di Leonardo Malà

 

Carogna Genny,

(non uso il “caro” perché tu stesso sembri privilegiare la prima definizione), ti sei chiesto come mai quest’attenzione nei tuoi riguardi? In fondo ti sei impegnato per evitare che scoppiassero nuovi incidenti dentro uno stadio e ci sei pure riuscito. Dove sta il problema? Perché s’ è scatenato questo putiferio che ha tirato dentro tutti, financo il Capo del Governo e il Presidente della Repubblica?

La ragione è semplice: ti sei fatto vedere, ti sei mostrato alle telecamere.

Questo non si fa, Genny! Non si sbatte la verità in faccia alla tribuna vip e neppure alla gente a casa, davanti al maxischermo. Loro sanno bene che ti agiti in curva, che nel giubbotto porti un coltello e che ce ne sono altri mille come te, pronti a tirare cazzotti e pure peggio (sempre per l’onore della bandiera, s’intende). Ma facendo così, energumeno Genny, rovini l'immagine di lor signori, distruggi il telefilm che si sono inventati nelle loro testoline! Se tu e i tuoi amici volete picchiarvi, fatelo pure, ma fuori dalle inquadrature. Sentito cosa dice il tuo concittadino Napolitano? “Quello non è calcio!”.

Ah no? Cos’è, canottaggio? Bob a due? Ogni domenica, dentro e fuori gli stadi, ci sono episodi ancora più gravi, con le stesse magliette e la stessa violenza, e quello cos'è? Perché nessuno ha mai alzato un polverone simile?

C’è un intellettuale del secolo scorso, carogna Genny, che si chiamava Pierpaolo Pasolini e amava e praticava il calcio con una passione e un trasporto speciali. Oggi vomiterebbe a schizzo davanti alla trafila di scrittori, filosofi, giornalisti, ministri, che sfoggiano il tifo per la propria squadra solo per parlarne in pubblico, per apparire più simpatici, più accessibili, gente mai stata dentro uno spogliatoio. Anche di questo non parla nessuno.

Un secolo prima c'erano giovanotti dal sangue caldo come il tuo che avevano trovato riferimenti un po' più alti e cantavano di essere pronti alla morte perché l'Italia li chiamava. Ma quelli, carogna Gerry, ci morivano sul serio per l'Italia, non giocavano alla palla rischiando tutt'al più il menisco. E malgrado ciò, in quelle note, ci mettevano meno enfasi. Ma anche di questo, della innite che da anni contagia qualsiasi manifestazione, di un canto glorioso svilito a vaucher per acquisire solennità a chi non ne detiene, non parla nessuno.

Da tempo le serate tra amici sono una rappresentazione di civiltà tribali, con i maschi seduti davanti al maxitotem e le donne intorno ai fuochi a chiacchierare e a preparare il cibo. Neanche di questo si parla, eppure sempre calcio è.

Parlano di te, carogna Genny, della tua vigliacca e demente maglietta, dell'immagine (l'immagine...) grottesca che hai dato dell'Italia, del fatto che le forze dell'ordine non sono entrate, manganello in mano, a sbaragliare i tuoi consimili. La loro memoria non arriva neanche alla tragedia dell'Haysel, dove la stessa ottusità provocò una mostruosa carneficina, lasciando al suolo non gli energumeni come te (quelli si salvano) ma i più deboli, gli innocenti. Anche i celerini dovrebbero essere funzionali alla recita, l'incolumità altrui viene dopo l'immagine che si offre al pubblico.

Di questo lurido psicogioco che assorbe come una spugna tutti i nostri disturbi mentali, non ne parla nessuno. Del fatto che ora le tante carogne come te, Genny, si sentiranno nel giusto, colpite per aver evitato risse e incidenti, non parleranno. Spenderanno giusto due righe sulle magliette che domani inneggeranno al “siamo tutti carogne”, degno risultato di una comica pantomima di Stato.

Carogna Genny, non ho alcuna simpatia per te ma neanche per loro. Tu susciti nausea e pena, loro rabbia e fastidio.

A pensarci è un bel derby.

 

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