Ci vuole un piano del lavoro
Il lavoro ai giovani è stato l'argomento principale del discorso di fine anno del presidente della Repubblica Mattarella. La massima autorità dello Stato ha definito ha definito "inaccettabile" la situazione. L'emergenza occupazione riguarda, in realtà, le persone di tutte le età. Per coloro che hanno perso il lavoro o lo vedono messo in discussione pone problemi di sofferenza esistenziale ancora più acuti, se possibile, del giovane che vorrebbe e non può, costruirsi un futuro. Le statistiche dei senza lavoro sono come quelle dei morti: indicatori sociali utili a comprendere i fenomeni su larga scala, ma in un qualche modo cinici, perché incapaci di esprimere l'umanità "singola" e i drammi individuali che ci stanno dietro, ognuno dei quali esprime un universo di sofferenza, umiliazione, spesso disperazione, delle quali i freddi aggregati numerici non danno conto. In una intervista il compianto Sandro Pertini, il presidente della Repubblica probabilmente più amato dagli italiani, affermò: "...la libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha un lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero... ".
Avere tante persone senza lavoro ha molti significati e, come si dice, "ricadute" negative: la più importante è quella di privare il Paese della grande ricchezza potenziale che i disoccupati sarebbero in grado di produrre e di caricare su chi fortunatamente lavora l'onere di doverli in qualche modo mantenere.
La mancata o insufficiente contribuzione agli enti previdenziali costituiscono la causa principale della loro (enfatizzata) crisi. La (presunta) "insostenibilità" del sistema è principalmente determinata non dall'aumento degli indici di vita (che dovrebbe riempirci di gioia e non essere dipinta quasi come una colpa) ma dalla rassegnazione (o convenienza) a non conseguire l'obiettivo della piena occupazione e mantenere esiguo il numero di chi lavora.
Le statistiche dell'Istat sulla disoccupazione accostano l'Umbria al mezzogiorno e la allontanano non solo dal nord ma anche dalle altre regioni del centro. I dati diffusi dalla Cgil fanno mettere le mani nei capelli. Le persone alla prese, sotto vari aspetti con problemi "di lavoro" sono oltre 120mila. Più di 4Qmila disoccupati, 24mila cassintegrati, 23 mila "scoraggiati", cioè persone che hanno rinunciato a trovarlo, 37mila dipendenti precari o saltuari.
Il fosco quadro sociale è aggravato dal fatto che più della metà dei pensionati (140mila) percepisce un assegno inferiore ai mille euro al mese e circa 36mila famiglie, quasi il 20%, rientrano a vari gradi nella categoria della povertà o rischio povertà. Sono aperte quasi 200 vertenze industriali e c'è da dubitare che molte di esse possano risolversi positivamente.
Se la crisi fosse in queste cifre, ci si troverebbe, come si dice, in un clima di "assalto ai forni". E' evidente che nella società umbra e nelle famiglie che la compongono continuano a operare ammortizzatori, sistemi e fonti di integrazione dei redditi che ne allievano la condizione. Ma questa parziale consolazione non può, più di tanto, sminuire la consapevolezza della drammaticità della condizione di tante persone e della società nei suo complesso. Che fare?
Ora l'esperienza dimostra che il mercato da solo non risolve il problema. Anzi se si pensa che il valore finanziario un'impresa è tanto maggiore quanto minore è il numero dei suoi dipendenti si ha l'esatta percezione di un sistema tendente a "bruciare" piuttosto che creare occupazione. Un intervento pubblico torna d'attualità. Piano regionale del lavoro? Si, proprio quello.
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Corriere dell'Umbria di martedi 19 gennaio 2016.
L'autore ha autorizzato la sua pubblicazione anche su Umbrialeft.
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