di Leonardo Caponi

In una affollata assemblea alla Piramide di Madonna Alta, la Giunta comunale di Perugia ha presentato, qualche sera fa, il suo progetto di ristrutturazione del quartiere Fontivegge Bellocchio. L’amministrazione ha dato alla riunione il carattere delle grandi occasioni; Sindaco e vertici comunali presenti, proiezioni fotografiche, pardon, slide, per essere in linea col taglio futuribile del progetto, architetti e tecnici a illustrarne le opere costitutive.

Anche se è apparsa una operazione tra il “commerciale” e il propagandistico, ha confermato una considerazione “speciale” che la Giunta comunale attribuisce, al contrario della precedente, al quartiere in questione, considerato strategico nel più generale equilibrio urbano. Detto questo però, gli interrogativi, alla “serata” e al progetto, non mancano a cominciare dal diritto di parola che è stato negato al folto pubblico presente, desideroso, in un quartiere pieno di problemi, di dire la sua e, anche perché no?, di “sfogarsi”. Si è proceduto ad una partecipazione condotta con tecniche di marketing (la possibilità di sintetizzare opinioni con bigliettini autoadesivi da appendere in giro per la sala, pratica attuata da pochi) più adatti ai corner promozionali dei supermercati che alla interlocuzione democratica. In verità queste tecniche comunicative e di rapporto vertice base, ispirate alla logica del consumo, appaiono una furbata più che, come si pretenderebbe, una proiezione del futuro. Il progetto, che utilizza la non trascurabile somma di risorse pubbliche nazionali e regionali di derivazione europea di 36 milioni di euro, non è, come si è teso a far credere, una scelta “tecnica”, e quindi tuttalpiù tecnicamente emendabile in singole parti, ma una decisione politica e come tale va valutata e discussa. Per fare questo non è stata ancora inventata una prassi migliore di quella del linguaggio parlato espresso in assemblee democratiche. Il giovane sindaco Romizi, sollecitato, ha detto che ce ne saranno e, quindi, non c’è che da aspettare.

E’ apparso evidente uno “stacco” tra il sogno e la realtà, cioè tra il quartiere attuale, incasinato e problematico e la leggiadra Beverly Hills, con aggiunta di tecnologia avanzata, narrata nelle slide e presentata in una relazione assessorile infarcita di termini inglesi, postmoderni e di suggestivi scenari, mentre le strade sono piene di buche e gli scippi all’ordine del giorno. Chi colmerà questo stacco? Le risorse a disposizione del progetto? Mah! Il quartiere presenta un eccesso di cemento, termine scarno per definire un surplus di offerta commerciale e abitativa e zone di degrado urbano ed edilizio. In entrambe le aree allignano prostituzione, malavita e spaccio. Il problema capitale e complesso di Fontivegge Bellocchio è, fermo restando per una sua parte la funzione di snodo viario, amministrativo, commerciale e professionale, una socializzazione basata sull’insediamento abitativo di famiglie e persone che, con termine discutibile, si usa definire “normali” o “per bene”, che marginalizzino le presenze indesiderate. Quello che è in corso d’opera e il progetto presentato sono coerenti con questa esigenza? Beh, in parte la contraddicono apertamente, come la nuova colata di cubature all’ex tabacchificio e al parco Chico Mendez. Quanto alle risorse del nuovo progetto, c’è da discutere. Parte di esse piuttosto che per ridisegnare stilisticamente l’area di fronte alla stazione ferroviaria e creare contenitori per imprese del futuro, che stanno solo nell’immaginazione degli amministratori, potrebbero essere riconvertite in incentivi di varia natura per il recupero di immobili degradati e la finalità di cui sopra. C’è infine, ignorata nella proposta del Comune, la questione dell’integrazione con la massiccia presenza extracomunitaria che esiste nel quartiere. Piaccia o meno, è una questione che va affrontata.

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