di Maria Pellegrini.

È tempo di feste natalizie, tutti si affannano alla ricerca di un regalo per parenti e amici. Scambiarsi doni era una consuetudine della società romana durante i “Saturnalia”, feste celebrate ogni anno dal 17 al 23 dicembre, in onore di Saturno, antico dio romano della semina. I Saturnali erano la festa più popolare e più cara alle genti di ogni condizione sociale diffusa in tutto il mondo romano, e in ogni provincia dell’Impero. Si festeggiava con banchetti abbondanti, scambio di doni, si concedeva agli schiavi la più ampia libertà, quasi a rappresentare eguaglianza fra tutti gli uomini. I Romani in questi giorni si abbandonavano alla più sfrenata allegria. Si sospendevano le operazioni militari, il lavoro, l’amministrazione della giustizia, la scuola. Era anche abitudine sorteggiare il “re della festa” a cui spettava il compito di dirigere il buon andamento di quanto accadesse in quei giorni. Per il carattere giocoso ricordano assai da vicino il nostro carnevale, mentre per l’epoca dell’anno - il solstizio d’inverno - possono essere assimilate alle nostre feste di Natale e Capodanno. La durata dei festeggiamenti era di due giorni al tempo di Cesare, quattro quando regnava Caligola, cinque o sette con Domiziano. Il poeta Marziale aveva dedicato due libri della sua ricca raccolta di epigrammi satirici a brevissime composizioni di due soli versi (un esametro e un pentametro) che costituivano il testo di biglietti che avrebbero accompagnato i doni. Gli furono commissionati dapprima da Vespasiano, ma poi continuò per suo conto arricchendone il numero. Talvolta l’oggetto che si dona è presentato nelle sue caratteristiche principali in modo ironico, altre volte sembra che sia l’oggetto stesso a parlare a chi deve riceverlo. Anche in occasione di banchetti alla fine di un convito di ricchi proprietari, c’era l’uso di distribuire doni estratti a sorte per le persone invitate, come leggiamo in Petronio durante la famosa cena offerta da Trimalchione.

Marziale ha raccolto questi suoi versi, di minor valore poetico rispetto agli altri suoi epigrammi, in due libri, uno con il titolo Xenia (dal nome greco con cui si indicavano i doni che i cittadini romani si scambiavano durante i Saturnali) e Apophoreta (dal nome greco che indicava i doni estratti a sorte destinati alle persone invitate a un banchetto).

L’epigramma, di origine antichissima, era considerato un genere minore usato soprattutto come iscrizione tombale o dedica di templi o altri monumenti. Con Marziale si ha l’affermazione del componimento come strumento letterario di alto livello artistico che pur conservando la sua brevità si occupa di nuovi temi quali la parodia, la satira, l’erotismo.

Nell’età dei Flavi, Marziale dalla nativa Spagna era giunto a Roma dove restò lunghi anni cercando inutilmente fortuna, adulando i potenti per trovare un protettore disposto ad allentare i cordoni della borsa, beffando chiunque gli fosse ostile, ma senza astio o condanne da moralista.

«Era un uomo pieno d’ingegno, acuto, pungente. Quando scriveva era di un’arguzia e di una malizia non minore della sua sincerità», così lo ricorda Plinio il Giovane in una epistola. I suoi epigrammi sono spesso delle vere e proprie “esecuzioni”, eseguite attraverso un’aggressione verbale caustica e mordace. Dopo la morte di Domiziano, nel 96, Marziale tentò di rendersi gradito ai nuovi principi, Nerva prima, Traiano poi: i suoi sforzi risultarono vani, forse perché i suoi epigrammi, nei quali spesso non manca un linguaggio osceno e volgare, mal si conciliavano con la politica dei nuovi Principi ispirata alla moralizzazione dei costumi. Marziale tornò quindi al suo paese natale in Spagna, Bilbili, dove una ricca vedova gli fece dono di una casa e di un podere.

Dall’ampia e caleidoscopica epigrammatica di Marziale vogliamo ora, in atmosfera natalizia, quando lo scambio di doni è diventato quasi una preoccupazione ossessiva, ricordare alcuni versi tratti da entrambe le raccolte. I doni scelti e destinati ad amici e parenti in occasione dei Saturnali illustrano gli oggetti con grande vivacità e abilità metrica e poetica. Il poeta ci offre così uno sguardo diretto sul mondo degli oggetti più comuni, sugli usi alimentari, su luoghi e atmosfere che difficilmente hanno ispirato i grandi poeti.

Per i doni sorteggiati tra gli ospiti di un banchetto, il poeta prevede che si possano verificare situazioni imbarazzanti e divertenti: un dentifricio poteva arrivare a chi aveva i denti finti, un pettine a un calvo, ma ci sono anche cagnolini, cavallini, levrieri, statuette, biancheria, stoviglie, e non mancano i libri di poeti e storici su fogli di pergamena: Omero, Menandro, Catullo, Sallustio, Cicerone, Virgilio, Tito Livio, Ovidio, Tibullo, Lucano.

Dagli XENIA

LA BIRRA

Un ricco potrà mandarti il vino mielato, noi solo la birra.

Se nessun ricco te lo vorrà mandare, te lo comprerai.

(Xenia, VI)

LA FARINA

I pregi e gli usi della farina non si possono contare.

Tante sono le volte che serve al cuoco e al panettiere.

(Xenia, X)

LE RAPE

Queste rape che ti diamo maturate nell’invernale gelo,

sono quelle che Romolo si mangia lassù in cielo.

(Xenia, XVI)

(Secondo la tradizione, il re Romolo viveva in modo molto frugale, mangiando un cibo povero come le rape.)

I PORRI

Tutte le volte che mangi la polpa troppo odorosa

dei porri tarantini, cerca di baciare a bocca chiusa

(Xenia, XVII)

GLI ASPARAGI

Le tenere punte d’asparagi che crescono nelle paludi di Ravenna

non saranno più saporite degli asparagi selvatici.

(Xenia, XXI)

LE CIPOLLE

Quando la moglie è vecchia e il membro non ti si può alzare,

le cipolle afrodisiache ti possono solo saziare.

(Xenia, XXXIV)

I POLLI RUSPANTI

Se avessimo i fagiani e le faraone, te le regaleremmo:

per il momento, ti regaliamo questi uccelli da cortile.

(Xenia XLV)

I RICCI DI MARE

Anche se punge le dita con la sua corazza appuntita,

una volta tolto il guscio sarà un morbido riccio.

(Xenia LXXXVI)

dagli APOPHORETA

Il PETTINE

A cosa ti servirà questo legno di bosso dai tanti denti

se qui non troverà nemmeno un capello?

(Apophoreta, XXV)

UNA LAMPADA PER LA STANZA DA LETTO

Io, la complice lampada del tuo letto d’amore,

non parlerò: fa’ pure tutto quello che vuoi.

(Apophoreta, XXXIX)

UN DENTITRIFICIO

Che cosa c’entro con te? Voglio essere usato da una ragazza:

di solito io non lavo i denti finti.

UNA GABBIA D’AVORIO

Se tu avessi un passero simile a quello pianto

dalla Lesbia amata da Catullo, potrebbe abitare qui.

(Apophoreta, LXXVIII)

LE FRUSTE

Scherzate pure servi lascivi, ma non scherzate a lungo:

questi frustini saranno chiusi cinque giorni soltanto.

(Apophoreta, LXXIX)

(Il poeta allude ai cinque giorni della durata dei Saturnali, durante i quali gli schiavi potevano fare qualunque cosa in piena libertà).

UNA MANINA D’AVORIO PER GRATTARE LA SCHIENA

Questa manina difenderà le spalle dal morso fastidioso

di una pulce, o di tutto ciò che di una pulce è più schifoso.

(Apophoreta, LXXXIII)

UN MANTELLO DI PELLE

Anche se cominci il viaggio sotto il cielo sereno, guarda

che non ti manchi mai il mantello per le piogge improvvise.

(Apophoreta, CXXX)

LE COPERTE DI LANA SPESSA

Sul lenzuolo di porpora splendono coperte pesanti.

A cosa ti servono se tua moglie vecchia ti congela?

(Apophoreta, CXLVII)

UNA CINTURA SPESSA

Il ricco ti regali una tunica: io posso darti una cintura.

Se fossi ricco, ti farei entrambi i regali.

(Apophoreta, CLIII)

UN PLETTRO

Usa i bianchi plettri per suonare la docile lira, se non vuoi

che sul dito consunto nasca una bruciante vescica.

(Apophoreta, CLXVII)

UN OMERO SCRITTO SU FOGLI DIPERGAMENA

L’Iliade e la storia di Ulisse ostile al regno di Priamo

stanno nascoste in molti fogli di pergamena.

CICERONE IN PERGAMENA

Se questa pergamena te la porti in viaggio,

farai molta strada insieme a Cicerone.

(Apophoreta, CLXXXVIII)

Questi brevi ma vivaci componimenti, attraverso gli oggetti offerti in dono con grande realismo ci parlano - più di tante lunghe narrazioni - della vita, dei costumi, del cibo sia di quello pregiato come le ostriche, sia delle più comuni cipolle che si ritenevano afrodisiache, dei vini e di molteplici aspetti della realtà romana dell’epoca.

Nota: nell’immagine gli Epigrammi di Marziale, edizione del 1490, conservati ad Aragona nell’Archivio del Governo.

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