Attilio Gambacorta: "Il pensiero critico torni ad essere di massa"
di Fosco Taccini
Un libro non è solo fatto dall’inchiostro delle parole che caratterizzano l’opera di uno scrittore. Partire dalla copertina e poi procedere riga dopo riga è un viaggio a più dimensioni. E anche un punto di riflessione o d’azione. Oggi, insieme ad Attilio Gambacorta esploreremo le molteplici chiavi di lettura del suo ultimo libro: “L’Umana gente”.
Ciao Attilio, qual è stata la scintilla che ha ispirato il fuoco tematico dell’Umana gente?
«Non saprei dire con esattezza. Spesso mi trovo nella condizione di pensare dei versi nel contesto in cui sono. Osservo quello che mi circonda, rifletto sulle parole dell’interlocutore che ho di fronte; nello stesso momento elaboro un pensiero che poi traduco in versi. E mentre scrivo mi accorgo che sto raccontando la semplicità della vita nella sua immensa complessità. La vita di tutti i giorni, la vita di ognuno di noi, la mia vita attraverso la descrizione di un paesaggio, il lavoro, l'amore di una madre, il vociare di un ragazzo. Cesare Pavese lo chiamava "il mestiere di vivere", questo mestiere è la quotidianità: sentimenti, emozioni. Tutte le persone vivono queste sensazioni e, credo, attraverso di esse si può capire "L'Umana Gente", raccontare la realtà quotidiana per cercare di poterla comprendere, pensare ad un mondo diverso, lottare per un ideale, sentirsi parte di una comunità, stringersi nei propri affetti. Penso che tutte queste cose, infine, siano utili per capire sé stessi»
Il capitolo dedicato agli Ideali si apre con questi versi “E’ arida la vita senza ideali, senza passioni spenta”. In questa attuale fase storica quali ideali sono imprescindibili nella vita? E nella politica?
«Mi sono avvicinato alla politica nella seconda metà degli anni 70: un secolo fa. In quegli anni era facile entusiasmarsi ed appassionarsi per un sogno rivoluzionario. Erano anni di grandi ideali, ricordo molto bene le immagini dei funerali di Mao Zedong (1976); l’elezione di Pietro Ingrao a Presidente della Camera dei Deputati e l’avanzata prepotente del Partito Comunista Italiano nelle elezioni politiche di quello stesso anno; Berlinguer che dal balcone di Botteghe Oscure salutava la sua gente che, festeggiando insieme la storica vittoria, davano il senso di quel “Paese nel Paese”, come Pasolini, barbaramente assassinato l’anno precedente, volle definire il PCI; il movimento studentesco del 1977; i canti degli Inti-Illimani; la terribile piaga del terrorismo, battuto dal movimento operaio, dal sindacato e dalla sinistra politica che li rappresentava, non certo dal potere costituito che, anzi, adesso sappiamo, era connivente con alcune frange del terrorismo di destra e anche di sinistra. Un giovane di quegli anni non poteva essere indifferente a tutto ciò e così aderii al movimento studentesco. Si viveva l'onda lunga del '68. Non ci accorgevamo che quell'onda era arrivata a riva e si stava adagiando, mentre un'altra onda, di natura opposta, stava crescendo spazzando via ogni idea di cambiamento della società. Nascevano gli anni 80 con la loro portata qualunquistica di disimpegno. Il pensiero edonista diventava egemone. Gli ideali di uguaglianza lasciavano spazio all'individualismo. Il liberismo ha vinto sconfiggendo il nostro sogno rivoluzionario, ma mai come adesso si evince che "i vinti hanno ragione". E mai come adesso c'è bisogno che un pensiero critico, il sogno rivoluzionario, torni ad essere di massa. Le ingiustizie, i diritti negati, il riesplodere dei conflitti stanno lì a dimostrare la necessità di una trasformazione radicale della società, dove la libertà e l'uguaglianza siano i cardini di un nuovo mondo. È difficile riorganizzare ed unire i soggetti sociali della trasformazione, oggi dispersi e delusi da una politica sterile ed inconcludente, ma credo che i sogni generino passioni, le passioni speranze, e su questi sentimenti si possa riaffermare un ideale di giustizia e di progresso, dove "il libero sviluppo di ognuno è condizione del libero sviluppo di tutti". L'onda rivoluzionaria non è lontana, dobbiamo solo vederla. Il liberismo e quest'ordine sociale hanno ormai il fiato corto ed il covid colpisce i polmoni»
Adesso, grazie alla chiave armonica e stilistica, volgiamo lo sguardo su Perugia: nei suoi aspetti positivi, negativi e in quello che si può fare per migliorarla…
«Seguendo il ragionamento di prima, la mia Perugia non esiste più. Quella bella immagine di città della cultura, della cioccolata, degli operai, degli intellettuali è un ricordo ormai lontano. Questo progresso senza anima, caratterizzato da una destrutturazione industriale irresponsabile, cinica e classista, ha colpito al cuore un tessuto sociale coeso. Di questo la politica e il sindacato sono responsabili. Le poche voci che si sono alzate contro questo coro, sordo e cieco, emarginate e considerate anacronistiche. Oggi possiamo dire che chi si è reso responsabile di quelle scelte ha compromesso il futuro della città e dell'Umbria, il presente lo dimostra. Il degrado della periferia, il depauperamento del suo bellissimo centro storico sono gli effetti di una politica miope, senza un progetto, senza un'idea di città. Inutile dire che quegli anni ormai sono storia. Li possiamo raccontare, ma non torneranno. La nostalgia è un sentimento nobile che dobbiamo rispettare, è parte integrante della natura umana, ma politicamente inefficace. Servono idee nuove per il rilancio della città, per uscire da questo periodo di decadentismo ormai strutturato. L'attuale classe dirigente non mi sembra abbia un disegno politico che possa permettere a Perugia di uscire da questa seria crisi culturale, sociale, economica. È priva di cultura, di visione. Persegue una politica che si schiaccia sul presente e su di esso si esaurisce. Si potrebbe iniziare partendo dalla sua antica storia, dal suo ricco patrimonio artistico. Si potrebbe iniziare pensando a riqualificare un tessuto urbano attraverso un piano casa nel centro storico, per ripopolarlo e renderlo di nuovo vivo; dotare di servizi, come asili nido, librerie, centri di aggregazione, i quartieri degradati della periferia, ma non vedo niente di tutto questo. Citando la mia poesia, vedo "un peso pieno del nulla". Di tutto questo la politica tutta è responsabile. La frase, coniata efficacemente da Stefano Vinti, "Perugia, una città senza governo e senza opposizione”, sintetizza perfettamente la situazione. E questo vale anche per la regione»
Guardando dal finestrino (Cap. VI) quali Riflessioni (Cap. V) sulla nostra regione?
«La nostra regione è una bella terra, piena di armoniche colline, ricca di borghi storici, con gli Appennini che la delimitano, il Tevere che la divide in due, caratterizzata dal suo intenso verde. L'alba del Subasio, i tramonti del Trasimeno, le danno un tocco d’autore. È ' una terra della quale ci si innamora, ed è la mia terra. Dal mio paese, Torgiano, vedo tutto questo: il sole che sorge dietro il Subasio, Il tramonto verso il Trasimeno; vedo distendersi Perugia, Assisi, Bettona. E vedo i suoi infiniti vigneti. E dal finestrino dell'autobus, mentre vado al lavoro, cerco di raccontare tutto questo. È un bisogno intrinseco che chiede di esternarsi, di uscire fuori, di essere comunicato. E attraverso la rete dei social lo comunico. L’Umbria deve rinascere, Perugia deve tornare ad essere una città protagonista, simbolo della cultura e del progresso: la sua storia lo impone»
Nella lettura della tua opera, come nella vita, uno spazio e un tempo, assumono confini e caratteristiche proprie. Quali aspetti vuoi sottolineare in conclusione?
«Il tempo e lo spazio sono l'alpha e l'omega della nostra vita. Il tempo è lo scorrere inesorabile della vita in un determinato spazio. Nel tempo e nello spazio nascono i nostri sentimenti. Il nostro destino è condizionato da entrambi. Tutti ci troviamo a raccontare la nostra vita, in un modo o nell'altro, perché tutti siamo uomini e si sa che l'uomo ha bisogno di socialità, di condividere sentimenti. Da qui nascono le relazioni personali, che siano esse fraterne amicizie o amori. La delusione, la gioia, l'amarezza, la paura, il coraggio, la speranza, l'illusione, danno impulso all'essere umano e lo rendono vivo. Questo con le mie poesie ho cercato di dire»
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