Ambiente in Umbria, l'emergenza che (non) c'è
* Di Fabrizio Marcucci
C'è un quadrilatero sghembo, in questo pezzo d'Italia che fu cuore verde. I quattro vertici sono altrettanti epicentri di questioni assai solide, che nel dibattito pubblico però assumono uno stato gassoso e finiscono per perdersi nell'aria come fumo dal camino. A guardare bene l'errore sta proprio lì, nel considerare questi epicentri come ognuno a sé. Conviene allora riunirli, i vertici di questo poligono irregolare: Perugia, capoluogo e sede centrale di Gesenu, l'azienda di gestione dei rifiuti di cui il Comune detiene il 45 per cento delle quote, la cui parte privata è passata di mano recentemente dopo che l'impresa è stata colpita da interdittive antimafia; la Valnestore, ribattezzata Valle dei fuochi dopo che si è scoperto che insieme alle ceneri derivanti dalla combustione della lignite usata per alimentare la centrale elettrica, venivano mescolati i rifiuti: un impasto che ha compromesso terreni e manufatti, visto che i residui di lignite, che non si sospettavano contaminati dall'immondizia, sono stati utilizzati per anni anche come materia prima per diverse costruzioni; Terni, seconda città dell'Umbria, in cui il sindaco è stato costretto lo scorso 19 maggio a spegnere l'inceneritore per l'eccesso di diossina rilevato nell'aria, e dove l'Arpa (l'Agenzia regionale di protezione dell'ambiente) ha certificato una situazione preoccupante per acqua e aria; e infine Orvieto, dove lo scorso 31 maggio è stato dato via libera all'ampliamento della discarica Le Crete: altri rifiuti in arrivo.
Messe così, una sopra all'altra, le questioni assumono un altro aspetto e si consolidano in un unico, grande, clamoroso e trascuratissimo problema: l'ambiente. Continuare a trattarle l'una separata dall'altra è un minimizzare, o meglio, un non voler vedere. Mentre ci si attarda a dare conto dell'ennesima irrilevante puntata della querelle Marini-Barberini (o Bocci che dir si voglia), la solidissima questione ambientale si gassifica rendendo letteralmente l'aria irrespirabile, l'acqua imbevibile, le terre incoltivabili. Cioè mettendo a repentaglio vite, abbassandone la qualità. Questo è quello che sta succedendo, e in un mondo che non girasse al contrario, questo sarebbe ciò di cui ci si dovrebbe occupare nelle assemblee legislative, comunali e nei bar. Invece siamo di fronte a istituzioni immobili come i palazzi che le ospitano, e a cittadini inebetiti dall'infinita lotta contro i morsi della crisi che sta rischiando di renderli ciechi e sordi. Se si escludono i pochi, lodevoli comitati locali che hanno preso parola per denunciare l'ovvio, cioè lo scempio che si sta consumando, l'attenzione complessiva si riversa, a seconda delle inclinazioni, sull'ultimo sospiro del potente di turno o sul millesimo fatto di cronaca che non cambia la vita di nessuno.
Affrontare i quattro vertici del quadrilatero sghembo come un'unica questione, significherebbe non solo trovare soluzione a dei problemi. Vorrebbe dire elevare l'ambiente, la qualità della vita a priorità dell'azione pubblica (attenzione: pubblica, non solo politica) al di là delle parole di circostanza. Con conseguenze dirette in termini di salubrità, lavoro e valorizzazione dell'intera regione. O, se qualcuno preferisce, del “prodotto-Umbria”, perché vale la pena pure utilizzare locuzioni avvelenate, in questo tempo fatto di parole tossiche, pur di trovare alleati in quella che non è esagerato definire una battaglia per la vita.
* Da www.ribalta.info
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