di Maria Pellegrini.

«Se l’età contemporanea è contraddistinta dalla presenza di non-luoghi, segnati da instabilità, transitorietà, assenza di relazioni, la biblioteca rappresenta allora il più nobile dei luoghi: quello in cui nella pacatezza di un tempo ritrovato e nella piena padronanza di sé, l’individuo ha la facoltà di entrare in una vitale e potenziata relazione con sé e con l’altro».

Questa citazione tratta da un articolo di Gabriella Pulce sul recente libro di Lina Bolzoni, Una meravigliosa solitudine, L’arte di leggere nell’Europa moderna (Einaudi 2019) mi ha spinto a ricordare l’importanza delle biblioteche così ricche di quelle presenze amiche quali sono gli autori dei libri presenti negli scaffali. Uomini e donne di cultura di ogni età hanno riconosciuto l’importanza delle biblioteche, da quella del quartiere a quelle delle università o quelle storiche, in quanto ci danno moltissime informazioni, ci aiutano a preservare la nostra cultura, inoltre sono alcuni degli ultimi spazi pubblici no dedicati a fini commerciali e dove si entra gratuitamente.

La rivoluzione digitale ha reso l’approccio al sapere e alla lettura più rapido, causando un allontanamento dai libri e dalle biblioteche a favore dei sistemi digitali, infatti la spesa per l’acquisto dei libri è diminuita. Per coloro che hanno trascorso molto tempo nelle biblioteche per la propria formazione e cultura è una grande perdita la non frequentazione di un luogo fisico dove regna il silenzio anche se non si è soli, si è accomunati dal desiderio di accrescere le proprie conoscenze. Le biblioteche sono state definite spesso «tempio del sapere», «deposito delle memorie», «medicina per l’anima». Il grande oratore Cicerone non esita a suggerire: «Se possedete una biblioteca e un giardino, avete tutto ciò che vi serve». Marguerite Yourcenar nelle Memorie di Adriano scrive: «Fondare biblioteche, è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire»

Nel Manifesto dell’Unesco per le biblioteche pubbliche si legge: «La libertà, il benessere e lo sviluppo della società e degli individui sono valori umani fondamentali. Essi potranno essere raggiunti solo attraverso la capacità di cittadini ben informati di esercitare i loro diritti democratici e di giocare un ruolo attivo nella società. La partecipazione costruttiva e lo sviluppo della democrazia dipendono da un’istruzione soddisfacente, così come da un accesso libero alle biblioteche e senza limitazioni alla conoscenza al pensiero, alla cultura e all’informazione».

La biblioteca accompagna la nascita della civiltà urbana. Le prime biblioteche di cui si ha notizia, - quella di Ebla, in Siria, e quella della città sumera di Lagash -, risalgono addirittura a oltre venti secoli prima della nascita di Cristo.

La più famosa biblioteca dell’antichità è quella di Alessandria d’Egitto la cui storia è quasi leggendaria.

Alla morte di Alessandro Magno (323 a. C.) il suo generale Tolomeo divenne re, con il nome di Tolomeo I Sotere, capostipite della dinastia macedone che resse il trono d’Egitto sino alla celebre Cleopatra. Salito al trono, favorì la diffusione della cultura greca cercando di attirare ad Alessandria i più famosi studiosi del mondo ellenico. A tale scopo istituì il Mousèion, lo “tempio delle Muse”, un centro di ricerca e di studio di arti e scienze dove si riunivano poeti, storici, scienziati, letterati e filosofi. Seguendo i propositi di Aristotele, filosofo di immensa cultura i cui scritti riguardavano tutte le arti e le scienze dell’epoca, il sovrano fondò ad Alessandria anche una Biblioteca con l’ambizione di radunarvi tutte le opere scritte dall’umanità sino ad allora e ordinò a uomini da lui scelti di ricercarle in tutto il mondo conosciuto. La gigantesca e preziosa raccolta libraria conteneva lo scibile della cultura antica, il sapere da Omero in poi. Rappresenta tuttora da più di due millenni il desiderio degli uomini di aspirare alla conoscenza universale. Anche il figlio succeduto a lui, Tolomeo II, il Filadelfo, regnò rispettando la religione, i costumi, gli usi egiziani e si adoperò per accrescere la prosperità dello stato e della capitale Alessandria che divenne anche il centro del commercio internazionale. Gli scambi marittimi si svilupparono, a tal punto che Tolomeo I Sotere, fece erigere un enorme Faro, affinché le numerose navi presenti nel porto, non si urtassero violentemente l’una contro l’altra.

La biblioteca fu arricchita di molti rotoli tra IV e I secolo a. C. (ne conteneva 700.000). Per fare un paragone, nel XIV secolo la biblioteca della Sorbona, che vantava la più ampia raccolta di testi del suo tempo, ospitava solo 1.700 volumi.

Il disegno perseguito dai Tolomei e messo in pratica dai loro bibliotecari non era soltanto la raccolta dei libri di tutto il mondo ma anche la loro traduzione in greco.

«Da ciascun popolo», informa un trattatista bizantino, «furono reclutati dotti, i quali, oltre che padroneggiare la propria lingua, conoscessero a meraviglia il greco: a ciascun gruppo furono affidati i relativi testi, e così di tutti fu allestita una traduzione in greco». Quei dotti uomini furono gli unici che godettero a tempo pieno in un certo periodo della storia della biblioteca.

Tra i grandi pensatori che vi lavorarono c’erano i più grandi nomi dell’antichità. Agli studiosi di Alessandria sono attribuite opere fondamentali nel campo della geometria, della trigonometria e dell’astronomia, nonché in campo filologico, letterario e medico. Secondo la tradizione, fu qui che settantadue saggi ebrei tradussero le Scritture Ebraiche in greco, dando luogo alla famosa versione detta Settanta.

I capo-bibliotecari (o sovrintendenti) che si sono susseguiti sono stati studiosi di grande prestigio quali: il filosofo greco Zenodoto di Efeso, il poeta egiziano Apollonio Rodio, il matematico, astronomo, geografo e poeta greco Eratostene di Cirene, il grammatico Aristofane di Bisanzio, lo scrittore greco Aristarco di Samotracia.

Luciano Canfora, nel suo libro La biblioteca scomparsa racconta che anche l’amore fra Antonio e Cleopatra contribuì ad incrementare «il sogno surreale di un luogo che potesse custodire tutti i libri del mondo». Antonio avrebbe depredato 200 mila volumi dalla biblioteca di Pergamo - che godeva di grande prestigio tanto che rivaleggiava con quella di Alessandria - per donarli alla regina d'Egitto.

Tuttavia dopo la metà del II secolo le complesse vicende interne e i disordini sociali non permisero ai Tolomei di proseguire la politica culturale dei predecessori. La Biblioteca ed il Museo persero progressivamente il ruolo che avevano ricoperto in passato e venne meno il loro ruolo di centro del sapere. Quando l’Egitto divenne provincia romana i vari imperatori persero l’interesse per la biblioteca considerandola troppo costosa. I continui tagli al personale, i tagli ai finanziamenti e le numerose imposizioni burocratiche la portarono all’oblio e al declino.

La fine della biblioteca ancora oggi è avvolta nel mistero. Luciano Canfora (La biblioteca scomparsa edito da Sellerio) afferma che è storicamente inattendibile l’accusa mossa ai soldati di Giulio Cesare di averla incendiata (48/47 a.C.). Ad andare a fuoco furono i 40.000 rotoli contenuti in magazzini presso il porto, in attesa di essere trasportati a Roma; un incendio invece la distrusse in gran parte durante la guerra fra l’imperatore romano Aureliano e Zenobia, regina di Palmira nel 270 d. C., come documenta lo storico Ammiano Marcellino. Alcuni studiosi, basandosi su fonti che attestano la sopravvivenza del Museo fino al IV secolo d. C., hanno ipotizzato che la distruzione totale della biblioteca vada ricondotta ad una data vicina al 400 d. C. Quando la biblioteca fu ricostituita e si era andata arricchendo attorno alla celebre scuola filosofico-matematica alessandrina, fu distrutta e dispersa dai conquistatori arabi nel VII secolo.

Comunque siano andate le cose, la rovina della biblioteca significò la perdita di un enorme patrimonio del sapere antico. Andarono irrimediabilmente perduti centinaia di testi del teatro greco, come pure i primi 500 anni della storiografia, ad eccezione di alcune opere di Erodoto, Tucidide e Senofonte. Il progetto della Biblioteca di Alessandria costituirà per i posteri un momento straordinario della storia antica, quello in cui dalle terre d’origine la cultura greca cominciava a espandersi alle immense regioni conquistate da Alessandro, rinnovando profondamente la propria identità

Sotto la direzione dell'Unesco e grazie a contributi internazionali, la «Bibliotheca Alexandrina» è stata ricostruita, più o meno sui resti dell’antica, davanti al mare di Alessandria, come l’aveva sognata Alessandro Magno (stando agli scritti di Plutarco) e secondo un’antica mappa del 332 a. C. attribuita all’architetto Dinocrate. Contiene circa 400.000 libri. La collezione principale si concentra sulle civiltà del Mediterraneo orientale. Costruita per accogliere 8.000.000 di libri, la biblioteca vuole ridare lustro alla città di Alessandria. Si sviluppa su undici piani e copre un’area di circa 80.000 m² e offre sale di lettura, un istituto per il restauro di libri antichi, una biblioteca per l’infanzia, una scuola d’informatica, sale per riunioni e congressi. Sulle mura esterne di granito sono incisi i caratteri che rappresentano tutti gli alfabeti del mondo.

Nota: nell’immagine la Bibliotheca Alexandrina inaugurata nel 2002 (questo il suo nome, per evitare confusione con quella antica)

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