l’ostracismo nei confronti del termine socialismo e preferendo da anni astruse alchimie ‘salottiere’ e pubblicitarie. Segno purtroppo della decadenza complessiva di una classe dirigente sempre più sola.
In Francia, invece, i socialisti ci sono ancora anche se tremano all’idea di ritrovarsi all’angolo della politica. Hamon mostra nella sua proposta politica, ancora slogan intendiamoci, qualche tratto comune con Sanders e il ribelle laburista inglese. Un socialismo che cerca di recuperare come può la bandiera impolverata della giustizia sociale in un mondo che ha cambiato le carte in tavola, frullando in primo luogo le classi sociali. Hamon ci prova con il reddito minimo universale, con l’orario di lavoro che dovrebbe scendere verso le 32 ore e con una super tassa sui robot, che per fortuna sanno fare tanti lavori ma ancora non quello di...scendere in piazza per protestare.
Il salario minimo universale intende ovviare alla frantumazione sociale. Non è una novità, se non per i costi che comporterebbe. C’è un pizzico di populismo che sembra ormai essere un ingrediente insostituibile in ogni iniziativa politica. La Francia potrebbe però essere un laboratorio interessante, ma solo perché è una realtà politica e sociale con uno Stato centrale ancora solido. Restano comunque i dubbi su un’operazione che sembra un ...QE alla Draghi.
Diverso è il tema delle 32 ore. La riduzione dell’orario di lavoro prima o poi sarà un nodo da affrontare in Francia come in Germania, come in Italia. Il prepotente cambiamento tecnologico lo imporrà. Occorrerà vedere il come, il dove, la flessibilità che si userà per applicarlo. Ma soprattutto presuppone una diversa organizzazione della società tutta e non è un progetto da poco. In Italia ci ritorna Pierre Carniti che ha...naso, ma per il resto si può dire che la discussione non è neppure partita, anche perché un’economia che poggia sul 90% ed oltre di piccole e medie imprese manifesta altre priorità. Per ora.
Ma è la terza suggestione a colpire: rallentare l’evoluzione tecnologica, rapidissima, tassando i...robot. Qui non ci siamo. Vero è che si solletica in questo modo le paure ancestrali di chi teme di perdere il lavoro o di non averlo mai un lavoro vero, ma sembra l’ennesima linea Maginot destinata ad essere aggirata dai fatti e dai tempi. Del resto la trasformazione tecnologica può ben assorbire costi in più, visto che può pagare quel prezzo con ulteriori licenziamenti, concentrando le risorse umane sui livelli più specializzati. Si finirebbe insomma per tassare non i robot ma...il lavoro umano. Servirebbero degli approfondimenti. Nel nostro confronto politico tracce di una riflessione seria non se ne vedono. Si profila un nuovo...ritardo da colmare? Possibile. Resta il fatto che almeno l’integrazione con l’economia francese, che procede più per merito transalpino che nostro, dovrebbe indurre a cominciare a ragionare su questi scenari, sia pur ancora molto eventuali. Un test certamente meno malinconico di quello che oggi la politica ci offre quotidianamente. Ma che per ora non pare interessare granché. Resta il fatto che almeno in Francia nella sinistra ci si gioca...il posto tentando di progettare un pezzo di futuro che riguarderà milioni di persone e famiglie. Una chimera..da noi.
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