di Simone Cumbo

 

Il 17 maggio 2012 è stata la giornata mondiale contro l’omofobia. «Paura e avver sione irrazionale nei confronti dell’omosessualità e di persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, basata sul pregiudizio». Così la definisce l’Unione Europea che la considera analoga al razzismo, alla xenofobia, all’antisemitismo e al sessismo.
E aumentano sempre più, i casi di cronaca dove spesso vittime sono le cosiddette “nogender” (trav, trans) cioè persone che vivono nel corpo e nella mente un altro genere sessuale.
Abbiamo provato a parlarne sotto un'ottica diversa dal solito ascoltando chi vive da vicino questa condizione. E la vive nella sua vita, negli affetti, e nella propria anima...

 

Nicole, italiana che vive in Svizzera, è transessuale sposata con una transessuale (la Svizzera lo permette).
«Sono nata 42 anni fa, ma Nicole ha iniziato a “fare i primi passi” solo 4 anni fa. Iniziai timidamente a travestirmi; all’inizio mi pareva un modo divertente per passare una serata in compagnia con persone che avessero i miei stessi gusti. Poi piano piano presi coscienza che ogni volta che chiudevo Nicole nell’armadio provavo un senso di disagio, quasi un senso di distacco e abbandono. Fino a quando una mattina mi truccai e da lì in poi iniziai la mia vita da Nicole chiudendo definitivamente nell’armadio la mia parte maschile. Sembra una cosa da nulla, ma non lo é. Benché oggi io sia felice e realizzata, ci tengo a dirlo con enfasi, un percorso di transizione è come un salto nel buio, non sai come e dove cadi, è come morire e rinascere di nuovo».

C’è una cosa che colpisce in Nicole: il suo desiderio di essere accettata per quello che è, cioè una trans, non una donna, un genere altro che non è facilmente esplorabile e che ingenera confusioni immense vista l’associazione trans=prostituzione...

«Con tutta sincerità non ambisco ad apparire come una donna, benché abbia curato e raffinato la mia femminilità sia nei modi che nell’aspetto. Voglio che si veda che sono una trans. Chi si approccia a me deve averlo ben chiaro. La transizione (nel mio caso) da M (male) to F (female) dovrebbe portare chi la affronta da un genere all’altro, ma a me piace stare nel mezzo, se così posso dire. Quando ero uomo, ero uno dei tanti, se diventassi donna, sarei una delle tante… ma ora sono una delle poche. Mi appaga vivere, respirare, sentire l’eccezionalità della mia situazione. È ovvio che vivendo così, non confondendosi tra le donne, vi sono anche momenti difficili...».
Omofobia, paura del diverso, identificato ora con un immigrato ora con un omosessuale o un transessuale o meglio con chiunque rompe gli schemi...
«Un uomo un giorno mi disse che le trans non devono avere l’arroganza di pretendere di essere accettate a priori. Occorre uno sforzo da parte delle trans, uno sforzo che mostri alla società che malgrado la nostra diversità siamo persone con una testa, un cuore e delle capacità e non solo un corpo. Quindi ogni giorno, nella vita quotidiana, io mi “sforzo” di mostrare che sono una persona nella sua interezza oltre che una trans. Tutto ciò che è diverso spaventa. Siamo per natura diffidenti verso chi non è come noi… nel caso dell’omosessualità o della transessualità, alla diffidenza di base si associa l’imbarazzo e la vergogna legati alla sfera sessuale…».

 

Anche Nausica, fondatrice del portale Travcompany, il portale di riferimento per trav e trans, ha scelto di dare un senso alla sua scelta di «femmina non “biologica”» cercando di aiutare chi vive nella sua vita la stessa condizione di “diversità”.
«Sono nata in un piccolo paese del sud - ci dice Nausica - dentro di me vivo da femmina la mia vita quotidiana. Da piccola amavo vestirmi da donna, mettermi le scarpe di mia madre, giocavo con le bambole, odiavo i giochi maschili. Ho avuto da sempre una forte repulsione verso ogni tipo di violenza».
Perché Nausica?
«Mi ha colpito molto a scuola la storia di Ulisse narrata nell’Odissea. Il capitolo dove naufraga nell’isola dei feaci e viene amorevolmente curato e amato da Nausica, ...da lì è nata Nausica in me, ed è da lì che ha cominciato a divenire sempre più costante la voglia di immedesimarmi in lei. Quando poi decisi che era il momento di uscire fuori dal mio guscio, Nausica cominciò a frequentare il mondo trav, da qui un po’ alla volta e vinte le prime timidezze, cominciai a frequentare feste disco e con amiche riuscire a organizzare le prime cene».
Ed è nata la tua idea di un sito web come luogo di incontro...
«Sì l’idea è proprio questa. Far sì che il mondo “no gender” esca dal guscio di solitudine e dolore dove è stato cacciato fornendo un punto di incontro dove trovare amici, amiche, ma anche dove parlare di amori, poesia... Il mio intento è allargare il confine per fare in modo che la diversità diventi un arricchimento e che si trasformi in “normalità”. La normalità di essere semplicemente se stesse...».
Come si esce dall’esclusione? Per quali strade?
«L’esclusione la viviamo quotidianamente, nei nostri corpi, se vivessimo in una società libera e non “omofoba” come la nostra, vivrei quotidianamente il mio essere Nausica. Quindi la società mi impone il mio non essere. Ma siamo pazienti e facciamo in modo tutti che cambi l’atteggiamento verso di noi e si capisca che ci siamo, esistiamo e esisteremo sempre. Come cantava De Andrè “se non sono gigli son pur sempre figli vittime di questo mondo”. Quindi nel mondo vogliamo starci da persone libere...».

 

Due storie, due vite che meritano solo di essere ascoltate. Non chiedono di essere comprese ma solo di essere rispettate, aiutate a uscire dalla diversità nella quale la società e i luoghi comuni le hanno cacciate. L’omofobia si combatte anche così, nel mettersi in ascolto...

Dal numero di giugno 2012 «l'altrapagina»

 

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