Una democrazia a libertà limitata
di Mario Tiberi
ORVIETO - E’ sempre fonte di arricchimento interiore il conversare libero e schietto con le persone semplici ed umili quando, abbattendo le staccionate del pregiudizio, ci si accorge che sono proprio quest’ultime quelle meglio dotate di buon senso e di saggia virtù.
Così mi è accaduto durante una prolungata pausa dei lavori dell’ultimo Consiglio Comunale, nel momento in cui ho percepito l’insofferenza del pubblico presente a fronte delle lungaggini inconcludenti di cui stavano offrendo miserevole spettacolo parte di coloro, nelle mani dei quali, è riposta la gestione degli affari pubblici cittadini.
Tra gli astanti, vi è stato chi ha ammesso candidamente che la responsabilità dello insufficiente livello rappresentativo è da imputarsi precipuamente al corpo elettorale il quale, o non possiede affatto la benché minima cognizione di come scegliere i suoi rappresentanti elettivi, oppure opta per delle soluzioni subordinate a vincoli di dipendenza partitica o personalistica. Nell’uno e nell’altro caso, comunque, di scelta preferenziale totalmente libera e volontaria certo non si tratta, quanto piuttosto di orientamenti dettati e improntati allo scambismo di vicendevoli interessi.
E la democrazia, quella etimistica e originaria, entra così in inevitabile crisi di sofferente astinenza e il subornarla equivale a ridurne consistentemente gli spazi di applicazione ad essa più congeniali.
Ricorderete che, ai tempi dell’impero sovietico, si era soliti definire le nazioni-satellite come “Stati a sovranità limitata” e, di ciò, ne sono ricolmi i libri di storia; oggi, pur cadute le barriere della tirannide, si ripresenta pressante e puntuale la questione se anche nelle democrazie occidentali, come la italiana, si possa a ragion veduta intravedere una linea valicabile, quando più quando meno e dai confini però incerti e fumosi, tra l’esercizio pieno o limitato della libertà, sia nella sfera individuale che in quella societaria.
E’, macroscopico esempio, limitante la libertà di scelta il vigente sistema elettivo del Parlamento nazionale che, impedendo il voto di preferenza popolare, blinda di fatto gli eleggibili alle imposizioni o, ancor peggio, ai capricci di quattro o cinque “Caligola” monocratici. Perlomeno, e non ci sia di consolazione, l’imperatore Caligola elevò alla dignità senatoriale il suo cavallo di razza preferito; i “Caligola di oggi”, incuranti del giudizio della storia e di quello del popolo sovrano, vanno spesso e volentieri ben oltre, fino a garantire uno scranno da parlamentare a degli emeriti, cresciuti e pasciuti, “asini selvatici”.
La tanto temuta “onagrocrazia”, virilmente osteggiata e denunciata con tutta la sua energia intellettuale da Benedetto Croce, pare bussare sempre più insistentemente alle porte della nostra ormai resa fragile democrazia.
Altro aspetto, non meno inquietante, va ricercato nella professione solo parolaia di voler abbattere gli spaventosi “costi della politica” tra cui, non ultimo per ordine di spesa, è da annoverare il risparmio ottenibile attraverso il dimezzamento del numero di Deputati e Senatori, portandoli da novecentocinquanta a quattrocentosettantacinque. La volontà reale dei “padroni del vapore” è però ben altra, ovverosia non modificare nulla fintantoché sarà possibile non intaccare lo “statu quo”.
Un rimedio, al contrario, vi sarebbe e va individuato in quella che potremmo denominare come la strategia per una rinvigorenda democrazia rinascente dal basso. Le masse popolari, critiche o acritiche che siano, dovrebbero cioè insorgere e pretendere che, alle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento nazionale, ogni partito e ogni raggruppamento politico presentino delle liste elettorali con un massimo di candidati di non oltre la metà degli eleggibili.
Si otterrebbe così, senza colpo ferire, un consesso legislativo di numero pari alle sbandierate intenzioni (quattrocentosettantacinque tra Deputati e Senatori) con, inoltre, la prova provata della buona fede di chi si batte lealmente perché di lui si possa dire che, su ciò, “si è parata la sua nobilitate”.
Qualcuno, vi è sempre qualcuno che si atteggia a bastian contrario, sicuramente obietterà che tale procedura è in palese contrasto con il dettato Costituzionale. A quel qualcuno di turno si potrà replicare che, solo apparentemente, ci si è avventurati in un percorso anticostituzionale in quanto è la sovranità popolare la fonte primaria della Costituzione Repubblicana e, quindi, tutto ciò che proviene dalla sovranità popolare non può che essere conforme, in fatto e in diritto, alla Costituzione stessa.
Amici tutti, ne sono consapevole: Vi sto invitando a costruire insieme una vera e propria insorgenza civile, finalizzata ad una salutare e salvifica risorgenza, e che abbia in sé il sapore e i contenuti di un rinascimento risorgimentale della democrazia italiana.
Mi solleverà da ogni venia il concittadino Fabrizio Trequattrini, se concludo con una affermazione a Lui ben nota: nell’epoca della menzogna o, meglio, dell’inganno universale, dire o provare a dire la verità è un atto già di per sé rivoluzionario.
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