di Giuseppe Civati.

Un bambino piccolissimo che fa capolino da una valigia, in fuga dalla guerra. Una nave sequestrata per avere salvato vite umane. Armi che continuiamo a vendere a tutti i regimi più stronzi e sanguinari che conosciamo, perché loro ne comprano tante, perché loro bombardano, così l’export esplode.

L’Europa come spazio di pace – ci ripetono – ma ai suoi confini è guerra, tortura, violenza inaudita. Un vuoto politico con la guerra intorno.

Le immagini, i racconti, le notizie raccapriccianti che arrivano dai curdi e dai migranti non fanno più notizia. Non sono nemmeno fake, sono news che non interessano davvero a nessuno.

Quando regalammo a Nina «My Name is Not Refugee», la storia di un bambino come lei, che tutti chiamano rifugiato, ma lui ha un nome e vuole essere chiamato così, come gli altri bambini, lei ci chiese che cosa fosse la guerra, se era una cosa di tanti, tanti anni fa, che adesso non c’è più, vero mamma? Non lo è, purtroppo. Solo che Nina è dalla parte giusta, all’interno del mondo di pace che alimenta la guerra intorno a sé, mentre la Nina nella valigia è bombardata dalle armi che produciamo noi, per estendere i nostri interessi, per affermare il nostro potere. E non ci interessa nulla di tutto il resto. Lo mettiamo nel conto, come ha spiegato Minniti a Andrea Segre. Ma non è una cosa che accade nonostante i nostri sforzi, come sembra far intendere il ministro dell’Interno, è una cosa che accade in gran parte per nostra responsabilità. E che va fermata, rovesciata, totalmente ripensata.

Voi sapete, noi sappiamo.

Lo scriveva ieri Andrea Maestri:

«Sta accadendo ora. Vorrei sapere cosa ne pensano statisti come Salvini e Di Maio: lo sanno che c’è una norma della Costituzione, l’art. 10, che impone di dare asilo, per esempio ai curdi siriani in fuga? La applicheranno? Se ne fregheranno? Invocheranno l’Europa come moderni Ponzio Pilato mentre queste persone muoiono? E cosa ne pensano del blocco militare di ogni via di fuga sul confine del Niger? Li, non ci sono “taxi del mare” e si può morire nel deserto mentre si cerca rifugio da guerre e fame, normalmente frutto delle politiche neocolonialiste occidentali che svuotano di materie prime e diritti i paesi africani. Si inizia dai diritti umani degli altri e poi, prima o poi, l’erosione della democrazia e della civiltà arriverà anche “a casa nostra”.»

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