di Maria Pellegrini

 

Sul finire dell’anno che ha visto celebrare con molte iniziative il bimillenario della morte di Augusto, dispensatore di pace e perciò circondato da vasto consenso, vorremmo ricordare gli atti di crudeltà di cui si macchiò durante il suo principato che, non si deve dimenticare, fu un regime, anche se illuminato. Il “buon Augusto” di dantesca memoria, accanto alle sue indubitabili qualità - fra le quali spiccano un rigoroso pragmatismo e una straordinaria capacità organizzativa e amministrativa - fu anche un giustiziere sanguinario. Dopo l’uccisione di Cesare e i disordini che ne seguirono, culminati con una guerra tra il giovane Ottaviano (erede di Cesare), Marco Antonio (luogotenente di Cesare), e Lepido (governatore della Gallia Narbonese), i tre contendenti vennero a un accordo triumvirale che ottenne il riconoscimento legale dal Senato.

L’accordo teso formalmente a “rifondare lo Stato”, mirava soprattutto a spartirsi con poteri illimitati le aree d’influenza del vasto impero. I triumviri diedero inizio a una vera caccia all’uomo, stabilendo un regime di “terrore” forse peggiore di quello instaurato da Mario e da Silla. Compilarono quegli orribili elenchi che vanno sotto il nome di “liste di proscrizione”. Più di trecento senatori e duemila cavalieri, ritenuti ostili al nuovo corso, furono giustiziati senza pietà dovunque si trovassero, e privati di tutte le loro proprietà. Fu poi stabilito di eliminare i cesaricidi Bruto e Cassio che, passati in Grecia, erano riusciti a mettere insieme un esercito forte di 19 legioni costituendo in tal modo un grave pericolo per i triumviri. Lo scontro decisivo avvenne sui campi di Filippi, in Macedonia, ove l’esercito repubblicano fu sanguinosamente sconfitto (42 a.C) da Antonio e Ottaviano (Lepido era rimasto a proteggere Roma).

Bruto e Cassio si uccisero, Ottaviano non mostrò nessuna moderazione nella vittoria, né quella clementia che era stata di Cesare, suo padre adottivo. Svetonio racconta episodi rivelatori del suo animo spietato: «Mandò a Roma la testa di Bruto perché venisse deposta ai piedi della statua di Cesare, e mostrò efferata crudeltà anche contro prigionieri illustri: a uno di loro che chiedeva di poter avere una degna sepoltura, rispose che ci avrebbero pensato gli avvoltoi; costrinse inoltre un padre a giocarsi la grazia con il figlio in una gara alla quale non sopravvisse nessuno dei due perché uno si offrì di morire e fu ucciso, l’altro volontariamente si tolse la vita». Seneca nel De Clementia (IX, 1), virtù che il filosofo riteneva dovesse essere soprattutto di un imperatore, ricorda che Augusto «fu clemente nella vecchiaia o quando la sua vita già declinava; nella sua giovinezza fu inquieto e si lasciò trasportare dall’ira, e fece molte cose che volgendosi poi indietro guardava a malincuore. Egli fu moderato e clemente, ma soltanto dopo aver tinto il mare di Azio con sangue romano, dopo aver distrutto in Sicilia le flotte sue e quelle degli altri, dopo le proscrizioni e le stragi di Perugia».

Perugia fu l’epicentro di un conflitto civile sanguinosissimo. Secondo gli accordi presi fra i triumviri, Antonio si diresse in Oriente dove incontrò Cleopatra subendone il fascino e seguendola in Egitto. Ottaviano rimase in Italia e operò la più vasta distribuzione di terre che fosse mai stata compiuta: più di centomila veterani entrarono in possesso di terre espropriate nelle più fertili regioni della penisola. Ciò provocò la ribellione dei proprietari che sfociò in una nuova guerra civile. Alla testa dei rivoltosi v’era Lucio Antonio, fratello del triumviro Marco Antonio, e Fulvia, moglie del triumviro stesso, rimasta in Italia per vegliare sugli interessi del marito e difendere la sua posizione. L’invito alla ribellione era per restaurare la repubblica e contro il triumvirato, ma l’intenzione reale era di impedire che Ottaviano divenisse troppo potente: nella distribuzione delle terre infatti c’erano stati favoritismi a favore dei suoi veterani. Secondo alcuni storici Fulvia agiva anche per motivi personali. Appiano (Guerre civili, 5, 19, 75) e Plutarco (Antonio, 30, 4) scrivono che fu spinta dalla gelosia nei confronti della regina egiziana Cleopatra, in quanto riteneva che se fosse riuscita a scatenare la guerra in Italia, Antonio sarebbe subito rientrato dall’Oriente. Ma Ottaviano soffocò nel sangue la ribellione. Lucio Antonio si era rifugiato nella città fortificata di Perugia aspettando rinforzi dalla Gallia, ma fu costretto a resistere per molti mesi. Lo storico Cassio Dione (Storia romana, 48, 14) descrive così le fasi del bellum Perusinum fino all’espugnazione della città (40 a.C.): «L’assedio durò a lungo: la città aveva ottime difese naturali e inoltre erano state accumulate provviste di viveri. [...] ma alla fine l’esercito di Lucio, dovette arrendersi per fame. […] La città fu data alle fiamme, eccettuati il tempio di Vulcano e una statua di Giunone». Ottaviano non solo abbandonò al saccheggio la città, ma sacrificò centinaia di senatori e di cavalieri alla memoria di Cesare, nel terzo anniversario dell’uccisione. Né Lepido dall’Africa, né Antonio dall’Oriente per prudenza politica intervennero. Lucio Antonio e Fulvia, furono risparmiati dal vincitore che non volle inimicarsi Marco Antonio. Ottaviano, cui il Senato attribuirà nel 27 a.C. l’appellativo di Augusto con cui è passato alla storia, ricostruì poi la città. Ancora oggi la scritta Augusta Perusia è visibile sull’Arco Etrusco.

L’episodio più singolare della cosiddetta guerra di Perugia del 41 a. C è la presenza di una donna, Fulvia, con un ruolo tradizionalmente maschile. La sola presenza della donna in un luogo riservato a uomini non le fu perdonato e di lei si tramandò un’immagine negativa. Per Velleio Patercolo «Fulvia non aveva nulla di femminile, se non l’aspetto» (Storia romana, 2, 74, 2). Per Plutarco «Non era donna che pensasse a filare la lana o a badare la casa né si accontentava di dominare un uomo qualunque, ma voleva governare un governante e comandare un comandante» (Antonio, 10, 5). Cassio Dione la dipinse «cinta di spada» (Le Storie, XLVIII, 14), alla testa di un esercito. Il coinvolgimento di Fulvia, almeno parziale, nella guerra di Perugia è sicuro, sia pure ampiamente strumentalizzato dalla propaganda di Ottaviano che preferiva far credere che Fulvia avesse un ruolo fondamentale nel conflitto di Perugia per riservarsi nel futuro un margine di accordo con l’ancora potente Marco Antonio che del resto, come racconta Appiano (B. C., 5, 59, 249 e 5, 62, 266) preferì strategicamente dare la colpa della guerra di Perugia a Fulvia, dicendo che aveva agito di sua iniziativa mentre lui era all’oscuro di tutto. Per avallare ciò non si recò da Fulvia quando lei tentò di raggiungerlo in Grecia e la lasciò morire di malattia, aggravata dal dispiacere di non averlo potuto incontrare. L’opportuna morte di Fulvia rese più facile la riconciliazione fra Ottaviano e M.Antonio, riconciliazione sancita dai cosiddetti accordi di Brindisi nel 40 a. C.

La propaganda ostile a Fulvia raggiunse il suo vertice più di un secolo dopo con Marziale che in un epigramma (XI, 20) sferrò un violento attacco contro Fulvia sotto forma di dialogo, attribuito dall’autore ad Augusto stesso: Fulvia venuta a conoscenza dei tradimenti di Antonio per vendicarsi si offrì ad Augusto per un rapporto amoroso. Avutone uno sdegnoso e irridente rifiuto, la donna placò l’offesa provocando una rottura tra Augusto e M. Antonio e scatenando la guerra di Perugia. L’epigramma è audacemente osceno, ma chi vorrà sincerarsene potrà leggerlo in una delle tante traduzioni degli Epigrammi di Marziale.

Altra curiosità di questa guerra sono le scritte ingiuriose e oscene incise sui proiettili di piombo, che gli assedianti e gli assediati si lanciavano con le fionde vicendevolmente durante l’assedio, rivolte contro Lucio Antonio e Fulvia, e contro Ottaviano. Nei dintorni di Perugia sono stati trovati alcuni di questi proiettili (glandes perusinae) catapultati durante quel terribile assedio e recanti messaggi scurrili contro i capi della ribellione: “Luci Antoni calve, Fulvia, culum pandite. Peto landicam Fulviae e in risposta i messaggi degli assediati pete culum Octaviani, (il missile plumbeo indicava la sua direzione: colpire le parti intime degli avversari). Non mancano messaggi irrisori contro Lucio Antonio L. Antoni calve, peristi C. Caesaris victoria. (Calvo Lucio Antonio, calvo, sei morto per la vittoria di Cesare (Ottaviano). Esureis et me celas. (Stai morendo di fame, e me lo nascondi). Per chi vuol saperne di più segnalo un libro di Lucio Benedetti, Glandes Perusinae, revisione e aggiornamenti, Quasar ed. 2012.

Per terminare con eleganza poetica queste pagine, trascrivo alcuni versi di Properzio che, nato in Umbria, aveva vissuto da bambino il dramma della guerra e subìto la perdita di gran parte delle sue terre in seguito alle espropriazioni a favore dei veterani. Autore di un volume di Elegie in cui il tema dominante è l’amore per una donna, concesse rari elogi al potente Augusto, che tramite Mecenate cercava tra gli intellettuali consenso al suo regime. Un parente di Properzio, combattendo contro Ottaviano nella guerra di Perugia, vi aveva trovato la morte. Ecco il ricordo del poeta con accenti di esecrazione nei confronti delle guerre civili.

“……..Perugia, noto sepolcro della nostra patria,/ funebre luogo d’Italia in duri tempi, / quando la discordia romana travolse i suoi cittadini /così soprattutto, o terra etrusca, m’addolori, / lasciasti insepolte le membra di un mio parente, /tu non copri le ossa dell’infelice nel tuo suolo”. (Elegie I, XXII)

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