di Sandro Roazzi

Fiducia in calo, aspettative in peggioramento. LʼIstat segnala così la fase economica che stiamo attraversando, inconcludente e priva di una reale direzione di marcia. Singolare che anche le assicurazioni internazionali su una crescita che si sta irrobustendo facciano poca presa su imprese e famiglie. Sembra quasi che i miglioramenti in atto scivolino via senza lasciare traccia nella opinione dei più come acqua su un vetro, appannato per giunta. Si tratta di umori congiunturali, vero, ma pur sempre sintomo di un malessere che appare e scompare come un fiume carsico nella nostra economia.

È che per ritrovare speranze e fiducia occorrerebbe il ponte della politica, da noi lesionato in troppi punti per essere percorribile. L’incertezza corrode anche le migliori intenzioni, l’insofferenza per come si trascina la dialettica fra i partiti fa il resto.
Ma quello che più di tutto dovrebbe mettere allʼerta sono le previsioni intonate al pessimismo: le famiglie vedono la disoccupazione in aumento, le imprese - tranne il commercio che sta beneficiando di una timida ripresa dei consumi - di tutti i settori non mostrano alcuno slancio con un umore perfettamente allineato alla modestia complessiva del procedere della economia.
A soffrire sono soprattutto le potenzialità economiche e sociali di cui comunque disponiamo. Il fatto è che la spinta a rischiare, a cercare lavoro, a inventarsi un’attività si rafforza se tutta la società si muove, si rinnova, cambia passo, ritrova motivazioni comuni. Su questo versante siamo indietro invece e non di poco. Confindustria e sindacati intanto paiono intenzionati ad aprire un nuovo confronto. Potrebbe essere questo un buon segnale per smuovere i timori sul futuro e sarebbe anche più utile provenendo dalle forze sociali. Per ora di tratta però solo di un fragile auspicio.

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