Democrazia e violenza di Paolo Brutti
Democrazia e violenza
La democrazia liberale nata nell’Ottocento è diventata nel tempo più di un metodo di governo. Ha assunto progressivamente un significato e un valore universale fino a diventare una pietra di paragone per misurare il contenuto di libertà civile e politica dell’ordinamento politico di uno Stato. Si è completamente liberata dei contenuti anti monarchici che la contraddistinguevano e del suo collegamento con le tendenze repubblicane. Oggi convive senza difficoltà con le monarchie, con antichi sistemi castali e persino con l’apartheid.
Da dove trae questo valore quasi etico? Lo trae dalla garanzia dell’alternanza che dice di assicurare.
Per capire se e dove si nasconda l’inganno bisogna risalire a quando nacque il termine democrazia, nella Grecia del VI secolo a.C. La parola greca significa “potere del popolo”, dove il popolo era una minoranza della popolazione ed escludeva le donne, gli stranieri e gli schiavi. La democrazia assunse una forma stabile al termine di un lungo conflitto sociale che ridusse il potere dei proprietari della terra e vide emergere classi sociali intermedie, con limitate prerogative di censo. Ciò ridusse il lavoro dei cittadini nelle terre degli aristocratici e sviluppò un sistema economico su base schiavistica. Dopo questo assestamento la democrazia come forma di Stato si presentò al modo in cui la descrive Pericle nel discorso sulla democrazia ateniese, quello del “In Atene facciamo così”.
Canfora, analizzando lo scritto anonimo della Costituzione degli Ateniesi, rileva che la democrazia fu un sistema introdotto per impedire il ritorno degli aristocratici al vertice dello Stato piuttosto che un modo ottimale di governare la polis. La critica degli aristocratici verteva sulla impreparazione degli ateniesi al governo. La conoscenza non può essere insegnata, è una virtù degli aristocratici, che per questo si chiamano così. E aristocratici si nasce, non si diventa. È vero che i sofisti avevano provato a dimostrare che la conoscenza non è un portato degli avi ma può essere insegnata. I paradossi erano la prova che la conoscenza antica trovava contraddizioni inestricabili e quindi non era vera conoscenza. Anche Socrate la pensava così ma non era un sofista. Pensava che la verità degli aristocratici era discutibile ma lo era anche la verità dei democratici, perché la verità non la possiede nessuno ma tutti possiedono i mezzi di un corretto ragionamento. Quindi non è il potere della maggioranza che evita il governo dei peggiori, la “cachistocrazia”. Alla obiezione degli aristocratici l’anonimo controbatteva che era il popolo che faceva andare le navi e teneva sempre ardenti le officine e la democrazia era proprio ciò che serviva per rendere inattaccabile il sistema del popolo.
Dunque la democrazia non si istituisce in Grecia per allargare la base del potere politico ma per impedirne il ribaltamento. Socrate fu sempre contrario a questa forma di Stato e di governo. I democratici lo uccisero non per le sue idee, ma perché i suoi discepoli, come Alcibiade, avevano tradito Atene per Sparta e Socrate dava agli ateniesi la responsabilità di averli umiliati e minacciati, mostrando il volto violento della democrazia.
I grandi filosofi greci che seguirono il suo pensiero, come Platone, non furono mai d’accordo con la democrazia e Platone vi costruì sopra l’edificio della repubblica ideale.
La democrazia liberale, come quella ateniese, si afferma con il potere indiscusso della borghesia che la sceglie come forma di Stato e di governo per dirimere con i principi della maggioranza le dispute interne della borghesia e quelle con gli altri ceti sociali. Tutti possono governare, con la democrazia liberale, il complesso dei rapporti economici, militari e civili ma non è consentito a nessuno di trascendere, rovesciare o superare il sistema sociale esistente. Ancora fino a pochi anni fa era consentito avere un dubbio sulla equazione democrazia liberale e progresso sociale, sulla scorta della critica di Marx. Oggi nemmeno questo è più in discussione. La democrazia liberale ha preso l’aspetto di una religione di Stato, una religione civile che coincide col significato di bene assoluto. Così assoluto che se qualcuno minaccia di usare l’alternanza per intervenire sul sistema complessivo allora siamo di fronte ad una minaccia alla nostra fede e ogni reazione diviene una difesa santificata di valori intangibili. Anche il ricorso ai colpi di Stato, come è accaduto con Pinochet, salvatore dalla eversione di Allende. Ciò che non è una democrazia è una tirannide e se usa metodi falso-democratici allora è una democratura, un lupo vestito da agnello. La democrazia liberale è interpretata dalla cultura dell’Occidente come il punto di arrivo della evoluzione delle forme di Stato. Andare oltre non è possibile perché la democrazia non ha un esterno. Se vai oltre allora stai andando a Sparta e ti attende la cicuta.
La democrazia dei contemporanei è una forma di violenza, ben dissimulata, ma una difesa insuperabile del sistema.
Se ne deve concludere che ogni correzione delle parti del sistema da cui derivano le peggiori conseguenze per la maggioranza del popolo non debba essere perseguita? No, ma solo che questa via è simile a chi vuole cercare la libertà della persona dentro un penitenziario. Si può ridurre la delimitazione degli spazi di attività ma non fino ad aprire i cancelli.
Se guardiamo alla vicenda di Berlinguer da questo punto di vista, si vede bene con quale forza il sistema si difese dal solo rischio di essere messo in discussione. Anche solo una discussione parziale. L’assassinio di Moro era il segnale che una forza anche moderatamente antisistema non poteva accedere al governo di un paese capitalistico. Berlinguer capì questo dopo una lunga esitazione, ma non riuscì, non ebbe il tempo, per cambiare la conclusione che aveva dato ai fatti del Cile. Mi è difficile dire cosa avrebbe proposto dopo il compromesso storico. Posso solo dire che al suo posto avrei concluso che il superamento del capitalismo, se vogliamo la sua riforma, può cominciare solo dopo avere in mano tutti gli strumenti di governo, perché ancora per molto tempo dopo aver ottenuto la maggioranza, la sinistra dovrà governare un sistema capitalistico in un contesto generale di mercato. Questo richiede una grande forza politica, perché è necessario impedire ai capitalisti di riorganizzare la loro forza e le loro alleanze. Così come la democrazia liberale difende la creatura del capitalismo, la democrazia progressiva deve difendere la creatura socialista. Per di più deve far nascere altri soggetti capaci di investimento, sia pubblici che privati ma non capitalistici. Quest'ultimo termine esprime la necessità che lo sviluppo non agisca solo a livello sociale ma modifichi la condizione sociale ed economica degli stessi lavoratori, come non accadde nel socialismo reale. La democrazia progressiva deve mantenere un vasto consenso popolare e questo deve interagire con la stessa democrazia, mantenendo un rapporto con il principio di maggioranza caratteristico della democrazia liberale.
Mi permetto ora una conclusione sull’attualità. Una forza politica deve dichiarare la sua intenzione rispetto al sistema, cioè deve essere esplicita nella direzione del suo movimento. Se si vuole dire di avere una componente antisistema di una certa importanza e se la parola sinistra non la esprime, serve qualcosa di significato inequivocabile e chiaro. Progressisti, cioè quelli delle magnifiche sorti e progressive che un tremito del monte basta a seppellire, non basta. Ci vuole di compromettersi con la storia e io vi esorto alle storie.
Paolo Brutti
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