di Sandro Roazzi

Non ha il passo delle economie più forti, ma l’Italia economica fai-da-te prova a migliorarsi e ci riesce sia pure lentamente. Anche l’Istat prevede per le prossime. ..puntate un moderato miglioramento, anche se fra il Pil in crescita del quarto trimestre 2016 e quello dell’Unione europea la differenza è marcata (+0,2% da noi, +0,4% in Europa). Siamo lenti ed ondivaghi, conseguenza di uno sforzo che non trova il supporto necessario in una politica economica dagli obiettivi chiari ed in un orizzonte internazionale contraddittorio. I prezzi alla produzione a gennaio sono saliti sullo stesso mese di un anno fa del 2,5% (+1% sul mese precedente), ma a far da traino c’è la solita energia (un tendenziale da...sballo: +6,2%), mentre beni di consumo e strumentali viaggiano appena sopra il mezzo punto percentuale. Intonazione positiva ma senza... acuti. Per non parlare di comparti che continuano a soffrire come il tessile ed abbigliamento, che registra non a caso un -1,1% in piena...bassa marea.
L’occhio lungo dell’Ocse (e di solito poco ...benevolo con l’Italia) vede un Pil inchiodato fino al 2018 all’1%, quando è notorio che, per sollevare le sorti della occupazione, della propensione al rischio e della fiducia ci vorrebbe di più. I confronti non ci premiano di sicuro: l’area euro arriverà all’1,6% (con la Germania all’1,7%), gli Usa al 2,8%, la Cina in calo (si fa per dire, ma pesa...) al 6,3% dal 6,7%, l’ India in gran spolvero al 7,7%. Peggio di noi il Giappone (+0,8%) che pure le sta tentando tutte per riemergere, con l’economia mondiale che dovrebbe passare dal 3% del 2016 al 3,6% del 2018. Caso a parte la Gran Bretagna del dopo Brexit, che dovrebbe atterrare dall’1,8% all’1%.
L’Ocse mette in guardia inoltre dagli scompensi di questa situazione che, messi in fila, vedono future incertezze abbattersi sui mercati a causa della tendenza al rialzo dei tassi di interesse, della divaricazione fra borse ai massimi ed economia reale che naviga a vista con ritmi meno esaltanti, del rendimento di alcune economie come quella cinese meno brillante che in passato.
In Italia torna intanto di moda la spesa pubblica, dopo che i cosiddetti riformisti della seconda Repubblica avevano pensato bene di inneggiare ad un mercato dove lo Stato era assente del tutto, espulso con ignominia perfino, il sud ...una nostalgia da prima Repubblica, il lavoro un terreno di sfogo per gufi incapaci di apprezzare le meraviglie del Job act. Ora si cambia registro: vai con le opere pubbliche, vai con meno fisco sul costo del lavoro (i robot apprezzeranno...), vai con privatizzazioni che diventano una controversa necessità. Latitano ancora strategie di lungo periodo, una programmazione del futuro (anche se la parola citata sa di blasfemia), nuove politiche industriali che sappiano anche aggredire i ritardi di cui soffriamo.
Si pensi al tasso di innovazione, che pure possiede l’edilizia in rapporto alle produzioni ad essa collegate, si pensi all’economia verde, alla messa in sicurezza dei territori. Sprazzi di volontà da verificare emergono nei discorsi, ma nulla di più: questo il messaggio che proviene dalla politica. Resta il fatto che un rientro dello Stato nelle vicende economiche è ormai indispensabile. Il come è invece un guazzabuglio da districare, tenuto conto anche del debito pubblico. Ma visto come va il mondo è rischioso continuare a vivacchiare sulle spalle dell’Italia che va. Rischioso oggi, ma domani una colpa.

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