Che il lungo e importante dopoguerra italiano fosse finito lo si sapeva da tempo, che con le ultime elezioni si sia inaugurato un nuovo ciclo politico l'avevamo dovuto imparare. Per la prima volta il governo del paese è stato conquistato dalla destra che ha mostrato subito di volerlo proprio gestire interamente come tale, senza alcuna intenzione di mediazione o di compromesso mentre, sempre per la prima volta, il paese si trovava ad essere senza la sinistra politica. Ma mentre non ci si potesse aspettare alcunché dalle forze collocate all'opposizione del governo della destra, qualcosa, seppure sotto traccia e ancora da analizzare compiutamente, qualcosa, stava accadendo in alcune arie significative della società civile. Il complesso fenomeno, riscontrabile sul terreno delle culture diffuse e delle nuove culture giovanili e popolari, ha avuto modo di investire persino un accadimento come le primarie per l’elezione del segretario di un partito, il Pd.

Queste sono così diventate l’occasione per vedere quanto il fenomeno possa manifestarsi nei suoi molteplici aspetti e influenzare i campi più diversi, così da investire, di riffe o di raffa, la stessa politica. Il voto con il quale si è scelto il nuovo segretario del Pd ne è stato un'ulteriore rivelazione. Il congresso del partito era stato, in tutto il suo corso, ed era rimasto, del tutto insignificante; non aveva rivelato alcunché di politicamente apprezzabile; aveva confermato tutta la sua irrilevanza nei processi sociali, politici e culturali del paese e la sua ininfluenza nella società. Il voto per la scelta del segretario all’interno del partito stesso, tra i suoi iscritti, conferma tutte le previsioni che si erano venute accumulando nella società politica e tutto continua a tacere politicamente. Ma il voto delle primarie, cambiando i protagonisti, cambia sorprendentemente, l'intera scena. La novità che emerge è evidente e investe entrambi i lati della questione chiamati in causa. Vince, contro le previsioni, la candidata meno legata alla storia recente del partito e alla composizione del suo gruppo dirigente e le primarie danno luogo a una partecipazione di massa sorprendente. Non mi convincono affatto le tesi che tendono a sottovalutarne la portata.

Di fronte al clamoroso, seppur già dimenticato, crollo della partecipazione al voto alle ultime elezioni regionali (a Roma ha votato solo un terzo degli elettori!), la partecipazione di più di un milione di votanti alle primarie è un fatto politico. Qualcosa si è mosso nel campo che sembrava impedito a ciò e l'intero campo ne ha risentito. Il partito del centrosinistra, costruito sulla fusione dei due gruppi diligenti, quello del Pds e quello dei Popolari, è stato messo, almeno dall'evento, su un binario morto e un’attesa di altro si è generata. E’, più in generale, come se, pur senza processi e soggetti politici forti, si venissero costituendo, pezzo a pezzo, le tessere di un nuovo mosaico politico in gestazione, seppure dall'esito incerto e ancora lontano da essere manifesto. Un punto certo solo per ora, purtroppo, c'è e porta il segno della grande sconfitta delle sinistre e dell'ascesa al governo della destra-destra. Tuttavia questo fatto nuovo, intervenuto nel campo dell'opposizione, va indagato con attenzione anche da chi, come chi scrive, pensa che ben diverso dovrebbe essere il campo di ricerca e dell'agire politico per la rinascita di una sinistra antagonista, di alternativa di società. Il punto di osservazione, allora, della novità intervenuta, costituito dalla somma della partecipazione al voto delle primarie con la vittoria di una candidata come la Schlein, dovrebbe essere particolare. Essa dovrebbe investire più che la risposta al processo ancora aperto, la domanda, meglio le domande, che hanno portato al risultato di oggi.

Quindi, più che provare a rispondere alla domanda chi e cosa è la Schlein, bisogna capire che cosa l'ha portata al successo. Questa seconda domanda è la più importante perché si interroga sulla società italiana contemporanea e sulle soggettività che, in essa, stanno emergendo. C'è, di certo, stata anche una domanda politica specifica che ha riguardato direttamente il Pd che ha consentito loro di fare il proprio ingresso nella competizione. È stata una domanda diffusa di un cambiamento di rotta rispetto a tutta la storia recente del partito e di un cambio del suo personale politico dirigente. Ma questa - e proprio qui sta la novità - ha aperto le porte della consultazione alle nuove istanze emergenti nella società civile. In Italia, come in tutto l'occidente e non solo, esse serpeggiano diffuse nelle più diverse realtà sociali, raccolte e propagate nelle comunicazioni di massa, nelle arti, nello spettacolo. Sono le nuove culture dei diritti della persona, delle diversità, delle differenze, della libera espressione di sé contro ogni forma di oppressione e di negazione. A volte esse sono già diventate movimenti dirompenti, come Me Too, come black lives matter, a volte si mescolano con altri moti di lotte e movimenti, come a Parigi negli scioperi sulle pensioni, a volte strisciano nei sottosuoli ignoti alla politica.

Se non si temesse di essere fraintesi, si potrebbe sostenere la tesi che l'elezione di Schlein stia sulla stessa lunghezza d'onda di ciò che ha animato il festival di Sanremo, fuori e contro il perbenismo che un tempo avremmo chiamato piccolo borghese; di ciò che fa di “Mare fuori” non solo una giustamente fortunata serie televisiva ma l’espressione di una voglia di riscatto larga, trasversale, giovanile ma non soltanto; sulla stessa lunghezza d'onda di ciò che diventa un moto di solidarietà con l'insegnante di Firenze che "si è ricordata di Duccio Galimberti" di fronte a un'aggressione neofascista. Domande, domande a cui la sinistra politica non sa rispondere, come non sa più rispondere a quelle di classe, ma che spingono a cercare un’uscita dal recinto che le imprigiona.

A quelle, Schlein ha rivolto la sua attenzione. Il suo campo dichiarato è quello riformista, se si vuole, di un nuovo riformismo. Non le si può, dunque, chiedere di farsi promotrice di un'alternativa di società di una politica fondata sulla critica al capitalismo totalitario, compito che toccherebbe a altri, ma una certa radicalità le è richiesta della realtà. Sul suo cammino troverà presto due banchi di prova. Il primo è la guerra. Non si può volere la pace e alimentare la corsa alle armi. Non si può volere la pace, invocarne un protagonista, pretendere che la parola passi alla trattativa ed essere sudditi degli Usa nella NATO, così negando all'Europa il ruolo di potenza di pace. La scelta della pace è dirimente, come quella nel conflitto sociale.

È bene essere per il reddito di cittadinanza, per il salario minimo garantito, per una legge sulla rappresentanza sindacale. Ma è ancora sul conflitto tra salario e profitto che si gioca una parte cruciale del conflitto redistributivo e non solo di quello. Il campo virtuoso dei diritti senza questa connessione non entra nella grande contesa. Le domande che hanno portato alle novità si vedono già, la risposta della politica ancora no. Vedremo.

Fonte: Il Riformista

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