di Maria Serena Palieri - StrisciaRossa.

I biografi dicono che Jenny Julia Eleanor Marx, detta Tussy, e l’opera di suo padre Karl, “Il Capitale”, crebbero negli stessi anni: ha 12 anni, Tussy, quando del “Capitale” esce il primo libro.  A lei, figlia sestogenita,  andò poi il compito di curare post mortem degli  inediti paterni fondamentali. Eleanor nella pratica, da leader, così come nell’elaborazione teorica,  sviluppava intanto quella che all’epoca veniva chiamata “questione della donna”. E non si accontentava di farlo sul piano politico: in quello scorcio di Ottocento cominciavano a uscire romanzi e drammi in cui  personaggi  femminili si impadronivano della scena e lei diede in inglese la prima versione di “Madame Bovary” e tradusse dal norvegese “Casa di bambola”.

Il rapporto col padre e col compagno fedifrago

In “Miss Marx” Susanna Nicchiarelli resuscita, dunque, una  figura che è insieme grande e drammatica. Giusto che la storia di Eleanor, come avviene in questo film, venga letta all’interno del suo rapporto con una teoria di figure maschili: dal monumentale padre Karl al fedifrago compagno di vita Edward Aveling? Domanda legittima.

Però, diciamolo, “Miss Marx”  ha il massimo della sua forza sul piano formale:  è evidente che la regista ha deciso che, per raccontare una figura esplosiva, e per tracciare, a venire, la carica eversiva che quel suo protofemminismo andava innescando,  bisognava far deflagrare le forme, correndo pure il rischio di renderle in alcuni passaggi vacillanti.

“Miss Marx” è un film ambientato nella seconda metà dell’Ottocento. Un’epoca satura di estetica e  di estetismi, alla quale sullo schermo si rende il giusto omaggio con abiti, decori, capigliature, tappeti che vengono dritti da qualche tela del pre-raffaellita Burne Jones. E dunque “Miss Marx” è un film in costume.  Lo è per il tanto che è necessario. Quel tanto, cioè, che può scomparire nell’irruzione di altri linguaggi: le immagini in bianco e nero, fotografie o primissimi filmati, che documentano le scene di massa della Comune di Parigi, di manifestazioni operaie e, tema caro a Eleanor, del lavoro minorile; e poi la musica che Susanna Nicchiarelli di nuovo non usa come didascalia, insomma accompagno al racconto visivo e orale, ma dandole lo statuto di protagonista. Il post rock e il punk rock  dei Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo, qui con i Downtown Boys, tornano come un marchio di fabbrica, insieme con Springsteen, e insieme con una suggestiva Internazionale cantata in gruppo ai funerali di Friedrich Engels. E’ una colonna sonora che consegna la storia alla nostra attualità. Così come vogliono farlo i molti discorsi che Eleanor rivolge alla camera e dunque a noi che siamo in sala.

Ultima cosa va detta proprio su di lei, l’interprete, Romola Garai. Il punto di non ritorno della vicenda di Eleanor, nel film, è il ballo scatenato al quale, assaggiato l’oppio, miss Marx si abbandona. Ballo vero? O prefigurazione dei balli ai quali in libertà potranno abbandonarsi le ragazze molti decenni dopo? Sognato o reale che sia, è l’occasione per mostrarci un po’ di più il corpo dell’attrice: senza l’impaccio delle crinoline, quindi rivoluzionario allora; né anoressico né oversize, un bel morbido corpo umano, così veritiero e dunque, ma sì, diciamolo, gramscianamente rivoluzionario, oggi.

Condividi