di Elio Clero Bertoldi.

PERUGIA - Un importante centro produttivo di epoca romana è stato scoperto, nel corso di una campagna di scavi durata sei anni (2012-2028) a Montelabate, a poca distanza dall’abbazia benedettina di Santa Maria di Valdiponte. È stato il Ministero per i Beni e le Attività Culturali attraverso la Soprintendenza Archeologia dell'Umbria a dare in concessione, con una serie di garanzie ben specificate, gli scavi, dopo che erano state individuate, non lontano, alcune tombe. Il progetto è stato curato dell’Università di Cambridge con cui ha collaborato il Politecnico di Milano. Sul sito sono venute alla luce tre fornaci che hanno operato a partire dal I secolo a.C., producendo anfore vinarie, ceramiche per la cucina, laterizi.

Ne ha dato notizia una conferenza stampa tenuta al Museo archeologico nazionale dell’Umbria, alla quale hanno partecipato la direttrice Luana Cenciaioli, l’assessore comunale alla cultura Teresa Severini, la responsabile dei lavori Maria Letizia Ceccarelli (archeologa dell’ateneo inglese) e Giorgio Postrioti, archeologo della Soprintendenza umbra.

Nella zona sono state rinvenute due fornaci rettangolari adiacenti. Una, di notevoli dimensioni (8 metri per 6) venne abbandonata perché la struttura era stata danneggiata dall’eccessiva esposizione al calore; l’altra più piccola, è risultata ben conservata e con gli archi intatti. Accanto a quest’ultima un piccolo vano e un pozzo circolare nel quale veniva riposta l’argilla, che doveva essere tenuta umida. Le camere di combustione presentano un doppio vano per la cottura di manufatti attraverso irraggiamento di calore, con temperature che superavano i 900°C, senza esporre i vasi alla fiamma diretta. Trovato anche tantissimo carbone, ora oggetto di studio, per appurare il tipo di legname utilizzato per la combustione. Gli archeologi pensano si trattasse di legno di castagno facilmente reperibile in zona.

Nelle tre fornaci - in cui l’inizio dell’attività si presume iniziata dopo il “Bellum perusinum” (40 aC) - gli artigiani del tempo creavano anfore vinarie a fondo piatto. “Erano utilizzate - ha spiegato la dottoressa Ceccarelli - per il trasporto a Roma, con carri o con zattere sul Tevere, allora navigabile, del vino umbro”. Il porto d’imbarco si sarebbe trovato a Ponte San Giovanni.

La commercializzazione del vino proveniente dalla Regio VI, cioè dall’Umbria, è attestata dalle fonti antiche. Su tutti da Plinio che che indica anche il nome del vitigno: “hirtiola”.

In seguito al crollo, nel III secolo d.C., delle esportazioni di vino a Roma, la produzione, almeno fino al IV secolo d.C., venne indirizzata al consumo locale. “Al posto delle anfore si privilegiò, infatti - ha spiegato l’archeologa - la realizzazione di ceramiche per uso quotidiano, oltre a tegole e coppi per la copertura dei tetti”.

Domani, sabato, sarà possibile accedere agli scavi con due visite guidate, alle ore 11.15 e alle 17.15, che comprenderanno anche l’abbazia e che termineranno con la degustazione di prodotti locali.

Obbligatoria la prenotazione. Info: 3519051931, email: events@romankiln.com

 

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