Fenomenologia di Massimo Cacciari
di Vito Nocera
Occorre, credo, riconoscere - al di la' di piu' o meno simpatia che il personaggio puo' suscitare - a Massimo Cacciari di essere ormai tra i rarissimi grandi intellettuali italiani capaci di esprimere un pensiero di critica radicale al mercato e di aspirazione alla liberazione umana dalla fatica e dal dominio del lavoro.
Un pensiero che un tempo si sarebbe detto rivoluzionario.
E di esercitare questa sua riflessione nella societa' reale.
Le centinaia di affollatissime lectio nelle universita' e nelle tante piazze italiane.
E perfino dalle prime pagine dei grandi giornali borghesi, quelli fautori esasperati del mercato.
La qual cosa, per il filosofo veneziano, non sembra una contraddizione ma semmai una forza.
La tecnica, secondo la sua visione, senza la politica, la grande politica, riproduce subordinazione del lavoro vivo e diseguaglianze.
E così perfino concorre alla drammatica crisi in atto delle democrazie occidentali.
Ancor piu' oggi di fronte alla intelligenza artificiale.
Si chiede Cacciari: ne parliamo solo per un controllo nella sua applicazione o ne facciamo una sfida strategica?
Quella di una rivoluzione che puo' rovesciare il destino che ha segnato la nostra storia.
Quello del lavoro come fatica, quasi una pena, una dura necessita'.
E così testualmente proprio di recente scrive:
"La straordinaria crescita di produttivita' e ricchezza che una tale tecnica puo' consentire deve valere come bene comune, permettere a ognuno di essere attivo secondo i suoi desideri e le sue capacita' e non secondo le regole di un mercato che questa stessa tecnica rende obsoleto"
Non vaga utopia ma strategia politica capace di liberare la creativita' della ricerca scientifica dal suo essere soltanto assunta e impiegata dalle "leggi" del mercato e del profitto.
In realta' niente di completamente nuovo.
C'e' qui il Weber della indissolubilita' del lavoro dello spirito - quello scientifico e quello politico.
E, ancor piu', il Marx dei Grundrisse, quello della riappropriazione da parte stessa di chi lo produce dei risultati del formidabile sviluppo del neocapitalismo.
Esito dello sviluppo tanto piu' oggi da estendere come beneficio all'intero corpo sociale.
Nulla di completamente nuovo, forse, ma avercene intellettuali che parlino così.
Il tutto dentro una lucida visione sovranazionale.
Dove appare piuttosto difficile la pace, la fine di tragedie geopolitiche, in presenza del lavoro comandato, di leggi economiche che moltiplicano le diseguaglianze, di tendenze imperiali tese a un governo monarchico del mondo.
Qui si salva - secondo Cacciari - anche la democrazia politica.
Se mostra di essere lo spazio libero di ciascuno, di sviluppo dei conflitti per il perseguimento di questi obiettivi, dove la stessa felicita' della singola persona viene connessa al perseguimento del benessere universale.
Insomma una lettura, un abbozzo di teoria, che piu' radicale non si puo'.
Una visione autenticamente e realisticamente rivoluzionaria.
Certo si puo' obiettare su come tradurre un tale impianto teorico in programma politico.
E' certo il problema.
E qui spetta a chi ancora si muove piu' direttamente sul terreno della contesa politica e sociale -
invece che correre disperati dietro le sconnesse sirene del populismo e del propagandismo strumentale di giornata -
raccoglierne, nelle forme possibili, con coraggio e intelligenza la lezione.
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