De Bortoli-Boschi, la ministra mente o no?
di Giuseppe Castellini
Dunque, mettiamo insieme le cose sulla questione De Bortoli. L'ex direttore del Corsera scrive un libro dove afferma che il ministro Maria Elena Boschi esercitò pressioni su Ghizzoni (allora ad di Unicredit) perché Unicredit salvasse Banca Etruria - e i suoi amminisrtatori - dove suo padre era vicepresidente. Banca che, come poi emerso, aveva molti scheletri nell'armadio (la parola definitiva su questo la dirà comunque la magistratura), tanto che numerosi dei suoi amministratori sono stati indagati.
La Boschi, che benché ministro non aveva alcun titolo a premere su Ghizzoni non essendo neppure ministro del Tesoro, ha subito smentito. Ma De Bortoli ha confermato tutto, dicendosi certo delle propriie fonti.
Ora, per dare un po' di credito alla tesi che la Boschi non mente basterebbe che Ghizzoni smentisse De Bortoli (magari, chissà, è lo stesso Ghizzoni ad avere dato a De Bortoli la notizia che il giornalista ha pubblicato). Ma Ghizzoni finora non lo ha fatto. Chissà se lo farà. Se lo facesse non è detto che De Bortoli abbia torto, perché ad avergli dato la notizia potrebbe essere stata un'altra fonte autorevole e Ghizzoni potrebbe smentire per compiacere il ministro. Ma certo la questione assumerebbe tutto un altro aspetto e i dubbi sul fatto che De Bortoli abbia preso una topica aumenterebbero. Invece, al momento ogni persona sana di mente non può che arrivare alla conclusione che effettivamente il ministro Boschi, approfittando del suo ruolo di ministro e di persona vicinissima al presidente del consiglio di allora, Matteo Renzi, abbia premuto su Ghizzoni, benché non ne avesse alcun titolo istituzionale. E che, di conseguenza, mente quando dice che non lo ha fatto.
Insomma, se non ci saranno fatti nuovi si configura una storia all'italiana, fatta di prepotenze grandi e piccole, di abusi grandi e piccoli, di una gestione del potere arrogante. Siamo alle solite: un gruppo arriva al potere mostrando una faccia e poi si trasforma in clan. Il nervosismo della Boschi e gli attacchi di Renzi a De Bortoli significano il tentativo di intimidire i giornalisti che non fanno il coro (stessa cosa fece, peraltro, Berlusconi) perché i cittadini non scoprano il vero volto del potere, che in Italia ha sempre quel modo di agire da clan, da familismo puro. Via i giornalisti scomodi, perché è nell'ombra che vive l'opaco potere italiano, politico ed economico. Cosicché una stampa intimidita scopre le cose a babbo morto, quando i buoi sono scappati dalla stalla. Da qui anche l'asservimento della televisione di Stato al padrone politico di turno. E a questo proposito Fabio Fazio afferma che con Renzi si è toccato il massimo della pressione politica sulla Rai (non so se abbia ragione, ma comunque la cosa va registrata). E a reti unificate, tanto da far venirre nostalgia dei tempi della famosa lottizzazione (una rete alla Dc, una al Psi, una al Pci), quando almeno c'era un equilibrio nella politicizzazione della Rai.
Di rottamazione (da quella del 1992 e seguenti) in rottamazione non cambia la natura del potere in Italia, la sua incompatibilità con una democrazia moderna e trasparente, il suo essere levantino più che centroeuropeo o anglosassone. Un potere alle corde e che le pressioni esterne obbligheranno finalmente a cambiare, ma che è pericoloso nei suoi colpa di coda. E c'è da chiedersi se il rinnovamento promesso da Renzi e non attuato (come si è rivelata una patacca la promessa berlusconiana della rivoluzione liberale) non sia in realtà l'estremo tentativo di trasformismo, gettando un po' di polvere negli occhi e mettendosi un po' di cipria sul viso, per continuare nella realtà una gestione del potere poco trasparente, levantina, nella sostanza arrogante.
Cambiare questa potere si deve e non si può tacciare di populismo ogni tentativo di modificarlo profondamente. C'è il populismo pessimo che si fonda sul nazionalismo, c'è il populismo importante e necessario del cambiamento di un potere opaco e arrogante. Lo ripeto: nella storia degli Stati Uniti il populismo democratico è stato spesso luminoso: da Teddy Roosevelt a Franklin Delano Roosevelt, al secondo Kennedy, alla speranza spezzata di Robert Kennedy. A me questo tipo di populismo piace e molto. Odio invece il populismo nazionalista.
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