Il miraggio delle piccole patrie.
Il valore della prossimità delle autonomie locali, nel rispondere più prontamente ai bisogni delle popolazioni, va riconosciuto. La prossimità tende a rendere più rapida l'azione di governo e incrementa la democrazia, avvicinando i cittadini al potere pubblico. E' questa una premessa indispensabile per dichiarare la nostra apertura ai bisogni dei territori, negando però in radice che l'autonomia differenziata così come viene rivendicata corrisponda a tale esigenza di
democratizzazione ed efficienza del potere pubblico. Essa nasce invece sotto la spinta di ambizioni competitive indotte dai processi di globalizzazione e dalle sue crisi - che negli ultimi decenni hanno indebolito i poteri dello stato centrale - tendenti a sottrarsi dai vincoli di solidarietà e dagli obblighi di distribuzione della ricchezza con gli altri territori. Il riconoscimento e la promozione delle autonomie locali, sanciti dalla Costituzione, non trovano riscontro nei percorsi di differenziazione intrapresi che, invece, per come sono delineati minerebbero l’unità e la coesione sociale del Paese.
Ridurre l’Italia a un assemblaggio di staterelli semi-indipendenti, non ha nulla a che fare con l'accrescimento della democrazia, e in un panorama globale dominato da giganti (USA, Cina, India, Russia), che dovrebbe spingere a rafforzare il ruolo dell’Europa, la pretesa di rinchiudersi in minuscole fortezze regionali non può che risultare alla lunga perdente per tutti.
Le Regioni italiane vivono le difficoltà derivanti dalla riforma del Titolo V approvata nel 2001, l’indeterminatezza data dall’assenza delle necessarie norme nazionali di principio e le contraddizioni di un decentramento di competenze in un contesto di centralismo finanziario, aggravate dalla crisi economica dell’ultimo decennio. Ma queste problematiche non possono trovare risposta in soluzioni circoscritte a livello regionale: per l’ambiente, il lavoro, infrastrutture strategiche o strutture portanti della identità storica e culturale del paese come la scuola devono, invece, essere individuate soluzioni comuni che rendano ogni territorio promotore di sviluppo ed effettivamente favoriscano l’unità della Repubblica prescritta dalla Costituzione.
L’esplosione delle diseguaglianze.
Le pretese autonomistiche differenziate, fondate sulla maggiore capacità fiscale, sono inaccettabili alla luce della nostra Costituzione, che riconosce al cittadino, e non ai territori, la titolarità dei diritti fondamentali. Disegnare condizioni privilegiate per singole aree regionali accrescerebbe obiettivamente le disuguaglianze già in atto, e sottrarrebbe lo stato centrale alla responsabilità di attuare politiche pubbliche di riequilibrio territoriale, di contrasto alla divaricazione crescente dei redditi e di tutela di eguali diritti. Ipotizzare una organizzazione del welfare favorendo questa o quella regione equivale, di fatto, a dissolvere i vincoli che tengono unito il paese, minacciando l’unità nazionale. Ne è pensabile sottrarre, in nome di una presunta specialità, alcune regioni a disposizioni nazionali che fissano norme di tutela che devono valere per tutti i cittadini a prescindere dal luogo di residenza.
Non è da sottovalutare, inoltre, il rischio di un neo-centralismo regionale derivante dalla maggiore autonomia che minerebbe la capacità d'iniziativa (anche nelle regioni del Nord) dei comuni, che costituiscono il cuore effettivo della democrazia amministrativa. Il welfare deve essere pubblico e universale quindi è impensabile vincolarne l’efficacia alla capacità contributiva di un dato territorio mentre diventa prioritario estenderne la validità individuando le risorse necessarie attraverso la leva fiscale statale, sulla base di un meccanismo perequativo che incida sui grandi patrimoni e le ricchezze accumulate ovunque esse siano.
“UN VIAGGIO DAL SUD AL NORD”
Date queste premesse, i soggetti che sottoscrivono tale documento, intendono promuovere una vasta azione di mobilitazione popolare. “Un viaggio dal Sud al Nord” che incontri tramite un percorso itinerante, in vari centri delle regioni, le popolazioni locali.
Questo percorso dovrebbe partire da Roma e percorrere le varie regioni, partendo da quelle del Sud e organizzando una risalita verso Nord, concludendo il viaggio a Milano, nel cuore dell'Italia che si vorrebbe secessionista e in uno dei comuni più antichi d'Italia, con una manifestazione rappresentativa.
Le modalità degli incontri con le popolazioni, che non possono ovviamente essere definite in anticipo nei loro dettagli, prevedono la partecipazione dei rappresentanti di tutte le organizzazioni che sottoscrivono tale documento. Ma naturalmente un ruolo importante dovranno avere anche i cittadini, le associazioni locali.
Gli incontri dovrebbero avere al centro il tema dell'autonomia differenziata, ma costituire anche occasione per una riflessione politica più larga. E potrebbero muoversi secondo due assi fondamentali, uno di critica e un altro di proposta e di prospettiva. Occorrerebbe innanzitutto ricordare che le stesse richieste per l'autonomia differenziata, pur nella diversità delle proposte presentate, aprono un contenzioso potenzialmente senza fine sulle potestà da assegnare a ciascuna singola regione – che avanzerebbero, a gara, sempre nuove pretese - logorando lo stato centrale e indebolendo le sue capacità contrattuali con l'UE.
Peraltro non va nascosto che il rapporto con le Regioni che hanno chiesto l’autonomia differenziata, avviato col governo Gentiloni, è stato fortemente sostenuto dal governo Conte-Salvini-Di Maio, alla luce della piena consonanza delle richieste lombardo-venete con la linea politica della Lega; noi
auspichiamo che l’attuale governo non condivida allo stesso modo le proposte delle Regioni del nord.
Occorrerà invece denunciare che la redistribuzione delle risorse pubbliche sulla base della cosiddetta “spesa storica” ha danneggiato gravemente, negli ultimi anni, sia le regioni del Sud e sia le zone più deboli del Nord. In virtù di tale criterio è avvenuto, ad esempio, che i centri dotati di zero asili nido, per ritardi o inadempienze, hanno ricevuto dallo stato, ogni anno, zero contributi.
Chi ne aveva 100, ne ha incassato invece per cento. Le diseguaglianze storiche sono state cristallizzate, anziché rimosse con un intervento perequativo da parte del potere pubblico. E' il “mondo alla rovescia” dei neoliberisti.
Per di più, da quanto emerge dall’ultimo rapporto SVIMEZ, la forbice sud-nord si è ulteriormente allargata, con un calo del Pil dello 0.2% a fronte di una crescita dello 0.3% a settentrione, con un fenomeno migratorio in forte aumento – circa due milioni di persone hanno lasciato il Mezzogiorno dal 2000 ad oggi -, con un abbandono degli studi da parte del 18.8% dei ragazzi rispetto all’11.7% al nord. Crisi e spopolamento: tutto ciò pone a tema con la massima urgenza una politica di nuovosviluppo per il Mezzogiorno.
Chi è più indietro deve essere punito e chi è più avanti premiato. Un cascame della dogmatica competitiva applicata ai territori con conseguenze devastanti. Occorre invece che lo Stato redistribuisca le risorse secondo i bisogni reali delle popolazioni, e non sulla base di presunti meriti o demeriti, con criteri oggettivi e soprattutto perequativi, che sanino disuguaglianze e ingiustizie storiche e garantiscano la piena esigibilità dei diritti civili e sociali fondamentali a tutti i cittadini in ogni territorio.
Bisogna mettere in evidenza, inoltre, come queste stesse logiche di “rigore di bilancio” ed “austerity” abbiano inciso negli anni proprio sull’attività dei Comuni condannandone migliaia, in particolare nel Mezzogiorno dove spesso si registra anche un lunga tradizione di mala gestio della cosa pubblica, a dichiarare dissesto o pre-dissesto. Questa condizione ha inciso enormemente sulla qualità della vita dei cittadini– tasse locali al massimo consentito e servizi ridotti al lumicino – ma anche sulla dimensione democratica, svilendo il dibattito politico locale ridotto ormai a mera discussione su pratiche amministrative di rientro del debito.
Il secondo asse riguarda la necessità di rivendicare con forza, dopo anni di teorizzazione neoliberista e di restrizioni da austerità, il ruolo del potere pubblico come agente investitore. Senza un rinnovato e forte impegno finanziario dello Stato in istruzione, ricerca, sanità, pubblica amministrazione, infrastrutturazione territoriale e ambiente, gli squilibri e le disuguaglianze che lacerano il Paese - siano tra Nord e Sud, tra aree urbane e aree interne o all’interno delle stesse città metropolitane -, non saranno superate.
Un’azione politica che intenda valorizzare la prossimità, promuovere la partecipazione attiva dei cittadini e rispondere ai bisogni delle comunità, piuttosto che immaginare nuove “nazioni” regionali dovrebbe individuare un percorso di risanamento della dimensione democratica e di rifinanziamento
dei servizi di welfare locali – anche investendo in rigenerazione urbana e sviluppo sostenibile – superando le restrizioni del patto di stabilità.
Dunque ci assumiamo un compito di informazione e di chiarimento tra le persone e al tempo stesso vogliamo renderle protagoniste di una azione politica, in cui tornino ad avere voce, escano dalla rassegnazione, e possano rivendicare con più energia i propri diritti.

Piero Bevilacqua (Osservatorio del Sud)
Rossana Dettori (Segreteria confederale Cgil)
Filippo Sestito (Presidenza Nazionale Arci)
Massimo Villone (Presidenza Coordinamento Democrazia Costituzionale)
Gianfranco Viesti (Università di Bari)
Enzo Scandurra (Università la Sapienza Roma)
Roberto Morea (Transform! Italia)
Loredana Marino (Laboratorio Sud)
Simona Maggiorelli (Left)

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