di Roberto Bertoni.

C'è poco da dire e molto da fare, nel panorama tragico di un'Italia che, con ogni probabilità, fra tre mesi sarà chiamata ad esprimere un voto sostanzialmente inutile. Inutile in quanto molte ricostruzioni attendibili ci informano che, quasi sicuramente, non emergerà alcuna maggioranza, dunque si dovrà procedere alla "prorogatio" del governo Gentiloni, con la non piccola differenza di un PD dimezzato rispetto ai numeri attuali e di una Lega a trazione lepenista che avrà dalle quattro alle sei volte i parlamentari attuali. Ci attende, pertanto, un pateracchio, condito da mesi di incertezza, di aumento dello spread e dei tassi di interesse e di disperazione sociale che, anziché diminuire, continuerà a crescere e a favorire l'ascesa di una destra che, sostanzialmente, non ha sconfessato nemmeno i naziskin che abbiamo visto esibirsi in un'azione da squadristi in quel di Como.
Prospettive fosche, nessuna speranza e nessuna certezza: una rovina, insomma, acuita dal fatto che non abbiamo più neanche la possibilità di coltivare la meravigliosa arte del dubbio, essendo venuto meno un pensatore del calibro di Ingrao e non intravedendosi eredi all'orizzonte.
Mi dedico, quindi, all'analisi storica, anche perché questa è la settimana della manifestazione della CGIL per chiedere maggiori garanzie e umanità per quanto riguarda le pensioni e dell'assemblea nazionale di una sinistra che, sia pur fuori tempo massimo, sta quanto meno provando a rimettersi in cammino.
Ribadisco: siamo fuori tempo massimo, in quanto la scissione si sarebbe dovuta compiere almeno due anni fa, sul Jobs Act o sulla Buona scuola, ossia su questioni dirimenti che hanno toccato da vicino la nostra gente e bruciato la carne viva che  milioni di persone, con la conseguenza di rompere il rapporto che pure si era instaurato fra Renzi e il Paese, mettendo a nudo la natura effimera delle promesse e dei proclami dell'uomo di Rignano e condannandolo ad una serie di sconfitte che in altre stagioni, più serie, avrebbero indotto il gruppo dirigente del PD a metterne in discussione la leadership. Se non è accaduto è perché la classe dirigente è quella che è e, a quanto pare, non vale più nemmeno l'antico adagio secondo cui, quando la nave affonda, i topi sono i primi scappare e i passeggeri si accalcano sul pontile alla disperata ricerca di una scialuppa di salvataggio. Evidentemente, qui siamo al cospetto di personaggi inconsapevoli, talmente abituati a vivere all'interno del palazzo da non rendersi più conto di ciò che avviene all'esterno del medesimo. Lungi da me qualsivoglia tentazione anti-parlamentarista o qualsivoglia elogio della democrazia diretta, sia chiaro; fatto sta che oggi siamo al cospetto di una democrazia rappresentativa senza rappresentanza e senza rappresentanti, avendo a che fare con un insieme di nominati che risponde unicamente a chi li ha messi e, soprattutto, a chi è chiamato a metterli in lista la prossima volta. Pare, a tal proposito, che fra j peones del PD regni il terrore, con vere e proprie scene di panico in Transatlantico. D'altronde, c'è da capirli: non dev'essere semplice vedersi scaricare senza nemmeno un grazie dopo anni trascorsi a votare e sostenere a spada tratta schifezze che hanno reso invotabile agli occhi dei più quello che un tempo era il maggior partito del centrosinistra.
E qui mi preme citare un aneddoto personale. Mi è capitato, negli ultimi mesi, di discutere più volte di un tema che mi sta particolarmente a cuore, ossia la riforma Fornero. Ne ho discusso con alcuni renziani convinti, con alcuni renziani inconsapevoli di esserlo, con persone preparate ma, a mio giudizio, profondamente ingenue e persino con qualche civatiano che, purtroppo, non è ancora riuscito ad affrancarsi dalla cultura della Leopolda e dal suo liberismo a buon mercato, benché questa teoria economica si sia mostrata fallimentare in ogni angolo del pianeta.
Ebbene, la tesi più ricorrente è che la suddetta riforma nonché i continui sproloqui della sua diversamente simpatica promotrice ci avrebbero salvato dall'ecatombe, dalla Troika, dalla tremenda fine della Grecia e via elencando. Partiamo, dunque, dalla Grecia. Che la penisola ellenica sia stata devastata dalle politiche ultraliberiste e insostenibili della Troika è fuor di dubbio e che Monti abbia avuto, a suo tempo, il non piccolo merito di risparmiarci il medesimo trattamento è altrettanto noto. Ciò premesso, bisogna domandarsi: a che prezzo? E chi sta meglio oggi fra noi e loro? Ricordiamoci, innanzitutto, che l'italia non è la Grecia: è uno dei paesi fondatori dell'Europa e, soprattutto, è una nazione "too big to fail", troppo grande per fallire o per essere abbandonata al proprio destino, in quanto da una sua rovina deriverebbe la fine dell'Unione Europea, con conseguenze imponderabili anche per le altre potenze continentali. Pertanto, dubito che da noi la Troika avrebbe potuto imporre lo stesso martirio che ha imposto ad Atene: avrebbe varato riforme forse ancora più dure di quelle realizzate da Monti, questo sì, ma non ci avrebbe potuto, di fatto, colonizzare e ridurre allo stremo, avendo, ripeto, a che fare con un paese in cui la sola provincia di Vicenza ha un PIL pari a quello dell'intera Grecia.
Senza dimenticare che da quel sangue e da quella barbarie la Grecia ne è uscita con un governo che non è il massimo della vita, avendo anche Tsipras dovuto compiere non pochi cedimenti, primo fra tutti quello relativo al referendum dell'estate 2015, ma che ha avuto l'enorme merito di restituire dignità, speranze, prospettive e forse addirittura sogni ad un popolo che era stato letteralmente ridotto alla fame e alla miseria, non solo economica, dagli esecutivi precedenti.
Da noi, invece? Da noi la politica non esiste più, i partiti non esistono più e la democrazia è frequentata da una piccola élite di irriducibili che ancora ne comprendo il valore e l'imprescindibilità mentre la maggioranza degli italiani non solo non la ritiene piu indispensabile ma la considera superflua, inutile e inadeguata ad affrontare i problemi che si parano quotidianamente sul loro cammino.
E allora, egregio ministro Fornero, lei non deve chiedere scusa solo per una riforma sbagliata, dannosa e controproducente, che oltretutto non ebbe nemmeno il merito di calmierare lo spread, visto che l'impresa riuscì unicamente a Draghi e alla sua promessa di azionare il bazooka degli acquisti di titoli di Stato per salvare e rendere irreversibile l'euro; lei deve chiedere scusa, prima di tutto, per aver involontariamente favorito la disintegrazione del nostro tessuto sociale e del nostro sistema istituzionale, che è ben di più e ben peggio.
Perché non ha senso negare: i numeri sono numeri e dicono chiaramente che il M5S si è gonfiato a dismisura nell'anno del governo Monti e che la Lega, da quando Salvini ha iniziato a martellare contro i suoi provvedimenti, ha quadruplicato i propri consensi. Lungi da me sostenere qualsivoglia forma di populismo ma ribadisco: i numeri sono numeri e non si può pensare che il quaranta per cento degli italiani sia diventato fascista, razzista e anti-politico dal giorno alla notte. Se votano per le uniche due forze che con franchezza hanno promesso lo smantellamento della sua riforma, è perché essa ha provocato dolore, sofferenza e addirittura alcuni suicidi: sono dati di fatto, nessuno sciacallaggio o strumentalizzazione delle tragedie per fini elettorali.
E allora, una sinistra degna di questo nome deve cominciare col chiedere scusa per aver sostenuto quella riforma e molti altri capisaldi del governo Monti, a partire da alcune norme rivelatesi poi incostituzionali come, ad esempio, il prelievo di solidarietà ai danni delle pensioni più elevate; e poi deve asserire senza remore che INVALSI, alternanza scuola-McDonald's, crocette, test d'ingresso alle università, riforma Fioroni e altri disastri con i quali da dieci anni vengono sistematicamente colpiti i giovani non sono più accettabili e devono essere sostituiti con: un'alternanza scuola-lavoro seria e non punitiva, una riforma della scuola redatta insieme a docenti, alunni e famiglie, una riforma dello Statuto dei lavoratori con estensione di tutti i diritti, a cominciare dal ripristino integrale dell'articolo 18 (contro cui la prima picconata fu incerta proprio dalla Fornero), un sistema d'accesso libero all'università, rispettoso del dettato costituzionale, con l'introduzione di alcuni esami propedeutici solo per quanto concerne le facoltà di Architettura, Ignegneria, Fisica, Chimica e Medicina, il ritorno al vecchio ciclo universitario, smantellando il tragico tre più due introdotto da Luigi Berlinguer, e un esame di Maturità basato su una tesi simile a quella universitaria, visto che il temino di italiano, la versione, il compito di matematica, il tema in lingua e le altre peculiarità dell'esame attuale attengono ad una serie di prove che gli studenti hanno già ampiamente affrontato nel corso della propria esperienza scolastica, dunque costituiscono un inutile ripetizione. Molto meglio, se permettete, una tesi in stile universitario e una valutazione finale complessiva basata sul rendimento del ragazzo negli ultimi tre anni.
Quanto a lei, esimia professoressa che va in giro commuovendosi per le storie strazianti delle persone rovinate dalla sua riforma, apprezzo molto le sue lacrime e i suoi pentimenti ma credo anche che, per risultare credibili, dovrebbero essere seguiti da una richiesta di scuse e da un'ammissione di colpa, non avendo lei né salvato il Paese né varato provvedimenti che un domani si riveleranno utili a chicchessia. Spiace dirlo, cara Fornero, ma lei ha solo contribuito a bloccare ulteriormente il mondo del lavoro, rendendo ancora più difficile il turn over ed infliggendo un colpo durissimo alla stessa produttività, in quanto è scientificamente provato che un sessantasettenne, specie in alcuni ambiti, è assai meno reattivo, fresco ed entusiasta di un giovanotto alle prime armi, il cui difetto, al massimo, è la mancanza di esperienza.
Su questo fronte, una sinistra degna di questo nome dovrebbe: proporre un 'età minima di uscita dal lavoro fissata a 62-63 anni e la possibilità di rimanere fino a 70, per chi vuole, con scatti di anzianità annuali e un salutare cambio di mansioni rispetro all'incarico precedente, introducendo la figura del tutor nei confronti dei neo-assunti. Chi svolge lavori usuranti, infine, a 55-57 anni è bene che vada a riposarsi: se lo merita.
Infine, se proprio volessimo esagerare, potremmo anche dire che, anziché proporre una base redditizia minima per le future pensioni, parametrata sulla minima attuale, si potrebbe reintrodurre il retributivo definitivamente abolito ancora dalla prode Fornero nella sua riforma, con buona pace di Boeri e di altri soloni della medesima schiatta.
C'è poco da dire e molto da fare, cara sinistra: questi sono solo i fondamentali. Per chi vuole e può, l'appuntamento è oggi all'Atlantico Live a Roma.  

P.S. Quest'articolo è dedicato alla memoria di Giglia Tedesco, storica dirigente della sinistra italiana, scomparsa esattamente dieci anni fa all'età di ottantuno anni, e Benedetto Petrone, un militante del PCI che aveva appena diciannove anni quando rimase vittima, a Bari, di una lama fascista. Loro sono la nostra storia e la nostra memoria, a loro pertanto va la nostra gratitudine.

 

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