di Goffredo Adinolfi.

Sopravviverà il diritto di critica al contagio del Covid-19? Banalmente si potrebbe citare la Peste di Albert Camus, troppo facile però, anche perché Camus parlava di un popolo che riscopriva reti di solidarietà quale migliore difesa dalla peste / nazismo.

In queste settimane alle nostre latitudini sta accadendo l’opposto di quanto descritto ne la Peste: un intero popolo si unisce a censore per fare rispettare a chiunque sgarri le regole poste a difesa del bene comune. Qui e là si chiedono misure drastiche contro i disobbedienti. Si arriva a chiedere lo schieramento dell’esercito. Nessuno deve potere contestare, perché da qualche parte c’è chi soffre. Potentissima nella sua capacità di creare un immaginario la fotografia della colonna militare che trasporta le bare di Bergamo.

Questa è una guerra e chi si oppone è accusato di fare combutta con il nemico: il virus. Chiariamo da subito un punto in modo che non ci siano fraintendimenti: qui non si vuole sostenere che tutto quello che sta succedendo sia un complotto ordito in una qualche stanza segreta. Si vuole discutere invece di come una società reagisce alla crisi, di ciò che implica la limitazione della libertà, del senso del bene comune e di quanto sia legittimo spingersi in là nell’adozione di misure coercitive.

Alla base di tutto notizie contrastanti, non chiare e sotto certi aspetti completamente fuori dal controllo. Notizie non del tutto false, ma neanche del tutto vere. Insomma dopotutto a partire dagli stessi elementi possiamo costruire narrazioni completamente differenti senza che qualcuno possa dirci di star dicendo il falso.

È un fatto tuttavia incontestabile che una ventata di apocalisse, come una potente onda si sia abbattuta su di noi. Da un lato la tragedia e il corollario di previsioni catastrofiche e dall’altro la “stretta” inevitabile.

Così il popolo censore diventa comunità, non solidale come quella immaginata da Camus, ma riunita intorno a valori non più discutibili. Una visione totalitaria della società, totalitaria perché investe non solo i comportamenti pubblici delle nostre vite ma soprattutto quelli privati. Anzi la distinzione tra pubblico e privato smette di esistere e ogni aspetto della nostra esistenza assume una implicazione con effetti sul benessere del supremo bene comune e diventa quindi censurabile e quindi regolabile. Come ogni regime totalitario poi c’è anche una divisa che rende esplicito a tutti quale debba essere l’ideologia dominante: la mascherina.

È passata inquietantemente l’idea secondo la quale chi mette in discussione le misure adottate per proteggere la comunità è esso stesso un complice omicida.

Non è un caso che il modello politico emergente in tutto questo caos sia proprio quello cinese, ultimo dei totalitarismi nati nel Novecento. Sono sempre di più numerosi quelli che per un motivo o per l’altro ne descrivono la superiorità. Alcuni semplicemente ritengono che sia grazie alla libertà di azione proprio di una dittatura che sia stato più facile contenere il morbo. Dimentichi quale sia l’origine del coronavirus si elogia pure la solidarietà di chi ci manda ventilatori, medici e conoscenze. Quel modello che controlla tutto minuziosamente fin nel nostro più recondito intimo: lo smartphone. Quel modello cinese che tutto ha taciuto fino a quando non si è trovato poi costretto a dovere ammettere quanto stava succedendo di fronte al mondo.

Come scriveva in 1984 George Orwell è il pessimismo e la conseguente diffusione della paura il miglior strumento per piegare il libero arbitrio. Così è tutto un susseguirsi di previsioni nefaste, di chi sostiene che non ne usciremo mai e che dovremo rimanere tappati in casa per chissà quanto altro tempo e che, ovviamente, dovremo accettare remissivamente altre misure restrittive alla nostra libertà.

E poi, a rafforzare il senso di comunità la ricerca della sovranità perduta, il riunirci tutti intorno a noi, non più cittadini ma atomi del corpo di un’unica nazione. Si chiudono i confini per proteggerci dal nemico, per proteggerci da chi potrebbe esportare contagiati. Il lemma “andrà tutto bene”. Abbiamo un nemico subdolo, un virus che potrebbe essere ovunque, tanto piccolo che il nostro occhio neanche riesce a vederlo. C’è la paura incontestata.

Ecco in tutta questa innegabile tragedia occorre non dimenticare che lo spirito critico deve rimanere acceso, la libertà di contestare, di credere che qualsiasi cosa succeda una democrazia sia comunque e sempre basata su di un conflitto di idee, proposte differenti e differenti visioni del mondo. Occorre non dimenticarsi che presto o tardi finirà e che quello che è davvero importante è se si uscirà da questa crisi ma come se ne uscirà.

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