di Vincenzo Vita.

È bene chiarire che i ventilati confronti televisivi elettorali a due, o a tre, o a quattro sarebbero violazioni di legge. Lo ha ricordato con parole precise anche il sindacato dei giornalisti del servizio pubblico.

Questa mattina (n.d.r. il 24/8/2022) si riunisce l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni proprio sul tema ed è augurabile che interpreti adeguatamente le prerogative che la legge istitutiva (l.249/1997) le ha conferito per gli aspetti generali e la normativa sulla par condicio (l.28/2000) le ha assegnato in modo cogente. Tra l’altro, l’Agcom stessa ha varato lo scorso 3 agosto l’apposito regolamento, cugino di quello deciso dalla commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai.

Dunque, essendo scattato dalla mezzanotte di lunedì 22 agosto il periodo massimamente tutelato dalla disciplina (fino alle ore 24 del secondo giorno precedente la data della consultazione, recita il testo), non ci possono essere interpretazioni volte ad aggirare i punti inerenti agli spazi dedicati alla comunicazione politica e all’informazione. Nei contenitori appositamente predisposti (tribune, eventuali interviste) i tempi sono calcolati con precisione cronometrica. Nei radio-telegiornali e nelle rubriche ad essi collegate, ancorché senza il ricorso all’orologio, collocazioni e tempi devono essere eguali per tutti i protagonisti. Nessun privilegio è ammesso e, ovviamente, nessuna esclusione è consentita.

Appare, quindi, persino abnorme che si sia immaginato di programmare un duello tra Enrico Letta e Giorgia Meloni nel salotto di Bruno Vespa.

Il rimedio? Non è difficile disegnare qualche ipotesi rispettosa del pluralismo: dall’aumento del numero delle puntate del programma, al confronto tra la totalità dei soggetti come si fa su qualche rete privata o secondo il consolidato metodo utilizzato per le primarie nelle elezioni degli Stati Uniti. Parliamo delle campagne elettorali, ovviamente, che costituiscono una lunga apnea distinta dai palinsesti ordinari.

Del resto, in una competizione estiva dove si amplia il peso della televisione generalista nel formare il clima di opinione, la par condicio è un (almeno parziale) antidoto rispetto alle concentrazioni proprietarie e alla sudditanza dei media verso i maggiori partiti e i governi.

Non ci sono figlie e figli di un dio minore. L’eguaglianza delle opportunità di partenza è un principio fondamentale, necessario per preservare la dialettica democratica. Quest’ultima, già indebolita dalla crisi della rappresentanza e dal progressivo venir meno della bilancia dei poteri, riceverebbe un colpo davvero ferale se prevalesse la logica del più forte. E la scelta, peraltro, non va riferita ai sondaggi.

Il discorso vale per la Rai, ma tocca analogamente le emittenti private. Il bene sul quale l’insieme degli operatori svolge la sua attività è pubblico, al di là della natura societaria di coloro che trasmettono.

Sarebbe opportuno che i confronti fossero raggruppati per argomenti e non unicamente bper sigle, onde evitare il senso di vaghezza che traspare dai dibattiti. Il problema del crescente astensionismo risiede pure nella ripetitività sloganistica e strumentale di messaggi improvvisati o di mera propaganda.

Insomma, la salvaguardia della par condicio è l’occasione per riabilitare il racconto mediatico della politica, ricostruendo modelli (le famose Tribune) che in passato hanno garantito successo e ascolti.

Vi è, poi, il tema dei social, su cui qualcosa sta scritto nell’art.28 della delibera n.299/22/CONS (Titolo VI: «Piattaforme per la condivisione di video e social network»), ma senza entrare nel merito con indirizzi precisi: sul silenzio elettorale o sui sondaggi o sulla trasparenza delle pagine telematiche. Ecco. Non è il caso di introdurre un art.28 bis, volto ad esplicitare ciò che nel testo è solo sotteso? Sono sogni di una notte di mezza estate?

PS. Perché l’Agcom non è intervenuta per bloccare la diffusione del video condiviso da Giorgia Meloni sulla violenza di Piacenza? Bene ha fatto il Garante dei dati personali a muoversi, però il Testo Unico del 2021 chiama in causa al comma 13 dell’art.7 proprio l’Autorità.

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