di Elio Clero Bertoldi.

Francesco Guicciardini (1483-1540), diplomatico e storico, aveva citato Lodovico Aminale di Terni, in maniera piena e specifica sia nel nome che nella località di provenienza, tra i tredici italiani che si coprirono di gloria nella famosa “Disfida di Barletta”, ma per gli imperscrutabili disegni della storia (forse con l’aiutino di qualche ricercatore locale particolarmente sciovinista) alla fine é stato sostituito da un altro nome (Lodovico Abenale, di Capua per alcuni o di Teano per altri). Insomma: il guerriero umbro é stato defraudato, derubato della gloria conquistata sul campo del celebre scontro.
Gli spagnoli e i francesi, all’inizio del Cinquecento, si affrontano in armi per la Capitanata, territorio molto ambito della Puglia, in quanto arrivano qui, per svernare, le greggi dell’Abruzzo. Ed i pastori, per la transumanza, vengono costretti a pagare la tassa sulle pecore imposta dall’autorità francese. 
In uno scontro, agli inizi del 1503, il gran capitano spagnolo, Consalvo di Cordova, prende prigioniero un gruppo di cavalieri francesi. E come cavalleria pretende, la sera stessa, li ospita a cena - é il 15 gennaio 1503 - in una cantina del brindisino. Un po’ per il vino bevuto che ottunde i neuroni cerebrali e un po’ per la spocchia di cui i francesi appaiono ben dotati di natura, uno dei “cugini” d’Oltralpe, Charles de la Motte, si lascia sfuggire un giudizio offensivo ed ingiurioso sui cavalieri italiani, ingaggiati nell’esercito spagnolo al comando di Prospero Colonna. Uno dei presenti, dell’entourage di Consalvo, riferisce la frase (che suonava, grosso modo: “Gli italiani non possono fare che gli stallieri dei francesi... sono vili e codardi...”) ad Ettore Fieramosca che lancia il guanto della sfida. Il campo del confronto viene individuato in un terreno al confine tra Andria e Corato. Qui si misureranno, all'ultimo sangue, 13 italiani e 13 francesi. 
I combattenti italiani vengono scelti, uno per uno, da Prospero Colonna e sono -  lo precisa, nel libro V della Storia d’Italia, il Guicciardini - “Ettore Fieramosca di Capua, Giovanni Capoccio, Giovanni Bracalone ed Ettore Giovenale, romani, Marco Carellario da Napoli, Mariano da Sarno, Romanello da Forlì, Lodovico Aminale da Terni, Francesco Salamone e Guglielmo Albimonte siciliani, Miale da Troìa, il Riccio e Fanfulla (da Lodi) parmigiani, nutriti tutti nell’armi o sotto i re d’Aragona o sotto i Colonnesi”.
I francesi escono dal campo sconfitti alla grande: uno venne ucciso, un altro ferito gravemente. Nessuno di loro si aggiudica un confronto diretto. Due italiani, sbalzati di sella, infilzarono i cavalli degli avversari e li affrontano, ormai appiedati, vittoriosamente, con le spade e con le asce di guerra. Lo stesso De la Motte, atterrato, è costretto ad arrendersi, per aver salva la vita, al Fieramosca. 
“Ed é cosa incredibile - racconta ancora lo storico fiorentino - quanto animo togliesse questo abbattimento all’esercito francese e quanto ne accrescesse all’esercito spagnolo, facendo ciascuno presagio da questa esperienza di pochi del fine universale di tutta la guerra”.
In effetti, appena due mesi più tardi, nell'aprile del 1503, i francesi vennero sonoramente sconfitti a Cerignola. Tra il bottino razziato dall’esercito spagnolo ben cinquemila pecore...
Lodovico Aminale fu molto apprezzato per la forza e l’audacia con cui aveva affrontato i nemici. Dario Ottaviani lo descrive come “un giovanotto robusto, di forma erculea, di coraggio non comune”. Caratteristiche che lo avevano fatto notare e ammirare da Prospero Colonna, il quale lo aveva scelto personalmente e portato nel suo seguito. 
Lodovico era nato - nel 1477 - in via dell’Arringo a Terni e risulta figlio di un falegname. Non presentava nobili lombi come gli strafottenti francesi, però possedeva un gran cuore ed una forza fisica notevolissima. La vita di bottega non gli andava a genio e preferì seguire un zio, scudiero degli Orsini, nel mestiere delle armi. Successivamente era passato al soldo del Colonna. 
Della famiglia Aminale sono state trovate tracce documentali a Terni, ma di lui personalmente non si hanno altre notizie. Una leggenda racconta che, dopo il vittorioso e glorioso scontro di Barletta, Lodovico avesse chiesto, e ottenuto, un permesso a Prospero Colonna per tornare a Terni dalla famiglia e dalla sua fidanzata, Biancofiore. Ma avrebbe avuto la malasorte di trovarla abbracciata ad un altro uomo. A quel punto, senza rivelarsi, sarebbe fuggito. Di lui si persero, in maniera definitiva, le tracce. 
Fu facile per qualche personaggio locale della Campania ignorare la documentazione fornita da uno storico di vaglia (e vivente, all’epoca) su Aminale e sostituirlo con tale Abenale. Il ternano - che non apparteneva a famiglie nobili e che avrà continuato a militare al soldo di qualche condottiero di ventura, in un periodo in cui le guerre non mancavano davvero - finito nell’anonimato ha subito anche l’onta di essere defraudato del suo. L’avessero fatto, non secoli dopo, ma lui vivo, si sarebbe fatto giustizia da solo con la lancia, la spada e l’ascia da battaglia. 

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