"La favola di Amore e Psiche" di Apuleio. Recensione.
di Maria Pellegrini.
C’era una volta un re e una regina… quante volta abbiamo letto quest’inizio di favole ascoltate da bambini o lette ai nostri figli quando erano piccoli. C’è una storia che ha tutto il sapore di una fiaba a lieto fine che troviamo in un romanzo di Apuleio (l’autore più importante della letteratura latina del II secolo d. C., nato a Madauro nell’odierna Algeria) intitolato le “Metamorfosi” che gli antichi conoscevano anche col nome “L’asino d’oro”. Il protagonista, Lucio, in una delle sue tante avventure, sente raccontare la “bella fabella” da una vecchia avvinazzata per rasserenare una fanciulla rapita dai briganti e nascosta in una grotta. La trama rispecchia tradizioni favolistiche note. L’inizio è proprio quello delle favole: «C’era una volta in una città un re e una regina» poi prosegue «avevano tre figlie bellissime. Le due più grandi, anche se molto belle, potevano essere degnamente celebrate con parole umane, mentre la bellezza della più giovane era così straordinaria, così fuori dal comune che il linguaggio umano appariva insufficiente e povero non solo a descriverla ma anche solo a lodarla».
Protagonisti della favola sono Psiche (in greco significa Anima), la fanciulla bellissima, la più piccola delle tre sorelle, e Amore (cioè Cupido, figlio di Venere). Nelle edizioni della New Compton è stata pubblicata l’ottava edizione dell’economico volumetto “La favola di Amore e Psiche” di Apuleio (2022, pp. 160, € 4,90) con una Premessa di Francesco Piccolo e la Cura e traduzione di Gabriella D’Anna.
La lunga favola di “Amore e Psiche”, che occupa quasi tre libri del romanzo di Apuleio, si ritiene ispirata da una serie di racconti orali precedenti. Elementi del folklore popolare s’intrecciano con temi mitologici e con motivi della poesia erotica sullo sfondo di significati filosofici e religiosi espressi allegoricamente.
La figlia minore di straordinaria bellezza, tale da essere considerata da tutti più bella della stessa Venere, suscita l’ira della dea che sente minacciata la sua fama e impone al figlio Amore di vendicarla e di «far innamorare perdutamente questa fanciulla di un uomo che sia il più vile di tutta la terra».
Nonostante la sua bellezza, nessun pretendente si fa avanti a chiedere la mano di Psiche, perciò il padre interroga l’oracolo di Apollo a Mileto e da esso riceve un triste responso: dovrà lasciare su un’alta montagna la figlia ornata per le nozze con abiti funerei. L’aspetta un crudele mostro alato di cui lo stesso Giove e gli altri dei hanno il terrore. Seppure con immenso dolore il padre obbedisce e Psiche è lasciata sulla sommità della rupe indicata. Amore colpito dalla bellezza di Psiche s’innamora di lei e non porta a termine il compito affidatogli dalla madre. Comanda che Zefiro la sollevi e la deponga su un prato fiorito sottostante. Il paesaggio rasserena Psiche che scorge una reggia e ne varca la soglia, e scopre che tutto ciò che vede è ciò di più prezioso c’è al mondo. Voci senza corpo la accolgono, sono le ancelle che sempre invisibili le offrono un pranzo di varie portate, mentre si ode un coro di voci armoniose. Arriva la notte ed ecco «che le si accosta lo sposo sconosciuto che la fa sua e prima che sorga il giorno scompare». Questo si ripete per molte notti ma lo sposo le impone il divieto di vederlo pena il suo allontanamento per sempre.
Psiche segue queste indicazioni ma cede solo dopo esser stata convinta dalle sorelle che, venute a trovarla, sono prese da invidia per la ricchezza della reggia e non possono fare a meno di confrontare la sorte fortunata di Psiche con le loro vite miserevoli e con mariti che le trattano come schiave. Insinuano in lei il sospetto che l’amato sposo sia un mostro. Amore l’ha avvertita del pericolo che corre se si lascia convincere a rompere il patto: «Se tu mi vedessi non potrai vedermi più», le ha detto, ma lei alla fine, sebbene esitante, cede alla curiosità e una notte mentre lo sposo dorme, illumina con la lucerna le sue fattezze divine: «vede il biondo capo e i fluenti capelli umidi d’ambrosia, vede sul collo bianco come il latte e sulle gote rosate le morbide ciocche di capelli sparse alcune sul petto, altre sulle spalle…. Il resto del corpo è liscio e splendente e tale che la stessa Venere non potrebbe pentirsi di averlo generato».
Dalla lucerna una goccia di olio bollente cade sulla spalla del dio che balza dal letto e si alza in volo, Psiche si attacca al suo piede ma poi subito dopo esausta cade al suolo, ma appena ne ha le forze decide di mettersi in cammino per ritrovare il suo amato sposo, ma prima si vendica della malvagità delle sorelle di cui provoca la morte. Vaga di tempio in tempio alla ricerca di qualche divinità che possa aiutarla, poi decide di affrontare Venere e si reca al suo palazzo. Trova la dea ostile che la sottopone a quattro prove progressivamente più difficili. Ma le creature del mondo, animali, piante e cose, l’aiutano a superarle. Ultima prova deve scendere al regno dei morti e riportare nel mondo un dono speciale di Proserpina, Al ritorno Amore che la ama ancora chiede al padre Giove di poterla portare con sé sull'Olimpo dopo averla resa immortale. Tutto finisce bene con un matrimonio al quale assiste anche Venere che ha deposto la sua ira.
Si è qui dato solo un breve riassunto della trama. La narrazione è molto più ricca di particolari, di aneddoti, curiosità, con toni delicatamente fiabeschi ma con esiti letterari e artistici di grande rilievo. La fantasia di Apuleio è esuberante, è un virtuoso dello stile che ci offre un saggio del suo talento. Il significato allegorico nulla toglie alla leggerezza del racconto che ha lo scopo di evasione e ammaestramento filosofico. La storia di Psiche, cioè l’anima umana è una storia di peripezie, errori, riscatto che indica il difficile viaggio dell’anima per arrivare al divino.
La favola di Amore Psiche è stata oggetto d’ispirazione artistica di pittori e scultori, ma il gruppo scultoreo di Antonio Canova oggi al Louvre di Parigi, realizzato tra il 1787 e il 1793 è sicuramente il più noto.
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