Censure e autocensure. I segreti di guerra.
di Vincenzo Vita.
Informazione Costruire muri di opacità è un pezzo del mosaico degli orrori. Proprio per questo i grandi apparati occidentali, dove la libertà di informare ed essere informati pare una conquista acquisita, avrebbero il compito di rompere il patto del segreto.
Controllata, spesso misurata secondo le convenienze, embedded, tuttavia l’informazione nei teatri bellici c’è sempre stata. Anche con pagine straordinarie di giornalismo coraggioso.
Un caso è quello di WikiLeaks, che fece emergere le atrocità delle campagne di Iraq e Afghanistan.
Ma, fortunatamente, svariate volte si è cercato di rappresentare testi e contesti delle guerre. Ora, dentro l’orrida vicenda dell’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina, si sta consumando il delitto perfetto. La vittima è il diritto di cronaca, che altro non è se non un servizio essenziale da rendere alle persone che popolano il villaggio globale e cui spetta
di conoscere in che mondo vivono.
Si tratta di un tratto della cittadinanza moderna, che vive nel paradosso di essere immersa in un flusso comunicativo incessante avvolto da un buio di notizie reali. Dopo l’inquietante legge varata dalla Duma russa volta a punire in modo abnorme i presunti propalatori di fake, si è aperta una voragine. Prima la Bbc, poi l’emittente pubblica canadese e le televisioni pubbliche tedesche Ard e Zdf, a seguire la Rai e il Tg5, persino l’Ansa hanno chiuso le proprie corrispondenze da Mosca.
In tale quadro un discorso a parte merita l’inusitata polemica del partito democratico contro un professionista come Marc Innaro, reo di pensare con la sua testa.
Al di là di ogni giudizio di merito, lascia perplessi che proprio il Pd utilizzi la commissione parlamentare di vigilanza come tribunale speciale, tentazione che ha sempre avuto la destra.
Torniamo alla questione generale. Stiamo assistendo ad un precedente pericolosissimo.
Qualche giorno fa la commissione europea metteva al bando due testate come Russia Today e Sputnik, i social si accodavano e un maccartismo al rovescio impera.
Le casistiche sono ormai numerose. Scrivere su Facebook di insalata russa espone al pericolo di essere bannati, sembra. Evidentemente, vi è un problema di sicurezza da garantire a chi opera nei territori del conflitto, visti i rischi che si corrono. L’effetto, però, è devastante.
Uno dei tratti costitutivi delle strategie di guerra è il segreto. Non far sapere ciò che accade davvero permette di agire senza alcun controllo dell’opinione pubblica e rende facile sbizzarrirsi con accurate opere di disinformazione e di pervasivi attacchi informatici.
Costruire muri di opacità è un pezzo del mosaico degli orrori. Proprio per questo i grandi apparati occidentali, dove la libertà di informare ed essere informati pare una conquista acquisita, avrebbero il compito di rompere il patto del segreto. Quest’ultimo fa gola in genere a tutti i protagonisti, nemici e complici, liberati così da ogni dovere di rispondere alle proprie società civili. Le notizie, si dice, saranno garantite dai corrispondenti collocati nelle aree contigue o dalle sedi centrali. Ma non è lo stesso. Anzi, proprio la complessità delle situazioni (dalla propaganda dei regimi alle voci che corrono senza fondamento)richiede un ripensamento nelle sedi appropriate.
Una soluzione andrebbe cercata, piuttosto che accettare il pendolo tra censura e autocensura. Perché non lavorare in pool, facendo ruotare i corrispondenti salvaguardandone l’incolumità? Non solo.
Se sul serio uno spiraglio di trattativa si è aperto, l’unione europea non potrebbe introdurre il rispetto delle fonti come punto irrinunciabile di e per qualsiasi compromesso? Il minimo.
Qualche risposta è già arrivata. Il sindacato dei giornalisti del servizio pubblico radiotelevisivo, ha commentato amaramente le decisioni, attaccando la violenza del potere del Cremlino, che impedirà ai cittadini di avere contezza di ciò che accade. Si annuncia una verifica con la federazione della stampa italiana e con quella europea, per valutare risposte e iniziative.
Ecco. Magari la commissione parlamentare farebbe bene a occuparsi di questo, invece che perdersi sui casi singoli, aggiungendo censure a censure.
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