di Maria Pellegrini.

La giovane attivista svedese, Greta Tunberg sta scuotendo la sensibilità ambientale dei giovani di tutto il mondo per salvare il pianeta. Sono sotto gli occhi di tutti il dissesto dei territori, l’inquinamento dell’aria e delle acque, l’innalzamento della temperatura, l’estinzione di specie animali e tutti i numerosi danni procurati dall’uomo in nome del profitto e dell’utilitarismo. Già nella letteratura romana antica echeggia il lamento di autori che condannano la manomissione degli ambienti naturali.

«La terra è benevola, mite, gentile, e sempre servizievole al bisogno dei mortali. Cosa non produce, se costretta, e cosa non offre spontaneamente! Quali odori e sapori, quali succhi, quali piaceri al tatto, e colori alla vista! Con che onestà restituisce il capitale depositato in lei!» Questo vero e proprio inno alla terra e alla natura, è scritto da Plinio, nato a Como nel 23 o 24 d. C. e chiamato in seguito il Vecchio per distinguerlo dal nipote Plinio il Giovane. Con rammarico egli constata l’ingratitudine dell’uomo che osa macchiarsi di atti di violenza inaudita contro una madre natura tanto generosa: l’uomo penetra nelle viscere della terra, scava vene d’oro e d’argento, miniere di rame e di piombo; cerca anche le gemme, lacera le sue viscere «perché la mano che l’assale porti una gemma al dito». L’uomo deve volgere il suo sguardo alla terra «la sola parte della natura che, per i suoi meriti egregi, noi chiamiamo con l’appellativo reverente di madre. Essa ci accoglie al momento della nascita, e, venuti al mondo, ci nutre, e una volta partoriti ci sorregge sempre; finché alla fine, ci abbraccia nel suo grembo».

Plinio il Vecchio aveva rifiutato ogni incarico sotto gli imperatori Claudio e Nerone, perché erano tempi non sicuri per scrivere con libertà di opinione, aveva perciò preferito dedicarsi agli studi, ma vide riaprirsi la strada della carriera politica con l’ascesa al potere di Vespasiano e il mutamento di clima politico. Accettò dunque di essere più volte procuratore in varie province dell’Impero, incarico che gli permise ampi sopralluoghi di carattere naturalistico, etnografico, geografico, in terre straniere. Il suo interesse fu sempre rivolto all’osservazione e alla descrizione dei più minuti e svariati aspetti del mondo vegetale, minerale, umano.

La sua fedeltà alla dinastia Flavia era dovuta, a condivisione ideale dei suoi valori. Fu poi nominato capo della flotta ancorata a capo Miseno, e qui trovò la morte durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d. C. mentre si recava a portare soccorso alle popolazioni colpite da quel tragico evento naturale.

Dovunque lo hanno portato i diversi incarichi della sua carriera, Plinio osserva con un genuino interesse l’infinita varietà dei fenomeni della natura, la fauna, la flora, gli usi e i costumi degli uomini. Annota le osservazioni dal vivo, e gli appunti delle sue quotidiane letture che poi costituiranno il materiale per la composizione della “Naturalis Historia”, sintesi enciclopedica dell’universo naturale, ma scritta in funzione dell’uomo.

Al mondo vegetale Plinio dedica un’attenzione particolare: sorprendente è il suo spirito di osservazione rivolto alle più comuni piante spontanee. Nelle sue pagine troviamo tracce di esperienze vissute, echi di cose viste e non soltanto lette: i luoghi dell’infanzia nella campagna lombarda, i paesaggi lacustri, i canneti, i salici presso le acque del lago Lario, la fertile e lussureggiante terra nei dintorni di Pompei dove egli soggiornò negli ultimi anni della sua vita, ma anche le fitte foreste di alberi di alto fusto che «aggiungono ombra al cielo» nei territori germanici dove si era recato come ufficiale di cavalleria, i desolati paesaggi che si affacciano sul mare del Nord le cui terre flagellate continuamente dalle onde dell’oceano sono prive di alberi e di ogni vegetazione. Con semplicità e simpatia è svolta la trattazione delle più umili piante degli orti: la lattuga, il cavolo, il basilico, la rughetta, la ruta, la menta, la malva, l’origano, accompagnate sempre da brevi note sui rimedi contro le malattie o gli insetti che le infestano.

Di fronte ai continui atti distruttivi dell’uomo contro la terra, lo sdegno di Plinio giunge a giustificare le reazioni della terra stessa che, violata, reagisce con terremoti e altri terribili eventi naturali: parole e considerazioni di notevole attualità che sembrano prevedere i danni che comportamenti aggressivi e superficiali hanno procurato all’ambiente, distruggendone il patrimonio boschivo, coprendo di cemento estensioni di fecondo terreno, traforando monti e, assecondando la propria smania di velocità, abbreviando le distanze con sopraelevazioni che hanno deturpato per sempre vallate e campagne.

 

Un’altra convinzione di Plinio è che nella natura stessa possiamo trovare gli strumenti per migliorare la nostra vita e alleviare il dolore causato dalle malattie: “natura ipsa docet” (“la natura stessa insegna”). E, quasi compiacendosi d’un paradosso, egli sembra dire che la decadenza e la corruzione sono in agguato proprio nei periodi di pace e di benessere, per mancanza di quella tensione spirituale che si alimenta invece quando la nostra libertà, le nostre certezze o il nostro benessere corrono qualche pericolo. Il desiderio di ricchezza e il lusso hanno deteriorato i costumi e spinto i miseri uomini a compiere atti di violenza contro la maestà della natura: si sono traforati e sconciati i monti, si è sventrata la terra in cerca di metalli preziosi, si sono violate le profondità marine in cerca di conchiglie portatrici di perle nel chiuso del loro guscio, si sono catturati animali selvaggi per chiuderli nei serragli e farne spettacolo per il volgo, o mostrarle come bottino di guerra, o impiegarle in feroci combattimenti per il divertimento di folle imbestialite a loro volta da tali spettacoli disumani

Lo slancio sincero di Plinio, rivolto a “iuvare mortalem”, (“a giovare all’uomo”) si concretizza nell’indicazione di alcune regole per combattere la scarsa moralità e il desiderio di profitto: usufruire di ciò che la natura mette a disposizione spontaneamente sulla superficie della terra («tutto ciò che è in superficie è destinato all’uomo»), rispettare le montagne («la natura ha fatto le montagne per sé»), non cercare nulla al di fuori dei confini dell’Impero. Deplorevole è infatti, a suo giudizio, la moda dell’esotico, cioè dei prodotti o manufatti provenienti dall’Arabia e dall’India, in special modo i profumi e i medicamenti. Parafrasando Orazio, Plinio esclama: “Vincendo victi sumus” (“vincendo gli altri popoli, ne siamo stati vinti”). In giorni come i nostri, nei quali si fa un gran parlare di cibi transgenici, giova forse ricordare il sarcasmo di questo autore che non finisce mai di stupirci con le sue “anticipazioni”, contro i prodotti creati artificialmente, come ad esempio gli asparagi: la natura aveva creato gli asparagi di bosco, in modo che chiunque potesse raccoglierli dove spuntavano, ma «ecco che compaiono gli asparagi coltivati, e Ravenna ne produce di tali che raggiungono il peso di una libbra. Che prodigi operano i buongustai». Parlando poi della differenza di sapore tra i frutti o gli ortaggi selvatici e quelli coltivati, egli nota che i primi hanno sempre un sapore più intenso e gradevole.

Nulla è rimasto di altre sue opere, ma la Naturalis Historia, dedicata a Tito, figlio di Vespasiano e pubblicata nel 77 d. C., gli ha riservato nei secoli grande fama. L’importanza di questa poderosa opera enciclopedica, preziosa per quasi tutte le discipline scientifiche, è incalcolabile. Le notizie in essa riportate sono trentaquattromila (frutto della consultazione di duemila volumi di cinquecento autori), e spaziano dalla geografia alla cosmologia, dall’antropologia alla etnografia, dalla zoologia alla biologia e alla medicina, dalla metallurgia alla mineralogia, con ampi excursus anche di storia dell’arte.

La sua opera non mira a trionfi letterari, ma è “utile”, giacché si occupa di tutto ciò che esiste in natura e che rende possibile la vita dell’uomo sulla terra. La vera maestra di vita, sembra suggerire Plinio ai suoi lettori, non è la storia, come pretenderebbe la famosa e mendace sentenza “historia magistra vitae”, ma la conoscenza della natura. La storia è intessuta di conflitti, stermini, invasioni, saccheggi; la natura è ricca di doni, tutto quello che fa è compiuto e inimitabile: l’uomo deve soltanto prenderne atto.

 

Nell’opera si sente l’anima contadina di Plinio, il quale, anche mentre i suoi incarichi di funzionario del Palazzo lo tengono chiuso nella sede degli archivi imperiali, non perde la mentalità e la sensibilità di chi ama la terra e le tradizioni agricole, come era stato per Virgilio. In tal modo mentre egli enumera le specie vegetali, abbandona spesso l’arida veste del compilatore o dell’agronomo, per ascoltare l’anima della terra, il suo respiro quando viene liberata dalle erbacce, la sua felicità quando è vangata o arata per accogliere nuove sementi, e vede con stupore sempre nuovo il ripetersi miracoloso dei cicli produttivi, i colori dei suoi prodotti, lo spuntare di nuove gemme sui rami degli alberi dopo la potatura. Così egli sente gli alberi come creature viventi, che soffrono quando sono attaccate da parassiti, flagellate dalla grandine, o abbattute dal fulmine, ma ancor più quando è l’incuria degli uomini a procurare loro danni irreparabili.

Naturalmente non manca neppure una serie di consigli alimentari che anticipano i più moderni principi dietetici: ad esempio, poiché in una società opulenta i corpi sono appesantiti, Plinio propone fra i molti rimedi l’uso di vegetali e di carni bianche.

Alle proprietà medicamentose delle piante, delle erbe e degli ortaggi, è riservata una apposita trattazione. Singolare, ma completamente attendibile, è quanto Plinio dice dell’umile ma salutare lattuga e delle sue proprietà medicamentose: ha effetti rinfrescanti, elimina il senso di fastidio allo stomaco, stimola l’appetito, concilia il sonno. A riprova delle prodigiose qualità di questo ortaggio, è riportato il fatto abbastanza noto che Augusto, il primo imperatore romano, grazie ai consigli di Musa, suo medico personale, riuscì a guarire dai suoi disturbi gastrici, proprio con l’uso della lattuga.

Indubbiamente la sua è una concezione conservatrice della società e del mondo, ma d’una conservazione tutt’altro che negativa e, in sostanza, rispettosa dei pochi valori positivi che un accelerato e presunto progresso rischiava colpevolmente di vanificare, come tuttora accade.

Nota, nell’immagine Statua di Plinio il Vecchio sulla facciata del Duomo di Como

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