AUTONOMIA DIFFERENZIATA E PREMIERATO di Attilio Gambacorta
L'autonomia differenziata ed il premierato sono due facce della stessa medaglia.
Entrambe mirano a cambiare i paradigmi della Repubblica italiana. La prima stravolgendo l’articolo 5 della Costituzione che, nel riconoscere la peculiarità dei diversi territori italiani, afferma che lo stato è unico e indivisibile.
La riforma del titolo V del 2001, pur partendo dai principi dell’art 5, amplia il potere legislativo delle regioni e dà un presunto principio di costituzionalità alla legge ordinaria sull’autonomia differenziata.
Questa riforma non è stata altro che una risposta politica sbagliata, per usare un eufemismo, ai forti movimenti esplosi nei primi anni 90, in particolare nelle regioni del Nord, con un forte radicamento nei suoi territori. Ricordiamo bene le rivendicazioni secessioniste della Lega dove in quelle regioni ha un consenso di massa.
Anche con il premierato si parte da lontano. Prima prospettando una repubblica presidenziale: l’uomo forte al comando che anche Craxi teorizzò, nel momento del suo più alto consenso.
L’elezione diretta del presidente era il punto cardine del progetto politico programmatico della P2 di Licio Gelli: il famigerato Piano di Rinascita Democratico.
Sono passati alla storia i tentavi di destabilizzazione sociale e politica di questa loggia occulta, responsabile di stragi e di morti innocenti, una vera e propria associazione terroristica, ma la parola fine non è stata ancora pronunciata.
Tante sono ancora le pagine oscure che caratterizzano quel lungo periodo, che comincia il primo maggio 1947 con la strage di Portella della Ginestra, per continuare con Gladio, il “piano solo”, la strage di Piazza Fontana a Milano e piazza della loggia a Bresca, il tentato golpe Borghese, il rapimento Moro, la stazione di Bologna, gli attentati del 1993 e la trattativa stato-mafia.
L’obiettivo principale era quello di superare di netto il parlamentarismo, ovvero una repubblica fondata sulla centralità del Parlamento, luogo istituzionale eletto a suffragio universale e vero rappresentante del popolo sovrano.
Le riforme elettorali che dal 1993 hanno introdotto elementi di maggioritario questo hanno prodotto: una costante diminuzione del potere legislativo ed un aumento di quello esecutivo. Ormai di fatto con i Decreti-legge e i decreti legislativi il potere esecutivo esercita anche quello legislativo accentuato anche dal ricorso sempre più frequente del “voto di fiducia”.
In questi ultimi 30 anni abbiamo anche assistito ad una forte contrapposizione di questi poteri con quello giudiziario mettendo seriamente in crisi le istituzioni repubblicane e l’architettura giuridica del nostro ordinamento statale.
Ma, a mio avviso, il problema è politico e, allo stesso tempo, culturale.
La nostra Costituzione è nata dalla Resistenza ed è una legge antifascista.
I padri costituenti, infatti, in modo lungimirante, hanno protetto le generazioni future da ogni tentativo autoritario che si potesse in qualche modo richiamare al triste ventennio. Anche se il concetto è sancito transitoriamente nelle disposizioni finali, per precisione la XII, essa non può essere considerata inferiore alle altre norme, ed è questa disposizione che vieta la ricostituzione del Partito Nazionale Fascista, la legge Scelba del 20 giugno 1952 non è altro che una sua attuazione.
Ma perché sostengo che la battaglia deve essere culturale, perché tutte queste riforme vogliono tagliare le radici della nostra storia. Vogliono arrivare ad un nuovo paradigma fondativo della nostra repubblica cancellando la Resistenza, la storia del movimento operaio, l’impegno ed il protagonismo delle forze politiche che si richiamavano al socialismo ed alla storia del movimento operaio.
Da qui l’equiparazione fra comunismo e nazismo, la criminalizzazione dei partigiani. La cosa non sta in piedi, ma una martellante campagna mediatica ha convinto gran parte dell’opinione pubblica, anche attraverso una propaganda ideologica che si basa su un pensiero estremo ed integralista che fonda i suoi principi sulla trilogia “Dio, Patria e Famiglia”.
Perché, a mio avviso, integralista, non perché non riconosco il valore della religione, del proprio stato e della propria famiglia, ma perché questo credo è assunto come valore assoluto, con principi che sfiorano il razzismo. Cosa significa altrimenti il detto “difendiamo i valori occidentali dallo straniero”, perché così si afferma quando si parla di cromosomi e di etnie. Quindi questa ideologia porta all’esclusione, a giudizi sommari, all’egoismo individuale, alla violenza, all’odio.
Un piccolo pamphlet di Luciano Canfora, proprio questo afferma sostenendo che dobbiamo rimettere al centro l’uomo e i suoi bisogni riscoprendo il valore della solidarietà e il principio dell’uguaglianza. Credo che con questa legge si vada nella direzione opposta, ma la storia non può essere cancellata, non può essere piegata alla propaganda e ci sarà ancora bisogno delle forze progressiste che si richiamano ai diritti, al lavoro, all’uguaglianza difendere la democrazia per progettare un futuro
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